ROMA, giovedì, 25 agosto 2011 (ZENIT.org).- In estate ritornano a Milano alcuni missionari per un po’ di vacanza. Si incontrano personaggi interessanti. Nel luglio scorso ho intervistato a lungo il padre Alberto Di Bello, in Giappone da quarant’anni, parroco di Shizuoka nella diocesi di Yokohama poco distante da Tokyo. La nostra crisi economico-finanziaria e la prospettiva, per il popolo italiano, di una vita più austera, più povera, mi spinge a chiedergli come vive il popolo giapponese questa stessa crisi. Padre Alberto dice che “c’è molta differenza fra il tenore di vita in Italia e quello in Giappone. Il giapponese è un popolo forte, unito, gran lavoratore. Sebbene il Giappone sia un paese più ricco dell’Italia, il loro livello di vita è inferiore al nostro”.
“Ad esempio, la cultura del cibo che c’è in Italia, non c’è in Giappone. Si dice che i giapponesi mangiano con gli occhi, infatti sono maestri nel presentare nei ristoranti i piatti esteticamente, con
varietà di piattini, verdurine e pescetti. Famosi in tutto il mondo sono i sushi e i sashimi. Ma il menu quotidiano tradizionale è quasi sempre più o meno uguale. Mattino, mezzogiorno e sera mangiano riso, pesce (oppure carne, ma poca) e verdure; da bere l’acqua o il tè verde, amaro e senza zucchero. A volte, al posto del riso ci sono gli spaghetti cotti in brodo di verdura, ma non conoscevano fino a pochi anni fa tanti nostri cibi come i salumi, il formaggio, il burro. E’ certo comunque che i giapponesi mangiano meno di noi italiani ed è uno dei misteri di questo popolo, come facciano a lavorare così alacremente mangiando così poco. Forse il segreto è che la loro dieta è scarsissima di grassi e di zuccheri. Poca carne e molto pesce, quasi nessun fritto ma molta verdura e frutta, non c’è il pane ma c’è il riso. Hanno un nutrimento più sano del nostro. Quello che per noi è la carne bovina, di maiale, per loro è il pesce. Ne hanno tante qualità e sono maestri nel cucinarlo. Il vino ce l’hanno ma è considerato bevanda delle donne; gli uomini bevono la birra o il saké, che è l’alcool ricavato dal riso”.
“In Giappone, continua padre Alberto, il costo del terreno è enorme, gli appartamenti sono piccoli, eccetto in pochi casi. Con qualche amico andiamo qualche volta al ristorante, ma in casa non ti invitano mai perché hanno vergogna di avere appartamenti così piccoli, nei quali ci sta poco o nulla. Ad esempio i vestiti. In Italia una persona normale ha quattro o cinque o più vestiti, molte camicie,
pantaloni, scarpe; il giapponese va vestito più poveramente di noi, non ha abiti diversi. Nei loro piccoli appartamenti non ci sta molta roba, debbono liberarsi dei vestiti che non usano perché in casa non ci stanno. Nella mia parrocchia a Shizuoka, noi facciamo raccolte di vestiti che poi mandiamo alle missioni, in Africa o altrove e ne raccogliamo molti. Loro tengono in casa lo stretto necessario. In campagna le case e gli appartamenti sono più grandi, ma nelle città tutto è piccolo e la maggioranza dei giapponesi vivono in città”.
“Fra noi missionari italiani ci diciamo che in Giappone lo stato è ricco e il popolo povero, in Italia lo stato è povero e il popolo ricco. Cioè, i servizi pubblici, sanità, scuola, trasporti, sicurezza, giustizia, funzionano molto meglio che in Italia, ma il livello di vita è austero. Altro esempio, il Giappone è il maggior produttore di auto del mondo, ma in genere il giapponese medio non ha l’auto privata anche perché, nelle città puoi comperare l’auto se hai il tuo parcheggio privato. Però i trasporti pubblici sono efficienti, loro avevano già l’alta velocità trent’anni fa, noi ci arriviamo adesso; un ponte come quello di Messina l’avrebbero già fato da decenni, noi ne parliamo, ma non lo facciamo mai. Insomma, lo stato c’è e funziona”.
“Un altro aspetto da considerare è il lavoro. I giapponesi lavorano molto, devono sempre fare qualcosa, non concepiscono passeggiare senza fare nulla e nemmeno fare delle vacanze. Si vergognano di fare vacanza, andare al mare o ai monti. Anche noi missionari prendiamo le loro abitudini, siamo sempre sotto, sempre al lavoro. Ad esempio, il Giappone è fatto di molte isole, quindi hanno tantissime spiagge, ma non vanno mai al mare per prendere il sole o nuotare. Noi stessi, missionari del Pime, avevamo nel Kyushu una parrocchia al mare, Karatsu, ma non siamo mai andati in spiaggia a nuotare. Se vai in spiaggia non trovi nessuno. Siamo andati con i bambini per visitare la spiaggia, ma proprio una visita, come visiti il museo. Ci sono anche le gite in comune, pagate magari dalla ditta dove lavorano. La loro passione è fare viaggi all’estero, vedere il
mondo, specialmente l’Europa e l’Italia, tanti vengono in Italia, credo sia il paese che attira di più, anche per la musica e il canto. I pensionati che non lavorano più, però trovano sempre qualcosa da
fare, poi vedono la televisione, leggono i giornali (i quotidiani in Giappone sono tanti e molto più letti che in Italia), hanno i loro club dove giocano, le loro associazioni che promuovono cultura, concerti musicali, hobby, oppure visitano i luoghi storici e religiosi del Giappone. Nelle città godono anche entrando nei grattacieli, nei supermercati dove ci sono giochi di luce, giochi per bambini e altri segni della modernità”.
Come si divertono i giapponesi? “Il loro divertimento è la natura, godono a vedere un giardino fiorito, coltivano piccoli orti o giardini, anche nelle case tengono dei vasi di fiori, nel cortiletto
coltivano fiori. La loro passione è la natura, si divertono nel guardare la natura. Attorno ai templi buddhisti c’è sempre un giardino oppure i templi sono in un bosco. Non hanno l’idea di un Dio personale, Dio è la natura, l’armonia della natura, la bellezza dei fiori di ciliegio. Non conoscono Dio e lo vedono nell’armonia della natura, nei fiori, negli alberi, nel fiume, nei monti. Se c’è una cosa che si può dire del Giappone oggi è che il popolo ha un forte senso religioso e ha davvero, nella crisi attuale, la sete di conoscere Dio”.
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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.