di Eugenio Fizzotti
ROMA, martedì, 31 gennaio 2012 (ZENIT.org) – Dando la parola a Don Bosco, ritenuto padre e amico, di cui è il nono successore come responsabile della Congregazione Salesiana, Don Pascual Chávez Villanueva ha inviato ai giovani del Movimento Giovanile Salesiano un messaggio proprio nel giorno in cui tutta la Chiesa festeggia D. Bosco nel 124° anniversario della morte (31 gennaio 1888).
Nella lettera si invitano i giovani a continuare a vivere esperienze significative di taglio educativo, a far emergere il profondo senso di responsabilità nelle scelte di vita quotidiana, a vivere con fierezza la propria fede, accogliendo con gioia la Parola di Dio e adorando con silenzio Gesù Eucaristia, come ha visto fare a Madrid il 17 agosto 2011 nel corso della Giornata Mondiale della Gioventù, alla quale era intervenuto con molti Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice che, attenti alla vita e ai desideri dei giovani, li accompagnano con fedeltà e impegno nel loro cammino di crescita spirituale.
Con estremo e semplice realismo il Rettor Maggiore dei Salesiani, rivolgendosi ai giovani a nome di Don Bosco, ha detto loro di essere felice di sapere che si sta preparando una grande festa per il 2015, nel secondo centenario della nascita (16 agosto 1815). «Vi parlo, dunque, come allora, più con il caldo linguaggio del cuore che con astratti argomenti logici, anche se riconosco, nella presente confusione ed evanescenza del pensiero odierno, quanto siano importanti la chiarezza delle idee e la fondatezza delle convinzioni. Sono molti i messaggi e messaggini che ricevete, ma io vorrei che riattivaste con me i canali di una comunicazione intensa, quella che intercorre tra inseparabili amici di lunga data, una comunicazione che è condivisione e dialogo».
Consapevole della complessità del sentiero che porta al cuore dei giovani, «tante volte ferito dall’indifferenza degli adulti o dal fallimento di amori traditi», il successore di Don Bosco ha messo in evidenza che «guardando i giovani di oggi nella scuola, allievi talvolta annoiati e demotivati, o sulle strade, scanzonati zingari senza meta, ho l’impressione di un generale malessere, di un arrancare monotono nella quotidianità della loro vita. Scorgo alle volte, per analogia, lo stesso paesaggio che mi si presentò in sogno all’età di nove anni: una grande moltitudine di giovani bisognosi di aiuto, di comprensione, di opportunità, di amore».
Come conseguenza della conoscenza delle problematiche del mondo giovanile, Don Bosco accolse il mandato del Signore di impegnarsi a far sì che ai giovani non manchi l’aria per respirare con il terribile rischio di morire di asfissia spirituale, dovuta alla corruzione diffusa, al disinteresse nei loro confronti, alla precarietà del futuro, reso incerto da un’economia impazzita, da una religione ridotta a gelido schema istituzionale e da una conseguente preghiera vuota di passione e di entusiasmo, come pure da una società o da comunità familiari in cui spesso le relazioni sono asettiche e in cui, scambiandosi parole impoverite di senso e di calore, si spegne lo slancio vitale e si inaridisce ogni sorgente di buoni propositi.
Se anche oggi il contesto in cui i giovani vivono è segnato da povertà di valori e da una cultura di basso profilo, occorre chiedere loro un salto di qualità, un’energia nuova, un gesto profetico per annunciare ai loro compagni, ai tanti amici “quiescenti”, alle loro famiglie talvolta “spente” o in difficoltà, un progetto di vita coraggioso, generato da profonde convinzioni umane e religiose.
Ciò vuol dire che, con l’aiuto del Signore e dei Salesiani, i giovani, considerati da Don Bosco “speranza fatta carne”, riescono a «trovare, tra le tante suggestioni illusorie che li raggiungono, il sogno che li rende persone creative, il sogno che ridesta la volontà assopita, che smuove le energie segrete, che dà la forza di affrontare e superare le inevitabili difficoltà della crescita, che dona l’indomita fermezza di sostenere l’attesa del compimento senza pretendere subito ciò che si sogna».
La proposta di «proiettarsi verso qualcosa che ancora non si possiede, ma in cui ci si riconosce, vuol dire scoprire con intelligenza la presenza di “un Dio che ci accompagna” nel fluire dei giorni. Nessun progetto, dal più modesto fino al più prestigioso, che riempia di senso l’esistenza, può diventare realtà senza essersi prima nutrito di un sogno. È indispensabile, per fare scelte coraggiose dentro una società liquida, senza anima e povera di valori, ritrovare la forza di avere ampie visioni che sradichino l’uomo dalla sua mediocrità e lo facciano camminare verso cieli nuovi e terra nuova».
E dopo aver invitato i giovani a leggere con molta attenzione il libro Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, che fu costretto a scrivere al compimento del 58° anno dal Papa Pio IX, Don Bosco attraverso il suo nono successore sottolinea che i Salesiani educano «con un magistero di ascolto e di rispetto più che con la sferza e la predica, con un silenzio sofferto che rivela amore e attesa più che con il duro rimprovero, con l’autorità che sgorga dalla vita coerente e irreprensibile, più che con il potere che deriva da un ruolo o dalla legge».
Se l’educazione si fonda sull’amore, riflesso gratuito della misericordia di Gesù, è bene che gli stessi giovani comprendano che l’amore di Don Bosco per loro è una missione che anch’essi sono chiamati a condividere, diventando apostoli dei giovani. Ecco perché Don Chávez, a nome di Don Bosco, dice: «Uno può anche volere forzatamente una cosa o un ideale, ma se non trova la giusta modalità, la sua capacità di perseverare vacilla, perché ciò che non convince non può divenire meta stabile di una vita. Come ai tempi di Isacco dobbiamo scavare nuovi pozzi, dar vita a una nuova cultura, a nuovi modi di vivere insieme. Conto su di voi, scommetto la mia vita ancora una volta sulle vostre capacità di rialzarvi, di ritrovare fiducia nella vita, intuizioni per programmarvi un futuro di solidarietà e di pace. Nel formare il mio gruppo di Salesiani ho puntato tutto sui giovani ed è stata una folgorazione vincente. Solo voi giovani avete le potenzialità di trasformare le vostre conoscenze in sapienza, e di immettere questa sapienza nella vita. Non ripiegatevi su voi stessi, viandanti stanchi e rassegnati, ma interpretate la vostra condizione umana come “avventura divina”, coinvolgendovi e integrandovi con tutti i figli di Dio sparsi nel mondo, nella splendida Storia della salvezza».
Tocca ai giovani, dunque, scendere ai marciapiedi del quotidiano, percorrere le strade della vita ordinaria, dove tanti loro amici spendono la propria esistenza nella ricerca spesso vana della felicità. E a loro gridare la voglia di cambiamento perché «siete sentinelle, pronte a lanciare segnali d’amore in grado di suscitare speranza e coraggio di vivere, liberi e lucidi interpreti delle esigenze del Vangelo e siete cittadini che spendono un po’ di vita per il bene comune, in spirito solidaristico e attento alle realtà territoriali».
In questo modo i giovani possono promuovere una cultura della solidarietà, coltivare atteggiamenti di servizio disinteressato, aumentando in cuore la consapevolezza della necessità di contrapporsi alle mille forme di persistente egoismo di cui è affetta la società. E rifacendosi al recente discorso tenuto da Benedetto XVI ai membri della Curia romana, nel quale ha definito la Giornata Mondiale della Gioventù del 2011 come «una forma nuova, ringiovanita d’essere cristiani», Don Bosco attraverso Don Chávez ha ricordato le cinque principali vie per annunciare e testimoniare Cristo oggi, a un mondo che sembra stanco e annoiato della proposta cristiana: la partecipazione di giovani provenienti da tutte le parti del mondo evidenzia «una nuova esperienza di cattolicità, della universalità della Chiesa»; l’impegno gener
oso e gioioso di migliaia di volontari mette in rilievo che «essere per gli altri è una cosa bella»; l’intenso silenzio alla presenza del Santissimo Sacramento è «espressione della fede nella sorgente di spiritualità, che dà l’energia per la consegna della propria vita»; l’accostarsi al Sacramento della Penitenza rende consapevoli che «siamo bisognosi del perdono, che è segno anche di responsabilità»; la gioia proviene dalla fede, dalla certezza d’essere voluti, accolti, benvoluti, amati da Dio, da Qualcuno che ci dice “è buono che tu ci sia”, da Qualcuno che ha pensato a noi e a un progetto per noi.
E concludendo il messaggio Don Bosco manifesta il suo profondo desiderio che i giovani incontrino la felicità, «la gioia di un sogno che, spalancandovi al Mistero di Dio, vi permetterà di navigare verso acque limpide e profonde, verso quella pienezza di potenzialità che Dio da sempre ha seminato nei nostri cuori».