Quando si volevano cancellare gli Armeni

Un genocidio ancora negato

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ROMA, martedì, 24 aprile 2012 (ZENIT.org) – Oggi 24 aprile si celebra la strage degli armeni per mano dei nazionalisti turchi avvenuta nel 1915. Si tratta del primo genocidio che si è verificato nel ventesimo secolo, con un milione e duecentomila vittime. 

Un avvenimento tragico conosciuto da pochi. In Italia è diventato noto soprattutto per merito di Antonia Arslan  che nel 2004, pubblicò il suo primo romanzo La masseria delle allodole che vinse vinse il Premio Campiello (2004) ed ebbe un grandissimo successo di pubblico.

Antonia Arslan, laureata in archeologia, è stata docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Padova. 

Attraverso l’opera del grande poeta Daniel Varujan, del quale ha tradotto (con Chiara Haiganush Megighian e Alfred Hemmat Siraky) le raccolte II Canto del Pane (1992) e Mari di grano (1995), ha riscoperto la sua profonda e inespressa identità armena (il vero nome della sua famiglia è infatti Arslanian).

Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio Metz Yeghèrn. Il genocidio degli Armeni, di Claude Mutafian e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia Hushèr, la memoria, voci italiane di sopravvissuti armeni (2001).

La masseria delle allodole è la casa, sulle colline dell’Anatolia, dove, nel maggio 1915, all’inizio dello sterminio degli Armeni da parte dei Turchi fra massacri, morte e disperazione  tre bambine e un “maschietto-vestito-da-donna” salperanno per l’Italia, dove li accoglierà lo zio Yerwant, nonno dell’autrice, “colpevole di essere sopravvissuto”, perché emigrato giovanissimo.

Per questo libro l’autrice ha ottenuto vari riconoscimenti quali il “Premio Letterario della Poesia Religiosa” in Campania ed il “Premio del libraio, citta’ di Padova 2005”.

In una intervista concessa a Stas Gawronski, e pubblicata il 21 aprile da “Bomba carta” (http://bombacarta.com/2009/04/21/le-strade-di-antonia-arslan/) alla domanda su perchè a così grande distanza nel tempo c’è ancora chi nega le atrocità perpetrate con il genocidio degli armeni, la Arslan ha risposto: “Sembra incredibile, è vero. Io faccio parte di un gruppo che dialoga su internet e in cui si ritrovano studiosi di tutto il mondo – tra questi molti sono turchi.

E anche le ricerche sulla verità storica vanno avanti continuamente. Di recente è emersa ufficialmente la storia di un padre turco che ha coraggiosamente denunciato il Ministro dell’educazione perché sua figlia e molti altri bambini turchi a scuola sono stati costretti a vedere un film squallido che incita all’odio verso la povera minoranza armena.

Si tratta di un tentativo revisionista fatto all’interno della lotta che si sta svolgendo in Turchia fra i negazionisti e chi cerca di far progredire il paese facendogli scoprire gli scheletri negli armadi del passato per guarire finalmente la nazione dagli odi. Una nazione che vive ancora la realtà su due piani distinti perché tutti sono a conoscenza di quello che è accaduto nella storia ma nessuno ne parla apertamente.

C’è quindi, ancora, un fondamento di profonda menzogna. Anche su internet del film si dice che è una vergogna, che è soltanto un incitamento all’odio la teoria che sostiene sarebbero stati gli armeni ad aver massacrato i turchi. E allora perché oggi in Turchia gli armeni sono solo 60.000 e i turchi 73 milioni?

La fortuna ha voluto però che una bambina di dieci anni tornasse a casa e raccontasse del film al padre, che è un avvocato turco e che ha denunciato il fatto. Si tratta evidentemente di un uomo sensibile come quei centomila cittadini turchi che sono scesi in strada a manifestare con i cartelli che dicevano “siamo tutti armeni”, quando è stato ucciso il giornalista e scrittore armeno Hrant Dink nel gennaio 2007. Vedremo come si evolverà la situazione e quali conseguenze ci saranno”.

Circa le minacce per l’avvocato, la Arslan ha spiegato cherischia di essere messo sotto processo, sia lui sia chi ha aderito alla Petizione dei 200 promossa da duecento intellettuali turchi che hanno chiesto scusa agli armeni attraverso internet. Di proposito non hanno mandato la petizione ai giornali e in pochi giorni è stata firmata da 30.000 persone.

Subito un procuratore della Repubblica – mi sembra di Ankara – voleva metterli sotto processo tutti e 30.000. Allora un paio di giornali turchi hanno scritto: Siamo matti? Dove celebriamo il processo? Allo stadio? – è evidente che nella questione ci sono risvolti comici…
Quel procuratore ha così rinunciato all’idea ma se ne è fatto avanti un altro che vuole processarli ugualmente: rischiano l’accusa di oltraggio alla Turchia e la pena di alcuni anni di prigione – ma anche se non dovessero metterli in galera ci sono comunque le spese legali da sostenere e tutte le conseguenze che si possono immaginare”.

Il libro “La masseria delle allodole” è stato tradotto in tanti paesi del mondo, e, nel corso dell’intervista pubblicata da Bomba Carta, l’autrice racconta che:L’accoglienza è stata dolce ed entusiasmante a seconda dei luoghi. Negli Stati Uniti e in Inghilterra il romanzo è andato bene – in entrambi i paesi è stato pubblicato anche in edizione tascabile.

Negli USA è arrivato finalista a un grande premio, il Los Angeles Times Book Prize e in Inghilterra al Premio di Dublino. Però, al di là dei riconoscimenti ufficiali, per me la cosa più importante è che tra le comunità armene è iniziato uno scambio di opinioni su quelle memorie sospese nel tempo: ora ci si parla e si comincia a pensare.

E soprattutto a riflettere sul fatto che se una piccola comunità come quella italiana è riuscita a esprimere un libro che viene tradotto in tutto il mondo, anche ciascuna delle altre comunità può iniziare a farsi sentire, a difendersi di più. Ecco un esempio: il 22 di aprile vado negli USA all’Università di Princeton e poi a Detroit dove la locale comunità armena ha comprato 1000 copie del mio libro per distribuirle gratuitamente alla gente. Pensa che cosa tenera. Finora La masseria delle allodole è stato tradotto in quindici lingue – sta per uscire in russo e spero presto in arabo”.

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ZENIT Staff

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