di Carmine Tabarro
ROMA, venerdì, 10 agosto 2012 (ZENIT.org) – Per il meanstream contemporaneo le imprese “non profit” sono impegnate nei servizi sociali come asili nido, filantropia, housing sociale, mutue integrative, associazioni, fondazioni, cooperative sociali, ong ecc…
Questa formula imprenditoriale innovativa si caratterizza per alcuni elementi qualificanti: il capitale reputazionale, il capitale umano, il legame con il tessuto territoriale, la sussidiarietà circolare che le permette di svolgere una funzione anticipatrice e innovativa dei bisogni, democraticità e autonomia, struttura flessibile, il bilancio sociale ed economico, l’efficacia dell’utile sociale ed efficienza del profitto coniugato con il bene comune.
Ma l’aspetto più innovativo dell’impresa lo ha colto Benedetto XVI con la Caritas in Veritate. Il Papa ha giustamente sottolineato come nell’epoca postmoderna, vi deve essere il superamento dei confini tra imprese profit e non profit.
Il Santo Padre nell’enciclica invitava, infatti, a superare la dicotomia “non profit”/”for profit”, perché questa distinzione continua a porre al centro dell’impresa il profitto. Per il Papa, chi ha come fine il profitto non è l’imprenditore, ma lo speculatore, perché il suo scopo è far profitti tramite l’attività che svolge – che quindi è solo strumentale – in vista di un obiettivo esterno all’attività stessa.
La figura dell’imprenditore è un altro tipo di agente economico. Egli ha come scopo un progetto, molto più complicato e antropologicamente complesso della ricerca del profitto. Se infatti così non fosse, molti imprenditori avrebbero convenienza a chiudere l’impresa, e a vivere di rendita.
La distinzione del Papa ha anche il merito, e l’onestà, di svelare che esistono imprese sociali non profit “incivili”, speculative cioè, dove l’impegno volontario, o la missione dell’impresa non profit, è oggetto di sfruttamento ed elemento di distorsione del mercato.
In questo senso il Pontefice afferma il superamento anche dell’espressione “Terzo settore” (di matrice statalista), volendo così andare definitivamente oltre alla concezione “residuale” del non profit e forse anche all’articolazione triangolare di sinergia tra mercato, società civile e Stato prospettata da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus.
Il Beato parlava, infatti, della “società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione” che “non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato”. L’impresa che propone Papa Benedetto è, invece, un corpo intermedio della società che coniuga il bene comune con il profitto, l’efficacia e la qualità sociale con l’efficienza economica.
Più in particolare per Benedetto XVI, l’impresa ha una priorità che risiede nel dono, ovvero il ricevere su quanto è prodotto da noi. Il dono è fondamentale per lo statuto di qualsiasi forma d’impresa, laddove è negato nell’impresa governata secondo criteri finanziari.
Nel capitalismo finanziario vi è il primato della speculazione e lo svilimento della dignità intrinseca del lavoro. Ma come afferma l’enciclica, soprattutto per superare questa dura crisi, è necessario promuovere maggiormente le forme di scambio economico più vicine alla logica del dono e dunque più giuste, più sostenibili.
Numerosi studi dimostrano che l’efficacia e l’efficienza di una impresa dipende in misura sempre maggiore da quanto impegno gratuito e immateriale ogni dipendente è in grado di aggiungere al suo lavoro retribuito, quel “di più” fa la differenza, dimostra che la sostenibilità di un’impresa non fa rima solo con denaro.
In questa logica dell’economia del dono che il Papa propone, è possibile coniugare il lavoro con la modalità attraverso il quale è possibile ritrovare un senso nuovo alla valenza simbolica del lavoro medesimo, inteso appunto come un donare per il bene comune e non solo come un produrre beni e servizi.
Secondo la Caritas in Veritate, inoltre, è possibile sperimentare forme autentiche di comunione e di dono anche nel contesto dei sistemi economici postmoderni. Non è solo possibile, ma è soprattutto necessario, perché “senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica”.
In altre parole, senza forme interne di fraternità, di gratuità e di dono, il mercato assume una connotazione meramente speculativa, come dimostra l’attuale profonda crisi.
Infatti “accanto all’impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica”, devono potersi radicare ed esprimere quelle “attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza perciò stesso rinunciare a produrre valore economico” siano esse non profit o for profit.