Battezzati “prima della creazione del mondo”

Festa del Battesimo del Signore

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di padre Angelo del Favero*

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 9 gennaio 2008 (ZENIT.org).- “..Vi fu Giovanni che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione (…) Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo” (Mc 1,4.7-8).

Il battesimo di Giovanni può essere rappresentato da una donna sterile che stringe a sé un bambino nella tristezza: il suo profondo desiderio di essere mamma non potrà mai essere soddisfatto; il Battesimo di Gesù è questa stessa donna trasfigurata dalla gioia, per il miracolo della nuova vita che si muove in lei.

Questa è la differenza tra “con acqua” del battista umano, e “in Spirito Santo” del Battista divino: Gesù solo può trasformare la persona in gioia pura, poiché la libera dal quel peccato che ne rendeva sterile l’anima, impedendole di concepire la divina Presenza mediante la fede. L’uomo così torna ad essere conforme al progetto personale di origine, quello pensato da Dio “prima della creazione del mondo” (Ef 1,4): un figlio destinato a diventare “casa del Padre”, dimora della Famiglia divina, meraviglioso castello.

Eccone la descrizione di Teresa d’Avila, la santa carmelitana cui Dio ha concesso la “visione” dell’anima in grazia: “Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto d’un sol diamante o di un tersissimo cristallo. Del resto, se ci pensiamo bene, che cos’è l’anima del giusto se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie? No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un’anima e alla sua immensa capacità! Tuttavia, per avere un’idea della sua eccellenza e dignità, basta pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, essendo anche l’anima una creatura” (Castello Interiore, prime Mansioni, cap.1, n.1).

Teresa si rammarica per l’ignoranza di tale nostra indicibile bellezza e dignità: vale la pena ascoltarla, poiché le sue osservazioni sono molto più attuali oggi di cinque secoli fa: “Che confusione e pietà non potere per colpa nostra intendere noi stessi e conoscere chi siamo! Non sarebbe grande ignoranza se uno, interrogato chi fosse, non sapesse rispondere, né dare indicazioni di suo padre, di sua madre, né del suo paese di origine? Se ciò è indizio di grande ottusità, assai più grande è senza dubbio la nostra, se non procuriamo di sapere chi siamo, per fermarci solo ai nostri corpi. Sì, sappiamo di avere un’anima, perché l’abbiamo sentito e perché ce l’insegna la fede, ma così, all’ingrosso, tanto è vero che ben poche volte pensiamo alle ricchezze che sono in lei, alla sua grande eccellenza e a Colui che in essa abita. E ciò spiega la nostra grande negligenza nel procurare di conservarne la bellezza. Le nostre preoccupazioni si fermano tutte alla rozzezza del castone, alle mura del castello, ossia a questi nostri corpi” (C.I., 1,1,2).

In una parola: non apprezziamo e rispettiamo il valore della vita perché non conosciamo la verità della nostra persona, totalmente contenuta e rivelata nel mistero del Battesimo.

“Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino”, esorta oggi il profeta Isaia, ed aggiunge: “Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano la vostre vie…” (Is 55,6.9). Sembra perciò contraddirsi affermando la vicinanza di un Dio irraggiungibile: come incontrare il Signore se Egli se ne sta lontano quanto “il cielo sovrasta la terra”?

Ma il profeta risolve subito l’enigma con la parabola della pioggia, ed è già l’annuncio (battesimale) che Dio stesso colmerà l’infinita distanza che Lo separa dall’uomo, entrando nella “terra” del suo essere, che Egli stesso ha creato: “Come infatti la pioggia e la neve scendono (…) e senza avere compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10-11).

A differenza dell’acqua che scende dalle nubi, però, la Parola divina non compie un ciclo “andata e ritorno”, dal momento che essa stessa ha fatto dell’anima del battezzato “il suo Cielo, la sua dimora preferita, il luogo del suo riposo” (Elisabetta della Trinità: Elevazione alla Trinità).

Presso il fonte battesimale, si compiono, per mezzo della liturgia, le parole profetiche appena ascoltate: scende sul capo l’acqua benedetta, e, contemporaneamente, esce dalla bocca del sacerdote, “in persona Christi”, la Parola divina: “Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Allora la terra dell’anima, preparata dal rito dell’esorcismo, viene irrigata e fecondata dallo Spirito, comunicato dall’acqua lustrale. L’acqua, infatti, è un segno efficace della rigenerazione nella vita spirituale, dal momento che è principio di generazione nella vita naturale degli uomini, animali e piante.

Isaia specifica che l’acqua “scende dal cielo”. C’è qui un significato dinamico preciso: in ogni caso (sia nel battesimo per immersione, sia in quello per infusione, sia per aspersione) l’acqua deve scorrere, affinché si tratti di un vero lavacro, e dev’essere in quantità sufficiente per… “irrigare la terra”.

Perciò un dito intinto nell’acqua e passato sul capo del bimbo è insufficiente, poiché l’acqua deve toccare la pelle. Né sarebbe sufficiente uno spruzzo di aerosol. Il problema nel secondo caso, è che a bagnare la pelle è una quantità d’acqua troppo esigua perché possa simboleggiare un lavacro.” (Paul Haffner, Il Battesimo, in Sacerdos Quaderni, 2005).

E qui non possiamo non fermarci con stupore a riflettere che lo Spirito di Dio, Fonte di ogni santità, ancora “prima della creazione del mondo” (Ef 1,4) desiderava essere per l’uomo “Fonte battesimale”, poichè lo ha “progettato” in modo che per quasi nove mesi (dal giorno in cui lo accoglie la culla endometriale), egli si trovasse immerso inacqua..corrente, quel liquido amniotico che il bambino ingerisce ed elimina di continuo, rinnovandolo interamente più volte al giorno.

Ma torniamo all’esortazione “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino” (Is 55,6).

Osserva il carmelitano san Giovanni della Croce: “E’ già molto se si conosce il luogo dove Dio sta nascosto, per cercarlo con la certezza di trovarlo” (Cantico 1,8).

In cosa consiste questa ricerca? Nel farsi trovare da Lui! Come si fa? Risponde Isaia: “L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri…” (Is 55,7).

Per la Bibbia, l’empietà è anzitutto vivere come se Dio non ci fosse, o se non fosse il Padre che Gesù mostra in Se stesso, Padre misericordioso e giusto che non ci lascia soli ad “osservare i suoi comandamenti” (1Gv 5,3), enormemente gravosi per la nostra debolezza, poichè ci dona quella grazia che consente di metterli in pratica “volentieri”, com’è facile per una barca a vela lasciare i remi e procedere spinta dal vento.

Ciò significa, in concreto, quella vita di preghiera che per la nostra fede “non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna che è Dio stesso” (Benedetto XVI, Angelus, 4 marzo 2007).

Dall’icona della maternità apprendiamo il dono e il compito della preghiera, un’arte “battesimale” che è essenzialmente “raccoglimento” delle nostre facoltà dis-tratte sopra il Centro vivo che sta dentro di noi, quella amorosissima presenza dei Tre Abitanti del castello che la nostra fede amante farà crescere, di mese in mese, fino all’esperienza profonda dell’ “invaghimento del cuore” (il faccia a faccia del bambino con la mamma nel giorno della nascita: Giovanni Paolo II, Letter
a apostolica Novo Millennio Ineunte, n.33).

Ecco: il Battesimo porta a compimento la nostra creazione, riempiendo l’anima del suo Dio infinito, per una relazione permanente nell’amore. Tale è la relazione di fede in Cristo, stabilita dal sacramento della nostra “rinascita” dall’Alto, come insegna Gesù a Nicodemo (Gv 3,1-15), ed intensificata di giorno in giorno nell’incontro della preghiera.

E perché non dimentichiamo che tale relazione, come ogni maternità, non potrebbe crescere senza l’accettazione del sacrificio e del travaglio, oggi l’apostolo Giovanni ci ricorda che “Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue (…)” (1Gv 5,6-8). Osserva Papa Benedetto: “Qui è presente evidentemente un risvolto polemico nei confronti di un cristianesimo che riconosce sì come avvenimento salvifico il battesimo di Gesù, ma non la sua morte di croce. Si tratta di un cristianesimo che, per così dire, vuole solo la Parola, ma non la carne e il sangue. Il corpo di Gesù e la sua morte, insomma, non svolgono alcun ruolo. Così quello che resta del cristianesimo è ‘acqua’ – la parola senza la corporeità di Gesù perde la sua forza. Il cristianesimo diventa pura dottrina, puro moralismo e questione di intelletto, ma gli mancano la carne e il sangue. Chi non vi scorgerebbe qualche minaccia per il nostro cristianesimo attuale? L’acqua e il sangue vanno insieme; incarnazione e croce, battesimo, parola e sacramento sono inseparabili. E il Pneuma deve aggiungersi a questa triade della testimonianza.” ( J.R., Gesù di Nazaret, p. 284).

Per concludere, ascoltiamo l’autorevole parola del Magistero che riguarda quello che potrei chiamare “il caso serio” del sacramento del Battesimo, il fatto cioè che miliardi di bambini sono morti e muoiono senza battesimo: in maggioranza quelli che vengono uccisi con l’aborto nel grembo delle loro madri lungo tutto l’arco della gravidanza, dal concepimento al nono mese; poi tutti quelli uccisi dalle tecniche di fecondazione artificiale sostitutive dell’atto coniugale; i bambini congelati in frigorifero e buttati; quelli uccisi dalle tecniche intercettive e contragestative; quelli creati per essere distrutti, nella clonazione “terapeutica”; ecc.: “Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro. Infatti, la grande misericordia di Dio che vuole salvi tutti gli uomini e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli hanno fatto dire: ‘Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite’ (Mc 10,4; cfr 1 Tm 2,4), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo. Tanto più pressante è perciò l’invito della Chiesa a non impedire che i bambini vengano a Cristo mediante il dono del santo Battesimo” (C.T.I., La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo, 2007).

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* Padre Angelo, cardiologo, nel 1978 ha fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita all’ospedale Santa Chiara di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1984. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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