In onda domenica 1° settembre 2013 alle ore 23.30 sul canale LA7D il film “Viaggio a Kandahar“, che racconta la storia di una giornalista canadese di origine afgana che torna nella sua terra natia in cerca di sua sorella, mutilata fin da bambina da una bomba.
Gli eventi dell’11 settembre hanno sinistramente polarizzato l’interesse verso questo film del regista iraniano. Mohsen Makhmalbaf. Già presentato all’ultimo festival di Cannes, il film parla del viaggio di una giornalista (Nafas) in terra afgana alla ricerca di sua sorella che le ha espresso in una lettera l’intenzione di suicidarsi all’arrivo dell’ultima eclisse del secondo millennio (avvenuta l’11 agosto 1999). La giornalista è anch’essa di origine afgana ma emigrata a 16 anni in Canada mentre sua sorella è rimasta in patria dopo che una bomba le aveva amputato entrambe le gambe. Il film è un pretesto del regista per farci viaggiare, non in senso geografico ma all’interno di tutte le principali categorie umane che condividono l’attuale dramma di questo popolo: sicuramente le donne in burqa, ma anche gli uomini mutilati, le bambine, i giovani studenti del Corano.
Il film è un documentario sull’umanità afgana dove ognuno è ritratto nella sua lotta giornaliera per la sopravvivenza: le donne, costrette a vivere sotto un mantello che le ricopre integralmente, non rinunciano a mettersi il rossetto e lo smalto sulle unghie anche se nessuno le potrà ammirare; i bambini che studiano il Corano ripetendo all’infinito i suoi versetti ed esaltando con frasi fatte il potere del Kalashnikov, arma di giustizia divina, poco si curano del lavaggio del cervello che stanno subendo: l’importante è avere la propria razione di pane a fine della giornata. Gli uomini, mutilati alle gambe ed alle braccia dalla guerra e dalle mine, si contendono le poche protesi che la Crocerossa internazionale riesce loro a fornire. Le bambine vengono addestrate a non essere bambine perché le bambole che trovano per terra e con la quale vorrebbero giocare, potrebbero in realtà essere delle mine anti-uomo.
Le storie narrate non sono frutto di indagini letterarie ma l’esperienza diretta del regista che è riuscito ad entrare clandestinamente in quel paese. Profondamente impressionato dalla loro sofferenza, egli sembra non puntare il dito sulla guerra e forse neanche direttamente contro i talebani ma cerca di rappresentarci tradizioni ed abitudini secolari, profondamente radicati nella tradizione di quelle regioni (anche nel vicino Pakistan). Il regista vuole farci capire che, anche quando Bill Aden sarà un ricordo ed il governo dei talebani sarà stato sconfitto, le donne continueranno in quelle terre a portare il burqa, perché così vogliono le loro tradizioni, più radicate di qualunque tipo di governo.
Significativo a questo proposito è un episodio raccontato nel film: un vecchio marito di tre mogli molto pio e benintenzionato, si presta ad aiutare la giornalista ad attraversare i confine dell’Afghanistan ma quando Nefas, ormai superato il pericolo, alza il suo velo scoprendo il suo volto, il vecchio protesta sdegnato perché gli altri uomini la credono una delle sue mogli e in questo modo egli ne resterebbe “disonorato”.
Concordo con il giudizio di alcuni critici che hanno osservato che l’impegno polemico del regista si è come stemperato nella rappresentazioni di immagini oniriche, quasi felliniane (i burqa colorati che si gonfiano al vento, le protesi delle gambe che scendono dal cielo con un paracadute…).
Si tratta comunque di un film che apre per noi occidentali una finestra su di un mondo che per troppo tempo abbiamo trascurato.
Il film è consigliabile a tutti con l’esclusione dei più piccoli, a causa della rappresentazione realistica di persone mutilate.
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Titolo Originale: Safar é Ghandehar
Paese: Iran
Anno: 2001
Regia: Mohsen Makhmalbaf
Sceneggiatura: Mohsen Makhmalbaf
Interpreti: Niloufar Pariza (Nafas)
Durata: 85′
Interpreti: Niloufar Pazira (Nafas)
Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it/