La Chiesa deve salvare il mondo, non salvarsi dal mondo

Papa Francesco ha esortato i cardinali a non pensare ai privilegi ma a vivere con lo stesso spirito dei pastori “alle periferie”

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Il Papa venuto da più lontano, dalle terre “della fine del mondo”, rivolgendosi ai Cardinali nel secondo giorno del Concistoro, si è riferito espressamente al fatto che i Cardinali entrano a far parte della Chiesa di Roma, cioè della sua Diocesi, e non giungono a far parte di una corte.

Di qui l’ammonimento a evitare tutti gli atteggiamenti ed i comportamenti propri di ogni corte, in particolare le “chiacchiere” e le “cordate”, citate espressamente da Bergoglio con un termine desunto precisamente dal gergo curiale.

Che cosa sia la Chiesa di Roma oggi, il Papa lo ha detto un anno fa, proprio nel momento in cui – prendendo possesso della Cattedrale del Laterano – ne assumeva formalmente la guida: è una comunità in cui si commette peccato, si dubita della fede e si cade nella disperazione, sia materiale, sia spirituale.

Fare parte della Chiesa di Roma non significa dunque entrare nell’ambito privilegiato di chi gode della vicinanza con il Papa per godere i privilegi di questo stato particolare: vuole dire al contrario ritrovare quelle stesse condizioni, quegli stessi problemi, quegli stessi drammi che i Cardinali vivono nelle loro rispettive sedi residenziali.

Non c’è dunque una possibile salute della Chiesa che prescinda dalla salute del mondo: la Chiesa deve salvare il mondo, non già salvarsi dal mondo isolandosi da esso come vorrebbero quanti criticano il Papa.

In questa opera di salvezza, la Chiesa è ispirata dallo Spirito Santo, che la rinnova costantemente nel cammino della storia.

Luogo e tempo sono dunque le due dimensioni in cui si situa la comunità dei credenti: il luogo, secondo Bergoglio, sono quelle periferie – intese non solo come luoghi fisici – in cui vi è peccato, vi è dubbio, vi è disperazione; il tempo è quello stesso della vicenda dell’umanità, che tende però verso una teofania, verso un riscatto universale.

Il Papa non dimentica la sua radice, collocata in un Continente dove la Chiesa vive tra l’attenzione verso i poveri e la speranza di un riscatto considerato nello stesso tempo come immanente e trascendente, storico e metafisico.

Quale è lo strumento per trasmigrare da una realtà di povertà e di ingiustizia ad un obiettivo di riscatto e di giustizia?

La parola di Dio, che esorta a perseguire la santità.

Il Vangelo di San Matteo invita ad amare i nemici, a porgere l’altra guancia, a pregare per i persecutori.

Se questo insegnamento lo si legge in termini storici, ci si accorge che nel servizio al prossimo, anche quando è lontano da noi per convinzioni e per atteggiamenti, al punto da determinare una avversione, una apparente incompatibilità di principi, sta l’essenza del messaggio e del comportamento cristiano.

Il cristiano opera sempre, infatti, per il bene e per la salvezza comune.

In questo consiste precisamente l’imitazione di Cristo, che è venuto al mondo per redimere tutti, anche i persecutori.

Se ne deduce che il compito della Chiesa non consiste nel mantenere le divisioni, nel trincerarsi nelle proprie verità, peggio ancora nei propri privilegi, ma nel superare le contrapposizioni tra gli uomini.

Senza l’amore per tutti, il perdono per tutti, senza quella che il Papa definisce la santità, l’oblatività gratuita, non c’è salvezza, né per l’anima individuale, né per il mondo.

Non dobbiamo dunque faci valere, dobbiamo dimenticare le ostilità, dobbiamo praticare sempre e comunque la carità di Cristo.

San Paolo dice che Dio trova posto in noi quando aiutiamo gli altri.

La Chiesa che il Papa chiama a costruire tutti insieme, Cardinali, Vescovi, Sacerdoti e laici è dunque una comunità dedita ad aiutare il mondo, senza discriminare tra quanti ricevono il bene.

Questo non solo risponde all’insegnamento di Gesù, ma costituisce la prefigurazione di un mondo in cui l’unità prevalga sulla divisione, l’amore prevalga sull’odio, il bene prevalga sul male.

In questa visione cade la distinzione tra la giustizia nell’immanenza e la giustizia nella trascendenza e la storia è concepita come un cammino verso il compimento del disegno di Dio.

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Alfonso Maria Bruno

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