Intervenendo questo venerdì alla XXI Conferenza Internazionale sul tema “Gli aspetti pastorali della cura delle malattie infettive” – in svolgimento da giovedì a sabato in Vaticano – e riferendosi ai mass media, il presule ha ricordato che “la Chiesa cattolica ha sviluppato almeno quattro reti di istituzioni per assistere nella sua missione di portare il Vangelo a tutte le Nazioni e a tutti i popoli”.
Il primo è “il suo sistema di diocesi e parrocchie, volto ad essere presente per la gente che serve”; il secondo sono le scuole, “una rete di istituzioni educative dalla formazione del catechismo di base al più alto livello di studi universitari”.
Il terzo è rappresentato dalla “istituzioni sanitarie, così che quanti rappresentano la Chiesa possano essere il Buon Samaritano della nostra epoca, che si prende cura di quanti più malati possibile, ma soprattutto di quanti sono soli e abbandonati nella loro malattia”.
Il quarto sono le comunicazioni, “un sistema di pubblicazioni, stazioni radio, stazioni televisive, uffici per le pubbliche relazioni e siti Internet tutti volti a proclamare il Vangelo e a essere al servizio delle altre attività apostoliche della Chiesa”.
Il presule ha ricordato che quindici anni fa il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali ha pubblicato l’istruzione pastorale “Aetatis Novae”, che ha esortato ogni Conferenza Episcopale, diocesi e istituzione ad avere un piano pastorale per le comunicazioni.
“Sicuramente ospedali e iniziative sanitarie dovrebbero avere un piano pastorale, non solo per i loro servizi, ma anche per e nelle comunicazioni, informando la gente su ciò che fanno e anche su cosa è meglio per la loro salute”.
I media cattolici, ha aggiunto, “dovrebbero rendere noto come evitare malattie infettive e come curare quanti ne sono affetti”.
“Nel rendere noto come evitare malattie infettive, l’astinenza da quei contatti e da quelle attività che esporrebbero una persona alla malattia sono, ovviamente, fondamentali”, ha aggiunto riferendosi non solo alle malattie trasmissibili sessualmente, ma “a tutte le malattie che si diffondono attraverso il contatto umano”.
Il presule ha sottolineato come sia “ironico” che la gente lodi la Chiesa quando, “a livello locale, avvisa le persone in un’area di malattie infettive trasmesse attraverso la bocca di non ricevere la Santa Comunione da una coppa comune”, mentre “critica la Chiesa quando dice, per ragioni sanitarie sia morali che fisiche, di non avere attività sessuale con persone che hanno malattie sessualmente trasmissibili”.
Il presule ha quindi esortato le strutture sanitarie e gli ospedali cattolici “a rendere disponibile all’informazione dei media – conformemente all’insegnamento morale della Chiesa – come condurre una vita sana ed evitare le infezioni”.
“Se non è stata evitata l’infezione, le strutture sanitarie cattoliche possono, dovrebbero e in realtà offrono assistenza a quanti sono malati”, ha osservato.
“Devono essere raccontate due storie – ha concluso –: sicuramente la storia di come evitare di contrarre malattie infettive, ma anche la storia della generosità e del vero eroismo di quanti si prendono cura delle persone che hanno contratto queste malattie”.
Fr. Wojciech Giertych, O.P., teologo della Casa Pontificia, ha invece ricordato che “il medico e l’infermiere cristiano che hanno a che fare con pazienti che soffrono gravi malattie infettive, oltre a prendere tecnicamente le misure giuste, vedranno il paziente alla luce della fede”.
“Una vera apertura al mistero di Dio può essere mantenuta attraverso il rapporto tra medico e paziente – ha osservato –. Superando le paure personali e rispettando la dignità del paziente, il dottore e l’infermiere aiuteranno il paziente a crescere nella fede e nella fiducia, e potranno anche aiutarlo nella preparazione alla morte”.
Sull’accompagnamento del paziente si è soffermato anche monsignor Francisco Robles Ortega, Arcivescovo di Monterrey (Messico), che si è chiesto se sia possibile “educare nella fede un paziente che a causa di una malattia infettiva è costretto a rimanere isolato” e, se sì, come si può fare.
Circa il primo punto, il presule ha risposto che “educare nella fede nella circostanza della malattia invita i nostri fratelli e le nostre sorelle a guardare oltre la malattia e la debolezza umana per scavare nel mistero dell’amore e della misericordia di Dio espressi sulla croce”.
Riguardo ai modi per realizzare ciò, l’Arcivescovo ha in primo luogo sottolineato che “ogni caso è unico e il procedimento deve essere adattato”, ma che gli elementi-chiave sono l’“esperienza della croce”, quella “della carità”, la “vita di preghiera” e “l’esperienza di perdono e misericordia”, che consiste nell’incontro con Dio che prende su di sé i peccati del mondo.
“La fede è offerta gratuitamente a tutti, soprattutto ai sofferenti, come un dono, il più grande dono possibile, e l’unico dono che aprirà per loro la vita eterna”, ha concluso.