Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta ieri sera da monsignor Felice di Molfetta, vescovo della diocesi di Cerignola – Ascoli Satriano, in occasione della riapertura della cattedrale di San Pietro Apostolo a Cerignola e della dedicazione dell’altare dopo i lavori di adeguamento liturgico.
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“Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio risuoni per le acclamazioni del popolo in festa”.
1. Sorelle e fratelli, amati dal Signore!
Ho preso in prestito dal preconio pasquale uno dei suoi frammenti risuonato nella notte gloriosa della risurrezione di Cristo Signore per farmi interprete dell’esultanza di quanti hanno voluto e sostenuto l’intervento di adeguamento liturgico dell’area presbiteriale.
Saluto, con i fremiti del cuore, questa Chiesa Cattedrale datami in sorte per essere luogo e spazio della nuzialità episcopale. La saluto nella sua architettura imponente, nei suoi pilastri e nella sua forza dignitosa; e contemplandola nell’arditezza della sua cupola, le dico:
tu sei degna della Casa di Dio!
tu sei degna di essere anche la reggia e il domicilio dei poveri e di tutti coloro che ti hanno voluto!
tu sei grande, perché sei segno di un’altra grandezza e figura della reggia eterna dei cieli, meta della nostra speranza cristiana!
Depositaria del passato, tu Chiesa Cattedrale ci inviti a cogliere l’identità storica della plebs sancta Dei e a collegarti allo slancio creativo ingenerato dalla fede, cifra sicura dei valori collettivi di un popolo credente.
Tipicamente maestosa, ti imponi sulla coscienza di ogni uomo di buona volontà come simbolo del dialogo tra Dio e l’uomo; perciò sei casa di preghiera per un popolo che si crede convocato dal Signore e rispondendo alla Sua chiamata si lascia trasformare nella sua vita interiore e sociale.
2. Carissimi fratelli e sorelle, se il nostro Duomo costituisce l’orgoglio e la fierezza della Città e dei suoi cittadini per la sua grandiosità, esso è anche vulnerabile ed esanime: ad attestarcelo sono le cronache passate e recenti nonché le sue ferite, qua e là diffuse, e non ancora rimarginate. Proprio per questo siamo stati chiamati dalla Provvidenza a prendercene cura – e solo per amore! – con i medesimi sentimenti di chi vorrebbe vedere la propria madre o la propria sposa rifulgente di luce e di bellezza.
Perché queste pietre fossero conosciute per ciò che le anima dal di dentro, quale fedele interprete del magistero del Concilio Vaticano II sulla sacra liturgia, ho intrapreso questa avventura tra non poche avversità, al fine di risvegliare in tutti l’amore per le cose sante e per le cose belle.
Il rito che stiamo celebrando chiama in causa la cattedrale in alcuni suoi spazi, nel suo slancio ascensionale e nel curvarsi delle sue campate sull’altare per cingerlo e avvolgerlo in un abbraccio fecondo; sono questi gli spazi, infatti, che iconizzano l’epifania del Mistero attraverso la varietà dei suoi segni.
La cattedra è il primo segno, segno che spiega pienamente il senso del termine “cattedrale” e che, grazie alla sua presenza, la cattedrale si distingue da tutte le altre chiese. Essa infatti è “il segno per eccellenza del magistero che spetta a ogni vescovo nella sua Chiesa”[1] e garanzia della legittima successione apostolica nella comunione gerarchica con il Vescovo di Roma.
Attento al simbolismo della cattedra, Agostino annota: “Occorre che nel raduno dei cristiani coloro che presiedono il popolo seggano alquanto in alto, perché si possano distinguere dalla loro stessa sede e risulti sufficientemente chiaro il loro ufficio”.[2]
Lungi dall’essere un mero bisogno funzionale, va ricordato che quando il Vescovo è assiso sulla cattedra, egli si mostra di fronte all’assemblea dei fedeli come colui che presiede “in loco Dei Patris”, secondo la notissima formula di Sant’Ignazio di Antiochia. Perciò, “Colui che qui siede, tiene il posto di Dio Padre”:[3] ciò mi induce però a pensare continuamente alla responsabilità di cui dovrò rendere conto,[4] anziché gloriarmi del prestigio della sede che occupo.
Orientata verso il luogo dell’annuncio cui per primo il Vescovo deve prestare ascolto prima di insegnare e posta nella prossimità dell’altare, la cattedra diventa così elemento costitutivo del magistero e della santificazione del popolo affidato al Vescovo, essendo questi, per sua nativa vocazione, “il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo”.[5]
Perciò, “La presenza di questa Cattedra fa della Chiesa Cattedrale il centro spaziale e spirituale di unità e di comunione per il presbiterio diocesano e per tutto il Popolo santo di Dio”.[6]
3. Avete visto tre lettori ricevere la benedizione e ascendere su una tribuna, solenne e maestosa. Essa si chiama ambone, ossia il luogo dal quale viene proclamata la Parola di Dio; come tale, deve corrispondere alla dignità della parola stessa.
L’ambone è lì, nella sua nobile struttura per rammentare ai fedeli che la mensa della Parola di Dio è sempre imbandita da quando Cristo, vincitore della morte, con la potenza del suo Spirito ha rovesciato la pietra del sepolcro.[7]
Icona spaziale del sepolcro vuoto, l’ambone è posto di fronte all’assemblea per far sapere a tutti che è di Dio intrattenersi familiarmente con gli uomini, vincendo ogni distanza per realizzare la sua prossimità e far risuonare ai nostri orecchi una voce familiare. Proprio così: mentre la voce del lettore proclama il testo e lo scioglie dalla sua rigidità, è Dio stesso che si avvicina e discende in mezzo al suo popolo. Sì, la voce della Parola infatti è come la voce dello Sposo che desidera intessere un dialogo d’amore con la sua fidanzata, suscitando il desiderio dell’incontro personale cui rivolgersi “per vedere la voce”.[8]
Atteso l’alto compito cui è destinata la Parola, il suo spazio deve essere altamente dignitoso contro ogni mistificazione di amboncini leggeri con un piano di lettura basculante e pronto, all’occorrenza, ad essere rimosso.
Quello che oggi abbiamo inaugurato vuol essere invece l’icona di quell’immenso amore di Dio che si intrattiene a parlare a noi come a suoi amici perché, gustando la dolcezza del suo cibo che viene dall’alto, possiamo essere permeati dalla scienza di Colui che è maestro insuperabile di verità.[9]
4. Questa sera, però, il posto d’onore è riservato in modo particolare all’altare che, ripreso ex integro nei suoi volumi e negli elementi che lo onorificano con le decorazioni marmoree, è l’anima della Cattedrale e centro dell’assemblea liturgica.
Esso meritava tutta la nostra attenzione, memori di ciò che Ambrogio diceva ai suoi neofiti nella settimana in albis: “Forma corporis altare est et corpus Christi in altare”.[10] Veramente l’altare è l’immagine del corpo e il corpo di Cristo sta sull’altare. Anzi, Cristo è l’altare! E a lui si deve ogni onore come si conviene a Colui che, invitandoci alla sua mensa, ci fa suoi commensali.
Ne era convinto Giovanni Crisostomo quando, nell’Omelia 20 sulla II Corinzi, diceva:
“Il mistero di questo altare di pietra è stupendo; per sua natura la pietra è solo pietra, ma diventa sacra e santa per il fatto della presenza del corpo di Cristo. Ineffabile mistero senza dubbio, che un altare di pietra diventi in certo modo Corpo di Cristo”.[11]
Elemento centrale dell’economia sacramentale, segno e luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, l’altare è lì per manifestare una presenza profondamente umana e fraterna, da cui ci viene pressante l’invito: “Venite a mangiare” perché Egli “vuol farci don
o del pane e del pesce arrostito”,[12] alimento sovrasostanziale dell’uomo in cammino.
5. Sorelle e fratelli carissimi, dopo essere stati illuminati sul senso della cattedra, dell’ambone e dell’altare, tra poco sarete resi partecipi di un rito solenne, il rito della dedicazione dell’altare. Esso ci ricorda che la Cattedrale, in cui si compie questo evento, è di Cristo. Perciò, nessuno rivendichi il titolo di proprietà sul Duomo! Sì, proprio nessuno! Perché “è di Cristo ogni cattedrale; e a lui appartiene.
Per Lui si è innalzata una cattedra, sulla quale il suo apostolo, in sua vece parla;
per Lui un trono, sul quale chi tiene il suo posto siede;
per Lui un altare, dal quale chi lo rivive farà salire al Padre il suo stesso sacrificio;
per Lui è qui rinata la Ecclesia, il popolo col suo Vescovo, e a Lui innalza il suo inno di gloria e la sua gemente preghiera;
è da Lui che questo tempio acquista la sua misteriosa maestà”.[13]
Comprendete allora, fratelli e sorelle in Cristo, come nella sua grandezza e nel suo sormontare i tetti della Città, la Chiesa Cattedrale è quella madre che accoglie tutti, sempre. Essa ci fa sentire a casa nelle circostanze più solenni dell’anno e negli appuntamenti familiari legati alla presenza di Maria Santissima di Ripalta.
Ed è proprio da questa sede datami come luogo del ministero episcopale che ancora una volta faccio risuonare a voi tutti convenuti così numerosi, dopo il clamore dei giorni passati, l’invito paterno ad esprimere il meglio della nostra tradizione ecclesiale, “non confidando nelle parole ingannatrici di coloro che dicono: tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo”, come ci ammonisce severamente il profeta Geremia.[14]
6. Ministri sacri, operatori di ogni ordine e grado nel pubblico impiego, sodali tutti, sorelle e fratelli che vi gloriate di avere un sì imponente Duomo: custoditelo amandolo! Adoperatevi perché la ingiuria del tempo e la vostra incuria non lascino segni irreversibili sul volto di questa mirabile madre Chiesa.
Ma soprattutto ci si impegni per il suo decoro e per la sua bellezza, quale testimonianza del transitus Domini nel fluire dei giorni, ponendosi alla ricerca onesta e franca di una vera comunione e di una operosa missione di promozione del patrimonio valoriale all’interno di una comunità che vive nel tempo, in attesa della pacis visio nel cielo di Dio, per una festa senza fine.
E così sia. Amen.
Cerignola, 23 aprile 2014.
† Felice, Vescovo
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NOTE
[1] Benedizionale, n. 1214.
[2] “Oportet itaque ut in congregatione Christianorum praepositi plebis eminentius sedeant, ut ipsa sede distinguantur, et eorum officium satis appareat”: PL 38,569 – Sermo 91.
[3] Cfr. Ignazio di Antiochia, Ai Magnesiani, 6, 1:PG5, 764; Ai Tralliani, 3, 1: PG 5, 780; Agli Smirnesi, 8, 1: PG 5, 852.
[4] “Non tamen ut inflentur de sede; sed ut cogitent sarcinam unde sunt reddituri rationem”: PL 38,569 – Sermo 91.
[5] SC 41.
[6] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores Gregis sul vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, 16 ottobre 2003, n. 34.
[7] Cfr. Benedizionale, n. 1238.
[8] Cfr. Ap 1,10.
[9] Cfr. Benedizionale, n. 1254.
[10] De Sacramentis IV.II,7.
[11] In Epist. II ad Cor. Homilia XX.
[12] Gv 21,12-13.
[13] G. B. Montini – Arcivescovo di Milano, Discorso pronunciato a Crema nel rinnovato Duomo, 26 aprile 1959.
[14] Ger 7,4.