Nella sua prima enciclica Ad Petri Cathedram dedicata alla conoscenza della verità, restaurazione dell’unità e della pace nella carità (29 giugno 1959), San Giovanni XXIII scriveva, citando la Rerum Novarum di Leone XIII (15 maggio 1891): «La concordia produce la bellezza e l’ordine delle cose».
Quale è il rapporto tra questo Santo Papa e la bellezza dell’arte? Leggendo i suoi discorsi, nei quali si apprezza la vastissima varietà di argomenti e di destinatari, si possono trovare spunti molto profondi e interessanti.
In un discorso in spagnolo del 14 maggio 1960 agli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell’arte, il Santo Padre diceva: «la Iglesia,… nos enseña también que ese reflejo de lo divino, que excita nuestra emoción cuando le contemplamos en las obras maestras del pasado, es una imagen muy pálida de la semejanza divina según la cual hemos sido creados». La dimensione dell’arte viene collocata nell’ordine del riflesso del divino, della immagine pallida della somiglianza divina. Ricordava anche la fortuna di lavorare a Roma «en esta Ciudad que es un testimonio privilegiado de la civilización occidental y más aún el foco irradiante del Cristianismo».
In una allocuzione del 29 settembre 1962 al Congresso di Musica dell’UNESCO, egli così si esprimeva: «De entre los medios humanos que la Providencia ofrece al hombre para purificarse y elevarse, para salir de su egoísmo y volver la cara hacia horizontes universales, ciertamente la música es de los más altos y principales. Además, la religión misma la ha consagrado acudiendo a ella. Sus ritos van acompañados de modulaciones que interpretan los sentimientos más fervientes del alma: adoración, arrepentimiento, consolación, gratitud». La musica, dunque, è un mezzo offerto dalla Provvidenza all’uomo per purificarsi, elevarsi, uscire dal proprio egoismo, volgersi verso gli orizzonti universali.
Ma le parole più belle e significative sono in un discorso del 27 ottobre 1961 all’adunanza di chiusura della IX settimana di studio promossa dalla Pontificia Accademia di Arte Sacra in Italia. San Giovanni XXIII unisce riflessioni sull’arte ai ricordi personali.
Infatti, afferma che «La Nostra estimazione per le opere belle, e per chi le sa ideare e avvalorare, l’abbiamo come respirata fin dai primi anni». Ripercorre gli eventi importanti della sua vita, riferendosi alle opere d’arte che ne sono stati cornice. Comincia con il battesimo: «Ci è stato ricordato il corso della Nostra vita. Di fatto, il Signore Ci ha concesso di ricevere il Battesimo in una chiesa di campagna, eretta con gusto e sacrificio da umile gente, sull’aprirsi del ‘400». Proprio questa chiesa di campagna, gli consente di elevare una profonda riflessione a quella arte italiana che un tempo fioriva ovunque, non a opera di grandi nomi ma di maestranze rimaste ignote e tuttavia capaci di “seminare” la bellezza. «Essa fu affrescata da ignoti, ma non stravaganti pittori, meritevoli di menzione. Come i giullari seminavano poesia, questi seminarono belle immagini di Madonne e di Santi. Ad essi dobbiamo anche il Nostro stemma di famiglia, e Ci è caro qui rammentarlo a conferma di questi rapporti, amabilmente disposti dal Signore».
Poi i ricordi si spostano alle altre chiese della sua regione, quali Santa Maria di Brusico e Santa Maria di Bergamo, poi alle chiese romane quali Santa Maria in Monte Santo in cui ricevette la consacrazione sacerdotale e San Carlo al Corso in cui ricevette la consacrazione episcopale, poi le chiese di Oriente della sua missione diplomatica in Bulgaria, Turchia e Grecia “sfavillanti d’oro nella mistica penombra dei loro spazi augusti”; le cattedrali di Francia, in cui fu nunzio, “poemi d’arte e di fede”, e di Venezia dove svolse la missione episcopale “testimonianza di secoli cristiani, e fulgore di musaici del Nostro incomparabile San Marco, che solleva le sue cupole armoniose sopra un complesso edilizio unico al mondo”, e infine il Vaticano “coi suoi tesori d’arte, col suo tempio grandioso, simbolo visibile ed efficace del mistero dell’una sancta catholica et apostolica Ecclesia”. Si tratta di un percorso di “soavi immagini scolpite nel cuore” tra chiese “che si incastonano come brillanti fulgenti nel corso della nostra vita”: «Poi da quella chiesa di Santa Maria di Brusico, da cui si gode la vista del colle e della antica torre di San Giovanni — oh! soavità di immagini scolpite nel cuore — ecco altre chiese, tutte splendide, che si incastonano come brillanti fulgenti nel corso della Nostra vita: da Santa Maria di Bergamo, coi ricordi dei primi anni di seminario, alla romana Santa Maria in Monte Santo, in cui ricevemmo il sacerdotale carattere, a S. Carlo al Corso, in cui Ci fu conferita la pienezza del sacerdozio; su, su, fino alle numerose chiese di Oriente, sfavillanti d’oro nella mistica penombra dei loro spazi augusti, alle cattedrali di Francia, poemi d’arte e di fede, che alzano al cielo il loro inno trionfale: e ancora chiese splendenti di Venezia, testimonianza di secoli cristiani, e fulgore di musaici del Nostro incomparabile San Marco, che solleva le sue cupole armoniose sopra un complesso edilizio unico al mondo; fin qui, in Vaticano, coi suoi tesori d’arte, col suo tempio grandioso, simbolo visibile ed efficace del mistero dell’una sancta catholica et apostolica Ecclesia».
Agli artisti si rivolge invitandoli ad essere “preziosi collaboratori della missione educatrice della Chiesa”, affinché il ministero della Chiesa “appaia in forme di armoniosa bellezza, e tocchi il cuore degli uomini d’oggi anche attraverso il magistero dell’arte”.
Si richiama a un duplice scopo dell’arte sacra “cioè l’edificazione spirituale dell’uomo, e l’armonico sviluppo della sua personalità, intesa come un tutto unico da avvalorare e rinvigorire”: “le figure dei Santi sono il simbolo di ciò che la religione con la sua arte — arte sacra — vuol raggiungere : edificare l’uomo, migliorarlo, renderlo degno della vocazione cristiana, e capace di pregare, di raccogliersi, di liberarsi dalle scorie del peccato e dalla tendenza a sciupare il tempo e gli altri doni dello spirito, per dilatare i suoi spazi interiori nell’unione con Dio e nell’esercizio della carità soprannaturale”.
Afferma che “l’arte cristiana ha un carattere, che vorremmo quasi chiamare sacramentale: non certo nel significato proprio del termine, ma come veicolo e strumento di cui il Signore si serve, per disporre gli animi ai prodigi della grazia”. Ricorda come nell’arte “i valori spirituali diventano come visibili”. Queste parole riecheggeranno nel discorso di Paolo VI agli artisti, in chiusura del Concilio: “rendere avvertibile il mondo invisibile”.
San Giovanni XXIII specifica che i mezzi artistici sono appropriati strumenti che rendono visibile l’invisibile: “l’armonia delle strutture, le forme plastiche, la magia dei colori sono altrettanti mezzi, che cercano di avvicinare il visibile all’invisibile, il sensibile al soprannaturale”.
Fa riferimento alle parole del Magistero più decisive nei confronti delle immagini sacre: «Come infatti scrisse il Nostro Predecessore Adriano I, nell’anno 787, “ovunque si trova il cristianesimo, là le sacre immagini tuttora sussistono, e si onorano da tutti i fedeli, affinché attraverso un’effigie visibile l’anima nostra si elevi in celestiale affetto fino all’invisibile maestà divina, nella contemplazione della immagine raffigurata secondo la carne, assunta dal Figlio di Dio per salvarci; e possiamo, così, adorare quel medesimo nostro Redentore, che è in cielo, ed in spirito cantargli inni di gloria”». Il suo commento a questa “strenua difesa delle immagini” mostra una profonda consapevolezza di come la iconoclastia sia una tentazione sempre presente: «Questo valore catechetico e strumentale dell’arte fa comprendere la strenua difesa, che la Chiesa ha sempre sostenuto in favore delle immagini, la sua simpatia per gli
artisti, l’incoraggiamento a un sano e compiuto umanesimo, che proprio nell’arte ha celebrato validi trionfi. A null’altro mira la Chiesa, diciamo, che a portare ad effetto la sua missione di elevazione e di santificazione dell’uomo».
Paragona l’arte alla missione angelica: «E come gli Angeli sono messaggeri di Dio, e presentano a Lui le nostre preghiere, così l’arte cristiana si solleva oltre il velo del sensibile per congiungere con Dio, accompagnare le sue sante ispirazioni, facilitare e orientare i nostri rapporti con Lui».
Infine mostra la grande consapevolezza del problema sorto tra la Chiesa e gli artisti contemporanei, questione a cui Paolo VI si dedicherà con molta sollecitudine. San Giovanni XXIII precisa con grande profondità che tra la Chiesa e l’arte sacra non ci sono mai stati problemi, ma che semmai è necessaria una maggiore vicinanza tra “gli uomini di chiesa” e “gli uomini dell’arte”: «Si auspica da taluni un incontro più stretto tra gli uomini di chiesa e quelli dell’arte. Non diciamo tra la Chiesa e l’arte sacra, perchè tra essi non vi è stata mai incomprensione né diffidenza. Per parte sua, la Chiesa non cessa di promuovere l’incontro mediante le sue Commissioni di Arte sacra, da quella Pontificia Centrale, che degnamente assolve il suo compito, a quelle diocesane, che sono come una fitta rete di organi vitali a difesa della bellezza e del buon gusto. Essa non cessa di favorire questa intesa con l’insegnamento della storia dell’arte e dei principii di arte sacra nei suoi Istituti e Seminari; con la cura meticolosa, che essa pone nella educazione liturgica dei suoi figli, scendendo fino ai particolari dell’arredamento e della suppellettile sacra; con la prudenza, che inculca ai suoi sacerdoti, perchè sappiamo discernere e custodire i tesori di antichità ad essi affidati, e promuoverne il continuo arricchimento con opere nuove e degne».
Il riferimento alla formazione costituisce un importante elemento: l’arte dovrebbe essere una materia fondamentale nella formazione sacerdotale, come del resto il Concilio Vaticano II affermerà nella Sacrosanctum Concilium, prospettando un compito del resto ancora tutto da attuare nei seminari e nelle facoltà ecclesiastiche.
Proprio con un riferimento al Concilio, si conclude questo bellissimo discorso: «E le prospettive che si aprono nel prossimo futuro, con la celebrazione del Concilio Ecumenico, dischiudono nuovi orizzonti alla vostra attività: i rapporti fra arte e liturgia; l’inserimento delle correnti vive delle arti e mestieri di oggi nella grande tradizione cattolica, che è sempre stata di sana e saggia modernità; il restituito connubio fra teologia e mondo figurativo, come è avvenuto nelle grandi epoche artistiche di tutti i tempi; le nuove esigenze di architettura per servire al decoro dell’altare : tutto ciò offre alle vostre intelligenze e capacità nuovi stimoli per una costruttiva ricerca del buono e del bello».
San Giovanni XXIII, dunque, consapevole del legame tra la bellezza e la pace, non trascura l’importanza del “magistero dell’arte”, e definisce gli “uomini dell’arte” con parole di grandissima pregnanza: sono come giullari che seminano belle immagini di Madonne e di Santi, sono come angeli che congiungono con Dio e orientano a Lui.
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it.