Si è aperta con una riflessione sulle tante tragedie, i conflitti e le persecuzioni che si consumano oggi nel mondo, l’omelia del cardinale Pietro Parolin durante la Messa nella solennità di San Marco Evangelista celebrata lo scorso 25 aprile. Il Segretario di Stato vaticano ha presieduto la liturgia a Venezia nella Basilica dedicata al patrono della Chiesa lagunare e delle genti venete – a cui egli stesso appartiene -, insieme al patriarca mons. Francesco Moraglia.
Nella sua omelia – riportata in stralci dalla Radio Vaticana -, il porporato, dopo aver portato il saluto e la bendizione del Papa, ha manifestato grande preoccupazione per le discriminazioni e le persecuzioni che si verificano oggi per motivi religiosi, etnici o ideologici. Esse, ha detto, “non sono solo un retaggio del passato” ma “sono ancora purtroppo presenti nelle cronache dei nostri giorni”.
Ha poi ricordato il 25 aprile e il 70° anniversario dalla fine in Italia della Seconda Guerra Mondiale e “delle lotte fratricide del drammatico biennio” tra il settembre 1943 e l’aprile 1945. Proprio questa memoria, ci spinge a lavorare ulteriormente “per la pace e la concordia tra i popoli”, ha sottolineato il cardinale.
In questi 70 anni, tuttavia, – ha proseguito – sono stati tanti i “benefici e progressi” avvenuti in Italia. Non dimentichiamo però che “in non pochi luoghi del pianeta” oggi si continua a morire, anche per motivi di credo, ha affermato il Segretario di Stato: “La professione di fede in Cristo a volte comporta la piena disponibilità al martirio”.
Ma comporta anche l’impegno “ad essere solidali con gli esuli e gli ultimi” e “a rimanere vigili nei confronti dei pericoli che provengono da coloro che, strumentalizzando e manipolando un interesse di parte, un’ideologia o una religione, invece di portare liberazione e giustizia, arrecano all’umanità le ferite lancinanti della violenza e della sopraffazione”.
La riflessione del cardinale Parolin si è poi soffermata sulla figura di San Marco, che “portandoci il Vangelo”, ci ha fatto incontrare “la Parola e la presenza viva del Risorto”, liberandoci così “dalle paure inconsistenti verso un futuro ignoto, dagli sterili pessimismi rispetto alle difficoltà del presente e dalle tristezze e angosce per gli errori del passato”.
Con l’evangelista patrono della Chiesa di Venezia e delle genti venete – ha aggiunto il porporato – “impariamo a seguire fedelmente il Cristo Signore ‘alla scuola del Vangelo’”, che è “capace di donare una nuova visione della vita e di offrire nuove energie nel cammino quotidiano”.
Alla stregua di Papa Francesco ha quindi invitato a “rileggere il Vangelo” e a far sì che “l’umiltà e la misericordia” diventino “lo stile” nel quale cerchiamo “di comunicare la verità della Parola del Signore, ma anche la modalità in cui ci sforziamo di far valere le nostre opinioni e di portare a compimento le nostre decisioni”.
La preghiera del primo ministro vaticano è, quindi, che San Marco “non faccia mancare a coloro che ricoprono posizioni di responsabilità nella sfera civile, il coraggio, la costanza e la dedizione necessarie per svolgere il loro compito di servizio al bene comune”. E anche perché “li aiuti ad individuare con chiarezza gli obiettivi prioritari verso cui tendere e le vie più idonee a realizzarli”. Un auspicio è andato anche ai cittadini perché sappiano “gioire del bene possibile”.
Infine, il cardinale ha espresso la forte gratitudine per “il dono inestimabile della fede cristiana”, la quale ha contribuito tanto anche alla cultura dell’Italia e al carattere della sua popolazione – come ha ricordato il Papa nel recente incontro con il presidente Mattarella -, permeando “l’arte, l’architettura e il costume del Paese”. Ne sono una dimostrazione “lo splendore della Basilica di San Marco” e gli altri monumenti di Venezia, ha evidenziato Parolin. E ha concluso invitando a “chiedere al Signore di conservare e di accrescere” la fede.