“I palestinesi possono essere orgogliosi di queste due sante: Myriam Bawardi e Marie Alphonsine Ghattas. Io credo che non solo i cristiani ma anche musulmani e gli ebrei possono gioire che due persone del nostro paese hanno accesso al più alto grado di giustizia umana, sapienza spirituale e l’esperienza mistica di Dio. Sono modelli per tutti e intercedono per ciascuno di loro. Intercedendo per la Terra Santa, non fanno alcuna separazione tra cristiani e non cristiani”.
Sono parole forti, pregne di commozione, quelle pronunciate da mons. William Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme e Palestina, durante la conferenza stampa di ieri, presso il Christian Media Center, in vista della prossima canonizzazione delle due beate palestinesi il 17 maggio.
Il presule ha ribadito l’importanza di questo evento per la Terra Santa, dove tanti i poeti hanno scritto per l’occasione canti ed inni, registi hanno preparato film, e più di 15 libri in diverse lingue sono stati pubblicati per diffondere i pensieri delle Beate e il loro percorso di santità.
Inoltre, molti fedeli hanno già dato la loro adesione al grande pellegrinaggio a Roma per prendere parte alla cerimonia presieduta dal Pontefice, alla quale, tra l’altro, sarà presente anche il presidente Mahmoud Abbas con una delegazione di alti funzionari.
Ma “qual è il significato di un tale evento e che cosa significa per noi, popolo della Terra Santa: arabi ed ebrei, palestinesi, giordani o israeliani, cristiani o musulmani?”, ha domandato Shomali. La Chiesa cattolica – ha spiegato – ha i suoi “criteri”. Ovvero: “avere una grande esperienza di comunione con il Signore” e “vivere una vita semplice, seguire l’etica e i suoi valori eroici di onestà, umiltà, altruismo, saggezza, carità, amore e perdono”. Questa santità, poi, “deve essere attestata da testimoni” e, infine, “devono essere riconosciuti due miracoli”, studiati da comitati locali e internazionali composti da medici. “Le nostre due sante hanno soddisfatto tutte le condizioni”, ha sottolineato il vescovo, tra cui quella di godere “della venerazione da parte della comunità locale e di tutta la chiesa”.
Prima di loro, Shomali ha ricordato che dal primo secolo fino ad oggi “la nostra Terra Santa ha dato centinaia di santi”. La prima e la più grande tra i santi è Maria, la Madre di Gesù, poi san Giuseppe, gli apostoli, molti vescovi, monaci e martiri della fede. Alcuni nomi sono più noti di altri: Girolamo, Giustino, Elena, Sofronio, Saba, Eutimio, Alberto di Gerusalemme. “Ma sono solo tre i santi che sono nati nel nostro tempo e che non hanno parlato né greco né latino né aramaico”, ha evidenziato il vicario patriarcale, a dimostrazione che “la santità può anche essere combinata con la lingua araba”.
In particolare, le due future Sante – ha aggiunto – sono segno che “la nostra Terra Santa offre ancora dei santi e continua ad essere una Terra Santa non solo per i suoi luoghi santi, ma anche perché è la terra di persone buone che vi vivono”.
Soffermandosi poi sulla loro figura, mons. Shomali ha raccontato che le due sorelle si sono incontrate a Betlemme intorno al 1875. Myriam era una carmelitana contemplativa, una mistica, che trascorreva il suo ultimo anno a Betlemme. Lei “ha usato per parlare di parole toccanti della misericordia di Dio, per la sua vicinanza e la facilità di perdonare i più peccatori. La nostra ammirazione è ancora maggiore perché sappiamo che era quasi analfabeta”.
Marie-Alphonsine, fondatrice della Congregazione delle Suore del Santo Rosario, era invece “più attiva”: insegnante, infermiera e consigliere spirituale a Beit Sahour, Jaffa, Nazareth, Zababdeh, Salt, Betlemme e Ein Karem. Ha aperto le prime scuole per le ragazze nei villaggi che visitava, ha difeso le donne e le ha aiutate ad ottenere l’accesso alla cultura e all’istruzione e ad accedere alla loro libertà e dignità. Anche se “molto attiva”, la Beata “non ha smesso mai di essere contemplativa”, come l’altra “non ha mai cessato di essere contemplativa, pur essendo attiva”.
“Queste due sante – ha rimarcato il vicario di Gerusalemme – hanno vissuto qui in tempi difficili e di estrema povertà, che soffrono di mancanza di libertà sotto l’Impero ottomano, senza scuole o università. Molti degli abitanti di questa terra, e in particolare le donne, erano analfabeti. Hanno sofferto malattie, fame e sete e ogni mancanza di comfort. Ma perseverarono, erano pazienti, umili, e, soprattutto, hanno amato Dio e il prossimo in un modo straordinario. Lo Spirito Santo li ammaestrava”.
Le due donne, inoltre, vivevano in Palestina prima della sua divisione, “non hanno quindi sperimentato il conflitto arabo-israeliano”. Tuttavia – ha detto l’arcivescovo – “sono sicuro che conoscono la situazione dal cielo e intercedono per la pace e la riconciliazione in Terra Santa”. E questa intercessione “è forte ed efficace”.