L’etica del futuro nell’ Enciclica Laudato si’ (seconda parte)

Antropocentrismo e degrado ambientale e umano

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[Leggi prima parte]

Il Papa auspica l’affermazione di un’ “etica ecologica” che ci aiuti a “sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. […]”[1].

Il degrado morale nel quale siamo vissuti, e viviamo tutt’oggi, ha provocato il degrado ambientale che è sotto gli occhi di tutti. Tale degrado colpisce non soltanto la natura, ma anche la società e soprattutto i più poveri.

Francesco scrive in proposito:

“L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta: «Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera»”[2].

Il Pontefice, per sottolineare le conseguenze del deterioramento ambientale sui più poveri, esemplifica il suo pensiero scrivendo:

“[…] L’esaurimento delle riserve ittiche penalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigianale e non hanno come sostituirla, l’inquinamento dell’acqua colpisce in particolare i più poveri che non hanno la possibilità di comprare acqua imbottigliata, e l’innalzamento del livello del mare colpisce principalmente le popolazioni costiere impoverite che non ha dove trasferirsi. L’impatto degli squilibri attuali si manifesta anche nella morte prematura di molti poveri, nei conflitti generati dalla mancanza di risorse e in tanti altri problemi che non trovano spazio sufficiente nelle agende del mondo”[3].

Francesco mostra una particolare preoccupazione per l’inquinamento ambientale fino al punto di lanciare un grido di allarme per il rischio che l’intero pianeta si trasformi in un immondezzaio.

Scrive: “C’è da considerare anche l’inquinamento prodotto dai rifiuti, compresi quelli pericolosi presenti in diversi ambienti. Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da spazzatura”[4].

L’inquinamento ambientale è strettamente connesso con i danni alla salute delle persone, perché “tanto i rifiuti industriali quanto i prodotti chimici utilizzati nelle città e nei campi, possono produrre un effetto di bio-accumulazione negli organismi degli abitanti delle zone limitrofe, che si verifica anche quando il livello di presenza di un elemento tossico in un luogo è basso. Molte volte si prendono misure solo quando si sono prodotti effetti irreversibili per la salute delle persone”[5].

Un altro motivo di allarme è rappresentato dai cambiamenti climatici causati dall’aumento del gas serra, i cui “progressi sono deplorevolmente molto scarsi. La riduzione dei gas serra richiede onestà, coraggio e responsabilità, soprattutto da parte dei Paesi più potenti e più inquinanti. La Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile denominata Rio+20 (Rio de Janeiro 2012), ha emesso un’ampia quanto inefficace Dichiarazione finale. I negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale”[6].

L’enorme aumento dei consumi da parte dei paesi più ricchi provoca l’aumento della temperatura della terra, con conseguenze disastrose per la coltivazione dei terreni delle popolazioni più povere.

Scrive: “[…] Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale […]”[7].

La diagnosi dello stato di salute del pianeta-terra condotta da Francesco è molto realistica, anche perché il Pontefice si è avvalso della consulenza dei migliori specialisti nel campo dell’ecologia.

C’è da chiedersi perché l’umanità si è così corrotta da non rispettare l’ambiente naturale in cui vive e da disprezzarlo fino a renderlo un immondezzaio e a non curarsi del destino delle popolazioni più povere che maggiormente risentono del degrado ambientale.

La risposta va ricercata nel perdurare, a livello socio-culturale, delle conseguenze dell’ “antropocentrismo moderno”[8], il quale “paradossalmente, ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà, perché questo essere umano «non sente più la natura né come norma valida, né come vivente rifugio. La vede senza ipotesi, obiettivamente, come spazio e materia in cui realizzare un’opera nella quale gettarsi tutto, e non importa che cosa ne risulterà»”[9].

Nella modernità, continua il suo discorso Francesco, “si è verificato un notevole eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggi continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali […]”[10].

Questo eccesso antropologico è stato analizzato da Giovanni Paolo II nel suo saggio intitolato Memoria e identità, nel quale il Santo Padre sottolinea come nella modernità, soprattutto con Cartesio, è avvenuta una rivoluzione filosofica, in base alla quale la realtà, l’essere, che era il centro e il punto di partenza della filosofia di San Tommaso diviene secondario

 e viene sostituto con il pensiero umano, quindi con l’io umano, inteso come ente pensante, al quale compete di decidere ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è bene e ciò che è male, non dovendo confrontarsi con una realtà al di fuori del suo pensiero.

Giovanni Paolo II scrive in proposito: “Il cogito, ergo sum – penso, dunque sono – portò con sé un capovolgimento nel modo di fare filosofia. Nel periodo precartesiano la filosofia, e dunque il cogito, o piuttosto il cognosco, era subordinato all’esse, che era considerato qualcosa di primordiale. A Cartesio invece l’esse apparve secondario, mentre il cogito fu da lui giudicato primordiale. In tal modo non soltanto si operava un cambiamento di direzione nel filosofare – ma si abbandonava decisamente ciò che la filosofia era stata fino allora, ciò che era stata in particolare la filosofia di san Tommaso d’Aquino: la filosofia dell’esse. Prima, tutto veniva interpretato nell’ottica dell’esse e di tutto si cer
cava una spiegazione secondo quell’ottica. Dio come Essere pienamente autosufficiente (Ens subsistens) era ritenuto l’indispensabile sostegno per ogni ens non subsistens, ens participatum, cioè per tutti gli esseri creati, e dunque anche per l’uomo. Il cogito, ergo sum comportò la rottura con quella linea di pensiero. Primordiale diventava ormai l’ens cogitans. Dopo Cartesio, la filosofia diventa una scienza del puro pensiero: tutto ciò che è esse – sia il mondo creato che il Creatore – rimane nel campo del cogito, come contenuto della coscienza umana. La filosofia si occupa degli esseri in quanto contenuti della coscienza, e non in quanto esistenti fuori di essa”[11].

Dal pensiero moderno in poi Dio non è più considerato l’origine e il centro dell’universo, il suo posto è stato preso dall’essere umano, il quale, scrive Francesco, “pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo”[12].

La conseguenza dell’antropocentrismo è il relativismo pratico, del quale il Papa ha parlato anche nell’Evangelii gaudium.

La cultura del relativismo è portatrice di una logica perversa secondo la quale “tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati”[13].

Si comprende quindi come questo modo di pensare possa condurre un essere umano a trattare il prossimo come un oggetto, che si può anche schiavizzare o ad abusare sessualmente dei bambini, ad abbandonare gli anziani, a disinteressarsi degli effetti perniciosi di un’economia finalizzata unicamente all’accumulazione del profitto.

Scrive in proposito:

“[…] La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili […]”[14].

Quando Benedetto XVI denunciava la “dittatura del relativismo”, oggi imperante, parlava, non come grande intellettuale quale egli è, ma come Pastore che mette in guardia l’umanità dai rischi connessi con questa inedita filosofia pratica, secondo la quale, come scrive Francesco:

“[…]non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate”[15] e, per conseguenza “che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? […]”[16].

[La terza parte sarà pubblicata sabato prossimo]

***

[1] Francesco, Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, n. 229.

[2] Ibidem, n. 48. Nell’Enciclica viene ciato il documento della Conferenza Episcopale Boliviana, Lettera pastorale sull’ambiente e lo sviluppo umano in Bolivia. El universo, don de Dios para la vida (2012), 17.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem, n. 21.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem, n. 169.

[7] Ibidem, n. 51.

[8] Ibidem, n. 115.

[9] Ibidem. Nell’Enciclica è citato R. Guardini, Das Ende der Neuzeit, 63 (ed. it.:La fine dell’epoca moderna, 57-58)

[10] Ibidem, n. 116.

[11] Giovanni Paolo II, Memoria e identità, Rizzoli, Milano 2005, pp.18-19.

[12] Francesco, Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, n. 122.

[13] Ibidem, n. 121.

[14] Ibidem, n. 122.

[15] Ibidem, n. 123.

[16] Ibidem.

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Maurizio Moscone

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