Il Pane vero è il Corpo di Cristo

Lectio Divina sulle letture per la XIX domenica del Tempo Ordinario (Anno B) — 9 agosto 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la XIX domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 9 agosto 2015.

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Rito Romano

1 Re 19, 4-8; Sal 33/34; Ef 4,30-5,2; Gv 6, 41-51

Rito Ambrosiano

1Re 18,16b-40a; Sal 15; Rm 11,1-15; Mt 21, 33-46
XI Domenica dopo Pentecoste

1) Pane di Vita eterna.

Due domeniche fa abbiamo visto il dono del pane che Gesù fa sul lago di Tiberiade, moltiplicando cinque pani per condividerli con numerosa gente che lo seguiva. Domenica scorsa, abbiamo visto questa gente cercare perché voleva ancora mangiare di quel pane moltiplicato e condiviso. Oggi, il Messia spiega che l’importante non è il pane della terra, ma il Pane del cielo, cioè Lui stesso. Di fronte a questa affermazione di Gesù: “Sono io il pane disceso dal cielo” (Gv 6, 48), i giudei reagiscono mormorando. Non riescono a convincersi dell’origine divina di Gesù. Per loro che pensano di conoscerlo bene, è solamente il figlio di Giuseppe e allora come poteva essere sceso dal cielo? Di fronte alle mormorazioni dei giudei, Gesù non discute, ma riafferma: “Sono io il pane disceso dal cielo”, “Sono io il pane della vita”.

Non è il pane di Mosè che dà la vita per sempre: “I vostri padri mangiarono la manna nel deserto, eppure sono morti” (Gv 6, 49). Gesù – e solo Gesù – è il “Pane”, la Parola e la sapienza di cui l’essere umano ha fame. Più avanti si comprenderà che il pane è anche l’Eucaristia, ma ora – a questo punto del discorso – l’insistenza è sulla Parola. L’Antico Testamento è tutto percorso da un’ansiosa ricerca della Parola di Dio che rischiara il cammino della vita e ne rivela il senso. Nella tradizione giudaica la manna era divenuta il simbolo della Parola. E i giudei lo attendevano di nuovo in dono, abbondantemente. Il nostro passo evangelico afferma che proprio Gesù, il figlio del falegname, riassume in sé tutta questa attesa e la porta a compimento. Di fronte al rifiuto dei giudei Gesù non si limita denunciare l’incredulità, né si accontenta di indicarcene la ragione. Ci svela l’origine e le condizioni della fede. Il pensiero è tanto importante che Gesù lo ripete due volte: “Chi ascolta il Padre e si lascia da lui istruire viene a me”, “Nessuno viene a me se il Padre non lo attira”. Nessuno può andare da Cristo, se il Padre non lo attira. Non si diventa cristiani se non per questa attrazione, non certo per via di indottrinamento. Noi diventiamo cristiani per attrazione: siamo attirati da un Dio buono come il pane, umile come il pane, cibo inesauribile che alimenta la vita, ogni vita, tutta la vita.

Nel cuore di ogni uomo c’è l’attrazione al Figlio, esercitata dal Padre. La struttura fondamentale dell’uomo è essere figlio. Anche il desiderio di fraternità indica la necessità di un padre (Gesù è la prima persona che ha vissuto nel corpo la realtà di Figlio del Padre e di fratello di tutti.). E cosa vuole un figlio dal padre? Vuole la vita nell’amore. Vuole essere amato incondizionatamente dal Padre. Tutto ciò è inscritto nel cuore di ogni persona umana ed è questo desiderio dell’amore del Padre che ci fa figli e ci attira al Figlio, fratello nostro, fonte inesauribile di vita, di bene e grazia.

Il Padre ci attira non con la costrizione ma con il dono di suo Figlio, un’offerta che suscita la libertà del destinatario: la manna è dono e domanda (manna viene da man hu: che cos’è?); il dono che Gesù è, suscita a sua volta alcune domande sulla sua identità (“chi è?”: cfr. Gv 6,42). Così, le domande incredule di coloro che conoscendo l’origine umana di Gesù non accedono alla fede in lui quale rivelatore di Dio, non dicono solamente il peccato di chi le formula, ma esprimono anche il carattere non coercitivo e non obbligante del dono che Gesù è e fa. Il vero dono si espone alla libertà del destinatario, anche al possibile rifiuto. Anche all’umiliazione dell’indifferenza o del rigetto.

2) Mangiare.

Il Vangelo di oggi, nei versetti finali, 48-51, parla di carne da mangiare. E credere sarà sostituito dal mangiare e dal bere. Credere è qualcosa di molto concreto: è mangiare. Mangiare è il processo di assimilazione, così anche il bere. L’Eucaristia è l’assimilazione del Figlio e vedremo come avviene.

Credo, dunque, che sia corretto dire che il verbo principale del Vangelo di oggi è “mangiare”. Esso indica un gesto semplice, quotidiano, ma vitale. Mangiare è questione di vita o di morte e Dio è questo: è una questione di vita o di morte. Ne va della nostra vita. Il segreto, il senso ultimo nel tempo e nell’eterno è vivere di Dio. Cristo non si dà da mangiare solo per farci diventare più buoni, ma per farci diventare Dio, figli nel Figlio. Mangiare il corpo e il sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo (Leone Magno).

Il corpo di Cristo, il suo essere uomo tra noi, la povera umanità che ha assunto, è il Pane che dà la vita eterna. E l’uomo è strappato alla morte ed è risuscitato “nell’ultimo giorno”, ma già ora chi crede in Cristo possiede la vita eterna. “Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice, allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell’Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Dio non ha… tollerato che ci dissolvessimo nella terra” (Ireneo di Lione).

Gesù è venuto a portare molto più del perdono dei peccati: ha portato se stesso, ha dato se stesso, offrendosi come cibo. Tutta la vita del Figlio fu ed è Eucaristia, quindi tutto è da Lui visto come Eucaristia.     Mangiare la carne e il sangue di Cristo, non si riduce perciò al rito della Messa. Il corpo di Cristo non sta solo sull’altare – del suo Spirito è piena la terra – Dio si è vestito d’umanità, al punto che l’umanità intera è la “carne” di Dio. Infatti Lui disse: “Quello che avete fatto a uno di questi l’“avete fatto a me”. “Mangiare il pane di Dio” è nutrirsi di Cristo e di Vangelo, è mangiare quel pane buono, costantemente.

Domandiamoci allora: noi di che cosa ci nutriamo? Di che cosa alimentiamo cuore e pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità? O stiamo nutrendoci di superficialità, miopie, egoismi, intolleranze, insensatezze? Se accogliamo in noi pensieri degradati questi ci riducono come loro; se accogliamo pensieri di Vangelo, di bontà e di bellezza essi ci fanno uomini e donne della bellezza. Se ci nutriamo di Vangelo, il Vangelo dà forma al nostro pensare, al sentire, all’amare. Se ci nutriamo del Corpo di Cristo, ci assimiliamo a Lui e diventiamo ciò che ci abita.

Un esempio particolare di vita eucaristica è quello che ci è offerto dalla Vergini Consacrate nel mondo. Queste donne sono consapevoli che  “la vita consacrata ritrova la sua identità quando lascia trasparire nei fatti la “memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli. Essa è vivente tradizione della vita e del messaggio del Salvatore” (Vita Consecrata, n. 22). Per questa ragione aderiscono a Cristo, loro Sposo in modo speciale mediante la comunione. Alcuni Maestri spirituali distinguono tre tipi di comunione che permettono di aderire a Dio: l’Eucarestia, la contemplazione e l’obbedienza.

Questi tre tipi non si oppongono tra di loro e la vita delle Vergini consacrat
e mostrano come essi siano tra loro uniti e fruttuosi.

Prima di tutto la comunione eucaristica quotidiana che assicura alla Consacrate la presenza e l’azione vivificante del Corpo e del Sangue, dell’anima e della divinità di Cristo che si immola, che, dunque, diffonde la sua vita. In secondo luogo la contemplazione. Essa è la preghiera che diventa sguardo e con essa la persona consacrata si espone alla luce del Verbo fatto carne, luce che ci trasforma di chiarore in chiarore. In fine, l’obbedienza che non è vissuta dalle Vergini consacrate come sottomissione esteriore o come semplice esecuzione di un ordine, ma il ripetere nella vita di ogni giorno il “sì” di Maria al Signore che chiede di dimorare in loro e, tramite loro, nel mondo.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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