Si è ormai consolidata nella testa degli uomini l’idea che libertà significhi poter far emergere il proprio pensiero comunque, anche se squilibrato e fuori dalla stabilità del contesto in cui si opera. Un cristiano sa di certo che essere liberi corrisponda alla cancellazione di ogni sopruso gratuito nei confronti di qualsiasi essere umano, al di là delle sue condizioni sociali ed economiche. Capisce anche che ogni azione personale non può essere giustificata, se in origine abbia peccato contro la oggettività del vangelo. La libertà si fonda sempre sulla verità, altrimenti è un’altra cosa. Se leggiamo con attenzione le pagine dei quattro evangelisti ci accorgiamo subito che in esse vi sono due mondi. Quello di Cristo Gesù, che è dalla volontà del Padre e il mondo dei discepoli che è costruito sulla loro personale volontà. Non si fa fatica a comprendere come il mondo che è dalla volontà del Padre viva di grande compassione, pietà, carità, misericordia, pace, gioia, comunione, amore, dono, verità, giustizia. Non è così per il mondo costruito sulla volontà degli uomini, sempre cinto di superbia, divisione, assenza di pace, dissenso, separazione, lite, contrasto, egoismo, mancanza di verità e di giustizia. I discepoli di Gesù sono uomini come tutti gli altri, ancora non hanno ricevuto lo Spirito Santo. Ognuno ha il suo pensiero e per questo mai si potrà trovare d’accordo con l’altro, generando di fatto quelle liti che oggi sono all’ordine del giorno su ogni tema della vita privata o pubblica; sociale o istituzionale; economica o professionale. Succedeva ai discepoli, continua a succedere oggi con arti più sofisticate e inquinate.
Non ci sono equivoci, a tal proposito, nelle parole del mio maestro spirituale: “A causa del suo pensiero che ognuno vuole imporre agli altri, si muore in una lite perenne. C’è una logomachia ininterrotta. Ognuno vuole sopraffare l’altro per imporsi. Nasce l’inciviltà del dire, muore la civiltà dell’ascolto, della logica, sapienza, dell’intelligenza che è ricerca della verità. È una inciviltà la nostra nella quale si muore di stoltezza, insipienza e tutto questo accade perché si è da se stessi e non più da una verità che è fuori di noi”. Solo se ci identifichiamo con la verità, il resto è facilmente individuabile! Si pensi alla irrefrenabile voglia di avere a tutti i costi il primo posto, in qualunque attività svolta o contesto frequentato. Non è sbagliato raggiungere il primo posto, ma sono sempre gli eventi, la storia personale, l’impegno, il lavoro, lo studio, a riconoscertelo, magari quando meno te lo aspetti. Non si tratta di una conquista a tutti i costi; né tantomeno di un simbolo di superiorità da sventolare nelle occasioni più propizie. Eppure per il primo posto si sono fatte e si continueranno a fare sempre carte false, anche se a parole tutti ci professiamo cristiani e diciamo di fare delle parole di Cristo ai suoi discepoli un motivo di vita reale. Leggiamo in Marco: “Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti»…”. È una regola sublime consegnata ai discepoli, per essere subito dopo affidata alla storia degli uomini.
Capisco quanta fatica sia necessaria per accettare questo messaggio di liberazione e di puro amore. Tutto ciò che abbiamo attorno ci invita a fare perfettamente il contrario, anche in ambienti ecclesiali, con la triste conseguenza di rallentare il cambiamento che fa l’uomo nuovo e attore principale nel bene, illuminando ogni settore in cui opera. Bisogna sempre ricordare che il posto cercato secondo i parametri umani, prima o poi si manifesterà nel suo inganno e non avrà nulla a che fare con l’insegnamento evangelico. Quando qualcuno trama, litiga, fa guerra, inganna, può sicuramente ottenere un posto di prestigio, ma non avrà mai il primo vero posto. Di riflesso non farà altro che praticare nient’altro che una ben truccata simonia politica, professionale, istituzionale, spirituale, ecc. Nulla serve nel tempo a conquistare il primo posto che è secondo gli uomini e non secondo Cristo. I parametri umani prima o poi si manifestano sempre nel proprio inganno e nella loro inaffidabilità. Per capire il valore di questo passaggio fondamentale per l’uomo bisogna riflettere su quanto il Santo Padre ha detto sul valore del servizio a Cuba, durante la Messa in Plaza de la Revolución (La Habana, domenica 20 settembre scorso). “L’invito al servizio presenta una peculiarità alla quale dobbiamo fare attenzione. Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. Sono i volti sofferenti, indifesi e afflitti che Gesù propone di guardare e invita concretamente ad amare. Amore che si concretizza in azioni e decisioni. Amore che si manifesta nei differenti compiti che come cittadini siamo chiamati a svolgere”. Per tale ragione, ha detto Papa Francesco, il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma solo persone. Siamo difronte ad un fascio di luce, lontani dal buio che genera prima o poi la voglia irrefrenabile del primo posto.
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