È veramente lo spirito del Concilio Vaticano II quello che si è respirato nel Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, che si conclude oggi. Lo è anzitutto per la figura di Papa Francesco, che tanto richiama i Papi del Concilio, unendo ai tratti di bontà e di profonda umanità di Giovanni XXIII aspetti fondamentali che lo accomunano all’altra figura non meno grande di Paolo VI, come la capacità di dialogare con la complessità delle culture e il desiderio di una Chiesa che sia sempre più vicina alle donne e agli uomini di oggi, nella varietà delle sfide che essi si trovano ad affrontare. È poi soprattutto la volontà di annunciare il Vangelo nella concretezza della storia ciò che ha fatto di questo Sinodo un’attualizzazione forte e profonda del Vaticano II, da una parte con l’aprire gli occhi dinanzi alle tante situazioni delle famiglie del mondo che esigono non giudizi distaccati e freddi, ma comprensione, calore, solidarietà e partecipazione, dall’altra proponendo la luce e la gioia della buona novella il più possibile a tutti, senza escludere nessuno dall’abbraccio della misericordia annunciata e donata da Gesù, il Redentore dell’uomo. Questo desiderio di far giungere a ogni persona umana il dono dell’amore che libera e salva, proponendone la realizzazione bella specialmente nella vita familiare, ha attraversato i lavori sinodali soprattutto attraverso l’uso di tre categorie, che descrivono altrettanti atteggiamenti pastorali di fondo: l’accompagnamento, il discernimento e l’integrazione.
Una Chiesa che “accompagna” le donne e gli uomini del nostro tempo è una comunità che si fa prossima alle loro gioie e ai loro dolori, alle loro attese e alle loro speranze: tutt’altro che una Chiesa pronta a dispensare soltanto giudizi e condanne, si tratta di una comunità viva, amica di tutto quanto è umano, che non rinuncia in nulla a proporre la verità liberante del Vangelo, ma lo fa sull’esempio di Gesù camminando sulle strade dove passa ogni giorno la vita della gente comune, impastata di sudore e di consolazioni, di lacrime e di speranze. L’abbraccio della Chiesa di Papa Francesco va in primo luogo a tutte le famiglie del mondo, mettendo in luce la bellezza della loro vocazione, la dignità delle loro fatiche, la possibilità di affrontare con amore le inevitabili prove della quotidianità e le risorse che l’amore che le unisce sa sprigionare nelle situazioni più diverse. Questo abbraccio accogliente si estende a tutte le cosiddette famiglie ferite, a chi vive le crisi a volte laceranti dei rapporti affettivi, a chi sperimenta il fallimento dell’alleanza, a chi è entrato nella solitudine della separazione o ha cercato nuovo futuro nel ricorso a nuove nozze. Accompagnare queste persone accogliendole in profondità con rispetto e amore non è in alcun modo tradire la verità del Vangelo, ma esattamente al contrario renderla visibile nella prossimità dell’ascolto e della condivisione, nella carità che comprende e sostiene, nel dire parole di vita pronunciate con tenerezza e dolcezza soprattutto quando richiamano alle esigenze alte della sequela di Gesù.
All’accompagnamento si unisce nelle proposte che il Sinodo offre alla Chiesa il cammino del discernimento: chi discerne non giudica tagliando con l’accetta il bene e il male, ma cerca anzitutto di comprendere tutti gli elementi in gioco, di valutarli con l’altro, di illuminarli alla luce della Parola di Dio, che è sempre e soprattutto parola di perdono e di salvezza. Una Chiesa compagna di strada, che spezza il pane della vita con l’altro, soprattutto se questi fatica ad avanzare sotto il peso delle sue sofferenze e delle sue possibili, a volte difficilmente evitabili, contraddizioni. È la Chiesa che quotidianamente incontrano tante donne e uomini che vengono ai nostri confessionali, e che oggi si esprime col volto universale del Papa e dei Vescovi come famiglia che si riconosce amata gratuitamente dal Suo Signore e di questo amore vorrebbe essere testimone per tutti, nessuno escluso.
Infine, quella che emerge dal Sinodo di Papa Francesco è la Chiesa dell’integrazione, che non vuole escludere nessuno, trovando uno spazio vitale per tutti, nella varietà dei doni effusi da Dio e delle possibilità concrete delle nostre comunità. Una Chiesa che chiede di far cadere antiche forme di esclusione, dicendo a tutti, specie a chi si sente o pensa di essere fuori di essa a causa della propria situazione di amore ferito o fallito, parole di fiducia, di incoraggiamento, di accoglienza e di misericordia. Così, coloro che sono in situazioni difficili, come ad esempio i battezzati divorziati e risposati civilmente, “sono fratelli e sorelle” nostri, in cui “lo Spirito riversa doni e carismi per il bene di tutti”. Essi pertanto “non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo”. Al di là di tutte le decisioni pastorali che queste scelte del Sinodo comporteranno, ciò che emerge di bello e di importante è lo stile di una Chiesa fraterna, umile, non dirimpettaia delle fatiche umane, ma solidale con essa e amica di chi soffre. La Chiesa di cui Papa Francesco è immagine viva ed eloquente con la semplicità dei suoi gesti, il calore delle sue parole, la forza irradiante della sua fede e della sua carità.