«La missione sacerdotale è missione nella battaglia, in quanto affermazione della causa di Cristo mettendo in gioco la propria esistenza, dove la passione è soltanto la forma estrema dell’azione».
Don Salvatore Mellone ha incarnato l’idea che il teologo Hans Urs von Balthasar teorizzava. Lo ha fatto nei 74 giorni di sacerdozio vissuti alla sequela di Cristo, intimamente unito a Lui con la sua sofferenza e senza mai perdere il sorriso. Un anno fa al giovane seminarista barlettano era stato diagnosticato un cancro all’esofago, uno dei peggiori. Infatti in pochi mesi lo ha consumato, fino a divorarlo. Papa Francesco lo aveva incoraggiato: «La prima benedizione che darai da sacerdote la impartirai a me». Ed egli non s’è arreso: alla malattia ha risposto con la fede, chiedendo di poter essere ordinato sacerdote in via eccezionale ancor prima di completare il percorso degli studi teologici, onde poter esercitare il ministero, magari pure solo per un giorno, tra ammalati e sofferenti come lui.
Don Mellone è morto a 38 anni, nel giorno dei santi Pietro e Paolo, lasciando nel dolore una grande testimonianza di vita e di fede, piena conferma di quello che l’apostolo Paolo scriveva ai Corinti: «Non dobbiamo scoraggiarci, perché se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno». L’eroico presbitero ha dimostrato, con umiltà e coraggio, che ci sono preti che si comportano come altoparlanti di Gesù Cristo non solo con le parole ma anche coi fatti, a differenza di quanti tra essi, invece, hanno scelto la vita quieta, il tran tran, il distacco da quella rottura che Gesù ha praticato fino a diventare segno di contraddizione per il rifiuto del compromesso e la scelta di penetrare nelle coscienze separando il bene dal male, la verità dalla menzogna, l’amore dall’egoismo.
Mai come oggi gli uomini si muovono, si incontrano e si scontrano, parlano e agiscono: eppure mai come ora si sentono soli e insoddisfatti. A scrutarne l’anima, ci si accorge che essi non desiderano altro che essere ascoltati con attenzione partecipe, perché nessuno più è pronto a dedicare tempo per l’altro. E così si rimane circondati di presenze esteriori e di cose, ma si è profondamente soli nell’anima e nell’intimità. Don Salvatore Mellone, che di tempo per sé ne aveva ormai poco, ha scelto di donarlo tutto al prossimo, senza alcuna riserva.
«Quando si guarda il proprio corpo fare le bizze a causa di una malattia che ti atterra, sfiancandoti di minuto in minuto», scriveva nel suo ultimo articolo pubblicato sul mensile diocesano La Stadera, «ci si rende conto di quanto piccoli si sia di fronte al resto che ti circonda». Eppure, aggiungeva, «proprio nella malattia, spazio e tempo dove guerreggiano dolore e speranza, ci si ritrova ad essere al contempo miseri e splendenti d’eterno». E ancora: «Essere presbitero è stupendo. Esserlo nella mia condizione lascia senza fiato, perché ti immette nella vita vera, quella fatta di carne, sangue, spirito, anima, umanità solcata dalla sofferenza e dalla gioia eterna».
L’amore? È più forte di tutto, anche della morte.