Riprendiamo di seguito il testo integrale del discorso rivolto oggi, giovedì 1° giugno, da papa Francesco ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, ricevuti in udienza nella Sala del Concistoro in Vaticano.
***
Signori Cardinali,
Cari fratelli e sorelle,
rivolgo a tutti voi un cordiale saluto e vi esprimo la mia gratitudine per il vostro generoso impegno a servizio dei sacerdoti e della loro formazione. Ringrazio di cuore il Cardinale Beniamino Stella per le sue parole e per il tanto lavoro che sta facendo.
Mi rallegro di poter dialogare con voi sul grande dono del ministero ordinato, a pochi mesi dalla promulgazione della nuova Ratio Fundamentalis. Questo Documento parla di una formazione integrale, capace cioè di includere tutti gli aspetti della vita; e così indica la via per formare il discepolo missionario. Una strada affascinante e insieme esigente.
Riflettendo su questi due aspetti – il fascino della chiamata e le esigenze impegnative che essa comporta – ho pensato in particolare ai giovani preti, che vivono la gioia degli inizi del ministero e, insieme, ne avvertono il peso. Il cuore di un giovane prete vive tra l’entusiasmo dei primi progetti e l’ansia delle fatiche apostoliche, nelle quali si immerge con un certo timore, che è segno di saggezza. Egli sente profondamente il giubilo e la forza dell’unzione ricevuta, ma le sue spalle iniziano ad essere gradualmente gravate dal peso della responsabilità, dai numerosi impegni pastorali e dalle attese del Popolo di Dio.
Come vive tutto questo un giovane prete? Che cosa porta nel cuore? Di che cosa ha bisogno perché i suoi piedi, che corrono a portare il lieto annuncio del Vangelo, non si paralizzino davanti alle paure e alle prime difficoltà?, perché non abbia, non segua la tentazione di rifugiarsi nella rigidità o di lasciare tutto ed essere un “disperso”?
Bisogna ammettere che, spesso, i giovani sono giudicati in modo un po’ superficiale e troppo facilmente sono etichettati come generazione “liquida”, priva di passioni e di ideali. Di certo ci sono giovani fragili, disorientati, frammentati o contagiati dalla cultura del consumismo e dell’individualismo. Ma questo non deve impedirci di riconoscere che i giovani sono capaci di scommettere “fermamente” sulla vita e di mettersi in gioco con generosità; di puntare lo sguardo verso il futuro e di essere, così, un antidoto rispetto alla rassegnazione e alla perdita della speranza che segna la nostra società; di essere creativi e fantasiosi, coraggiosi nel cambiare, magnanimi quando si tratta di spendersi per gli altri o per ideali come la solidarietà, la giustizia e la pace. Con tutti i loro limiti, essi sono sempre una risorsa.
Possiamo chiederci, allora: nei nostri presbiteri, come guardiamo i preti giovani? Lasciamoci anzitutto illuminare dalla Parola di Dio, che ci mostra come il Signore chiama i giovani, si fida di loro, e li invia per la missione.
Mentre «la parola del Signore era rara in quei giorni» (1 Sam 3,1), perché il popolo si era pervertito e non ascoltava più la voce del Signore, Dio si rivolge al giovane Samuele, un piccolo “chierichetto del Tempio” che diventa profeta per il popolo (cfr 1 Sam 3,1-10). Poi, lo sguardo del Signore, andando oltre ogni apparenza, sceglie Davide, il più piccolo tra i figli di Jesse, e lo unge re di Israele (cfr 1 Sam 16,1-13). A Geremia, preoccupato di essere troppo giovane per la missione, il Signore offre la sua paterna rassicurazione: «Non dire: “Sono giovane” […] perché io sono con te” (Ger 1,7.8). Anche dai Vangeli possiamo apprendere che la scelta del Signore ricade sui piccoli, e la missione di annunciare il Vangelo, affidata ai discepoli, non si basa sulla grandezza delle forze umane, bensì sulla disponibilità a lasciarsi guidare dal dono dello Spirito.
Ecco quello che vorrei dire ai sacerdoti giovani: voi siete scelti, siete cari al Signore! Dio vi guarda con tenerezza di Padre e, dopo avere fatto innamorare il vostro cuore, non lascerà vacillare i vostri passi. Ai suoi occhi siete importanti ed Egli ha fiducia che sarete all’altezza della missione a cui vi ha chiamati. Com’è importante che i preti giovani trovino parroci e vescovi che li incoraggino in questa prospettiva, e non solo li aspettano perché c’è bisogno di ricambio e di riempire posti vuoti!
Su questo vorrei dire due cose spontaneamente. Posti vuoti: non riempire quei posti con gente che non è stata chiamata dal Signore, non prendere da qualsiasi parte; esaminare bene la vocazione di un giovane, l’autenticità, e se viene per rifugiarsi o perché sente la chiamata del Signore. Accogliere soltanto perché abbiamo bisogno, cari vescovi, questa è un’ipoteca per la Chiesa! Un’ipoteca. Secondo: non lasciarli da soli. La vicinanza: i vescovi vicini ai sacerdoti; i vescovi vicini ai preti. Quante volte io ho sentito le lamentele di sacerdoti… Questo l’ho detto tante volte – forse lo avrete sentito –: ho chiamato il vescovo; non c’era, e la segretaria mi ha detto che non c’era; ho chiesto un appuntamento; “È tutto pieno per tre mesi…”. E quel prete rimane staccato dal vescovo. Ma se tu, vescovo, sai che nella lista delle chiamate che ti lascia il tuo segretario o la tua segretaria ha chiamato un prete e tu hai l’agenda piena, quello stesso giorno, alla sera o il giorno dopo – non di più – richiamalo al telefono e digli come sono le cose, valutate insieme, se è urgente, non urgente… Ma l’importante è che quel prete sentirà che ha un padre, un padre vicino. Vicinanza. Vicinanza ai preti. Non si può governare una diocesi senza vicinanza, non si può far crescere e santificare un sacerdote senza la vicinanza paterna del vescovo.
Mi rallegro sempre quando incontro sacerdoti giovani, perché in loro vedo la giovinezza della Chiesa. Perciò, pensando alla nuova Ratio, che parla del sacerdote come di un discepolo missionario in formazione permanente (cfr n. 3), desidero sottolineare, soprattutto per i preti giovani, alcuni atteggiamenti importanti: pregare senza stancarsi, camminare sempre e condividere con il cuore.
Pregare senza stancarsi. Perché possiamo essere “pescatori di uomini” solo se noi per primi riconosciamo di essere stati “pescati” dalla tenerezza del Signore. La nostra vocazione è iniziata quando, abbandonata la terra del nostro individualismo e dei nostri progetti personali, ci siamo incamminati per il “santo viaggio”, consegnandoci a quell’Amore che ci ha cercati nella notte e a quella Voce che ha fatto vibrare il nostro cuore. Così, come i pescatori di Galilea, abbiamo lasciato le nostre reti per afferrare quelle che ci ha consegnato il Maestro. Se non rimaniamo strettamente legati a Lui, la nostra pesca non potrà avere successo. Pregare sempre, mi raccomando!
Durante gli anni di formazione, gli orari delle nostre giornate erano scanditi in modo da lasciarci il tempo necessario per la preghiera; dopo, non si può avere tutto così sistemato – la vita è un’altra cosa – tutto organizzato, dal momento che si è immersi nei ritmi, talvolta incalzanti, degli impegni pastorali. Tuttavia, proprio ciò che abbiamo acquisito nel tempo del Seminario – vivendo l’armonia tra preghiera, lavoro e riposo – rappresenta una risorsa preziosa per affrontare le fatiche apostoliche. Ogni giorno abbiamo bisogno di fermarci, metterci in ascolto della Parola di Dio e sostare davanti al Tabernacolo. “Ma io cerco, però… mi addormento davanti al Tabernacolo”. Addormentati pure, che al Signore piace, ma stai lì, davanti a Lui. E avere cura di ascoltare anche il nostro corpo, che è un bravo medico, e ci avvisa quando la stanchezza ha superato i limiti. La preghiera, la relazione con Dio, la cura della vita spirituale danno anima al ministero, e il ministero, per così dire, dà corpo alla vita spirituale: perché il prete santifica sé stesso e gli altri nel concreto esercizio del ministero, specialmente predicando e celebrando i Sacramenti.
Secondo: camminare sempre, perché un prete non è mai “arrivato”. Resta sempre un discepolo, pellegrino sulle strade del Vangelo e della vita, affacciato sulla soglia del mistero di Dio e sulla terra sacra delle persone a lui affidate. Mai potrà sentirsi soddisfatto né potrà spegnere la salutare inquietudine che gli fa tendere le mani al Signore per lasciarsi formare e riempire. Perciò, aggiornarsi sempre e restare aperti alle sorprese di Dio! In questa apertura verso il nuovo, i giovani preti possono essere creativi nell’evangelizzazione, frequentando con discernimento i nuovi luoghi della comunicazione, dove incontrare volti, storie e domande delle persone, sviluppando capacità di socialità, di relazione e di annuncio della fede. Allo stesso modo, essi possono “stare in rete” con gli altri presbiteri e impedire che il tarlo dell’autoreferenzialità freni l’esperienza rigenerante della comunione sacerdotale. Infatti, in ogni ambito della vita presbiterale è importante progredire nella fede, nell’amore e nella carità pastorale, senza irrigidirsi nelle proprie acquisizioni o fissarsi nei propri schemi.
Infine, condividere con il cuore, perché la vita presbiterale non è un ufficio burocratico né un insieme di pratiche religiose o liturgiche da sbrigare. Abbiamo parlato tanto del “prete burocrate”, che è “chierico di Stato” e non pastore del popolo. Essere preti è giocarsi la vita per il Signore e per i fratelli, portando nella propria carne le gioie e le angosce del Popolo, spendendo tempo e ascolto per sanare le ferite degli altri, e offrendo a tutti la tenerezza del Padre. Partendo dalla memoria della loro esperienza personale – quando erano all’oratorio, coltivavano sogni e amicizie animati dall’amore giovanile per il Signore –, i novelli sacerdoti hanno la grande opportunità di vivere questa condivisione con i giovani e i ragazzi. Si tratta di stare in mezzo a loro – anche qui vicinanza! – non soltanto come un amico tra gli altri, ma come chi sa condividere con il cuore la loro vita, ascoltare le loro domande e partecipare concretamente alle diverse vicissitudini della loro vita. I giovani non hanno bisogno di un professionista del sacro o di un eroe che, dall’alto e dall’esterno, risponda ai loro interrogativi; essi sono attratti piuttosto da chi sa coinvolgersi sinceramente nella loro vita, affiancandoli con rispetto e ascoltandoli con amore. Si tratta di avere un cuore colmo di passione e compassione,soprattutto verso i giovani.
Pregare senza stancarsi, camminare sempre e condividere con il cuore significa vivere la vita sacerdotale guardando in alto e pensando in grande. Non è un compito facile, ma si può mettere piena fiducia nel Signore perché Egli ci precede sempre nel cammino! Maria Santissima, che ha pregato senza stancarsi, ha camminato dietro al suo Figlio e condiviso la sua vita fin sotto la croce, ci guidi e interceda per noi. Per favore, pregate per me!
© Copyright – Libreria Editrice Vaticana