La quindicenne cattolica Huma Younus, rapita nell’ottobre 2019 - Foto Coypright Aiuto alla Chiesa che Soffre - Italia

Il caso di Huma Younus, il legale della famiglia: finalmente mandato di arresto per i rapitori

Rapimento della minorenne cattolica pakistana – Comunicato stampa della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre – Italia

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È un passo in avanti, anche se la giustizia è esitante

Il tribunale pakistano di primo livello di Karachi Est il 21 settembre scorso ha emesso un mandato di arresto, nella forma prevista per gli accusati privi del diritto alla libertà provvisoria dietro cauzione, nei confronti di Abdul Jabbar e relativi complici. Sono accusati di avere rapito, violentato, costretta a sposare uno dei sequestratori e ad abbandonare la propria fede, Huma Younus, quindicenne cattolica. La minorenne è rimasta incinta a causa dello stupro ed è attualmente prigioniera fra le mura di una camera.

Tabassum Yousaf, legale dell’Alta Corte del Sindh, la provincia pakistana con capoluogo Karachi, è attualmente impegnata nella difesa dei genitori dell’adolescente. Aiuto alla Chiesa che Soffre le ha chiesto di commentare l’ultimo provvedimento dell’autorità giudiziaria. «Si tratta di un grande passo avanti verso la liberazione della minorenne cristiana», ha esordito l’avvocato Tabassum, la quale tuttavia non minimizza le difficoltà. «All’epoca del rapimento era quattordicenne, il mese prossimo sarà trascorso un intero anno e nella mia qualità di avvocato dico che la giustizia ritardata è una giustizia negata». Le ragioni del rinvio sono particolarmente allarmanti. «Il nostro sistema giudiziario è riluttante ed esitante quando si tratta di assicurare la giustizia alle minoranze, come abbiamo visto nel caso di Huma». Secondo Tabassum Yousaf il provvedimento del 21 settembre rappresenterà anche un test della qualità dell’operato delle forze di polizia. «Ora, dopo un anno, il mandato di arresto senza possibilità di libertà su cauzione ci permetterà di capire se la polizia fa o meno il proprio lavoro» e, nel secondo caso, «se fornirà spiegazioni all’atto della consegna della relazione in tribunale».

L’avvocato ha poi descritto lo stato d’animo della famiglia della minorenne. «Lo scorso 17 agosto il giudice ha riferito quanto ha affermato il padre del concepito a seguito dello stupro; l’uomo avrebbe infatti suggerito di «lasciare il bambino in un orfanotrofio». I genitori hanno manifestato la loro angoscia. «Ho bisogno di mia figlia nelle condizioni in cui si trova», si è sfogata in particolare la madre. «Voglio che continui i suoi studi e che giunga all’età del matrimonio», il quale sarà contratto «con un ragazzo cristiano e non con un musulmano. Non accetterò mai Abdul Jabbar quale mio genero. È un rapitore e null’altro. Chiedo di riavere mia figlia», ha concluso la donna.

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ZENIT Staff

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