Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Conversione è accoglienza di una Presenza e riorno al Suo amore

XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 3 novembre 2019

Share this Entry

Rito romano

XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 3 novembre 2019

Sap 11,22-12,2; Sal 144; 2 Ts 1,11 – 2,2; Lc 19, 1-10

L’uomo cerca Dio e Dio cerca l’uomo.

 

Rito ambrosiano

II Domenica dopo la Dedicazione

Is 25,6-10a; Sal 35; Rm 4,18-25; Mt 22,1-14

L’amore di Dio è prezioso.

 

Tre verbi importanti:  fermarsi, riconciliarsi, accogliere.

Meditando il Vangelo di questa domenica tre sono i verbi che hanno attirato la mia attenzione e che propongo alla riflessione: fermarsi, riconciliarsi e accogliere. Prima di tutto è importante capire che come a Zaccheo Gesù dice a ciascuno di noi: “Oggi devo fermarmi a casa tua” (LC 19, 5).

Oggi come sempre, il Redentore si invita, si autoinvita per entrare in casa nostra, e non lo fa mai per prendere ma sempre per donare la pace, riconciliando noi con Lui. Inoltre siamo invitati a imitare Zaccheo accoglie il Messia con gioia. Noi dobbiamo essere sempre degni della chiamata. Dio ci chiama e ci richiama sempre, lasciandoci nella coscienza della nostra indegnità. La conversione morale è, prima di tutto, teologale. Non possiamo cambiare veramente la nostra vita, se non accogliamo il Signore.

Solamente se Lo accogliamo veramente, la nostra vita da vuota diventa piena, da triste diventa gioiosa, da una vita chiusa  passiamo ad una vita aperta all’Altro che viene dall’alto e all’altro che viene dalla terra, e tutto è restituito nella gratitudine e nella gioia. Accogliendo il Signore nello spazio della nostra vita, essa diventa eucaristica e lieta nella condivisione. Questa accoglienza  stabile, cioè fedele e perseverante, è possibile perché  è resa salda dal perdono. Infatti, il Cristo entra nella casa del peccatore Zaccheo come oggi entra nella casa di ciascuno di noi peccatori: per perdonare, per riconciliarci con Dio, per scioglierci dal peccato[1].

 

2) Il desiderio umile di Dio fa convertire.

Riandiamo brevemente alla narrazione di questo incontro di Gesù con un uomo chiamato Zaccheo[2], capo dei pubblicani, molto ricco. Dato che era basso di statura, salì su un albero per vedere Cristo. Udì allora le parole del Maestro: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Gesù aveva notato il gesto di Zaccheo: interpretò il suo desiderio e anticipò l’invito. Destò perfino la meraviglia di qualcuno il fatto che Gesù andasse a trovare un peccatore. Zaccheo, felice per la visita “accolse pieno di gioia Cristo” (cfr Lc 19, 6), cioè aprì generosamente la porta della sua casa e del suo cuore all’incontro con il Salvatore.  E Papa Francesco, quando era ancora Vescovo di Buenos Aires, commentava: “Zaccheo non appena apprende che Gesù è entrato nella sua città, sente che si risveglia in lui il desiderio di vederlo e corre a salire sull’albero. La fede farà sì che Zaccheo smetta di essere un “traditore” al servizio di se stesso e dell’Impero, e diventi cittadino di Gerico, stabilendo relazioni di giustizia e solidarietà con i suoi concittadini”[3].

Oggi il Vangelo ci mostra che Zaccheo, che -anche se è ricco di soldi- è indigente di senso della vita. Questa povertà di spirito spinge il ricco pubblicano a salire su una pianta di sicomoro[4] per vedere il Messia. I bene materiali non colmavano la sua sete di infinito e si fece “medicante di Dio”, e così ebbe il dono di abitare nella grazia di Chi, entrando in casa sua, gli portava la vita eterna, piena.

L’uomo è cercatore dell’Assoluto. Anche se procede a passi piccoli e incerti l’uomo è sempre in ricerca, ha il  “cuore inquieto”, come scriveva sant’Agostino[5].

E’ significativo che il Catechismo della Chiesa Cattolica si apra proprio con la seguente considerazione: “Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa” (n. 27). Questa affermazione, però, nella cultura occidentale contemporanea è considerata una provocazione. Molti nostri contemporanei potrebbero infatti obiettare di non avvertire per nulla un tale desiderio di Dio. Per larghi settori della società secolarizzata Egli non è più l’atteso, il desiderato, è piuttosto una realtà che lascia indifferenti, davanti alla quale non si deve nemmeno fare lo sforzo di pronunciarsi.

In realtà, questo “desiderio di Dio” non è scomparso e emerge, oggi ancora e in molti modi, dal cuore dell’uomo. Il desiderio umano tende sempre a determinati beni concreti, spesso tutt’altro che spirituali, e tuttavia questi beni non gli bastano, è alla ricerca de “il Bene”, che lo sazi pienamente e per sempre.

Come può davvero saziare il desiderio dell’uomo? Il Vangelo di oggi ci dà la risposta, che anticipo: “Perché il desiderio sia saziato occorre educarlo”.

 

3) Il desiderio di Dio va educato.

Dio è nell’alto dei Cieli e l’uomo è polvere che calpesta la Terra, ma tra Dio e l’uomo c’è l’amore che salva. Dio ha compassione di tutti, perché tutto può,
chiude gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento (cfr. Sap 11, 22-24). Come dice il salmo: “Dio siede nell’alto ma si china a guardare sulla terra, e solleva l’indigente dalla polvere” (cfr Sal 112/113, 5 e 6).

Come circa venti secoli fa davanti a Zaccheo, oggi Cristo si presenta a noi e a ciascuno di noi personalmente dice: “Oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19, 5). Zaccheo corse a casa sua per preparare l’accoglienza di Cristo e li ricevette con il cuore dilatato, non dobbiamo fare lo stesso.

Cristo educò il desiderio di Zaccheo (ma analogamente educa il nostro desiderio), in primo luogo facendo re-imparare il gusto delle gioie autentiche della vita: in questo caso un pranzo tra persone che sono diventate amiche. “Educare sin dalla tenera età ad assaporare le gioie vere, in tutti gli ambiti dell’esistenza – la famiglia, l’amicizia, la solidarietà con chi soffre, la rinuncia al proprio io per servire l’altro, l’amore per la conoscenza, per l’arte, per le bellezze della natura –, tutto ciò significa esercitare il gusto interiore e produrre anticorpi efficaci contro la banalizzazione e l’appiattimento oggi diffusi. Anche gli adulti hanno bisogno di riscoprire queste gioie, di desiderare realtà autentiche, purificandosi dalla mediocrità nella quale possono trovarsi invischiati. Diventerà allora più facile lasciar cadere o respingere tutto ciò che, pur apparentemente attrattivo, si rivela invece insipido, fonte di assuefazione e non di libertà” (Benedetto XVI, Udienza generale del mercoledì, 7 novembre 2012). E ciò farà affiorare quel santo desiderio di Dio di cui stiamo parlando.

In secondo luogo, Cristo educò il desiderio di Zaccheo aprendo non solo la casa di questo peccatore (e di ciascuno di noi): gli aprì il cuore. Perché non è sufficiente rispondere alla domanda “come educare il desiderio?”, c’è un’altra domanda che si impone: “Chi sazia il desiderio? Gesù, che manifesta il volto buono del Mistero, rivelando che l’Infinito è Amore che si dona.

E’ sempre Gesù che prende l’iniziativa e lo fa in modo gratuito. Tuttavia si inserisce in una disponibilità dell’uomo. L’incontro con Dio è sempre al tempo stesso un dono e compimento di una ricerca, esaudimento di un desiderio. Zaccheo desidera vedere Gesù e poi, interpellato, è pronto ad accoglierlo (“in fretta scese e lo accolse in piena gioia”). L’incontro con Gesù cambia la vita di Zaccheo. Gesù veramente non dice nulla a Zaccheo, lo guarda con amore, allora questo pubblicano comprende e Gli dice: “Ecco, Signore, do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Il pubblicano Zaccheo diventa così la figura del discepolo cristiano che non lascia tutto, come invece altri chiamati, ma rimane nella propria casa, continuando il proprio lavoro, testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia (“restituisco quattro volte tanto”) e la condivisione con i bisognosi (“dò la metà dei miei beni ai poveri”). C’è il discepolo che lascia tutto per farsi missionario a tempo pieno del Regno, e c’è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene. E possibile distaccare il cuore dalle ricchezze, senza che ciò obblighi a disfarsene materialmente del tutto. L’importante è fidarsi di Dio che entra in casa nostra portando la salvezza.

Certo le persone che fanno come le Vergini consacrate sono un più chiara testimonianza che Dio è il solo Bene e che noi siamo il bene di Dio: testimoni dell’Amore infinito di Dio. Le consacrate testimoniano che è possibile dare a Dio tutto quello che abbiamo e siamo e così riceviamo quello che Lui è e portiamo al mondo intero. Queste donne vivono mostrando che è ragionevole dare tutto all’Amore.

Il fatto che queste donne restano nel mondo non è un compromesso né una scelta a metà, è il loro modo normale di essere testimoni dell’amore di Dio, tra la gente, con la gente. Per questo la vergine consacrata vive ogni giorno la ricerca di un delicato equilibrio di una vita spesa in un mondo che rischia di risucchiarla nei suoi ritmi e nelle sue difficoltà, una vita quotidiana in cui tutto è affidato alla loro responsabilità. Come già San Giovanni Paolo II, nella Esortazione apostolica post-sinodale del 25 marzo 1996 Vita consecrata, faceva notare indicando alcune caratteristiche essenziali: “È motivo di gioia e di speranza vedere che torna oggi a fiorire l’antico Ordine delle vergini, testimoniato nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal Vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano, pur restando nel mondo. Da sole o associate, esse costituiscono una speciale immagine escatologica della Sposa celeste e della vita futura, quando finalmente la Chiesa vivrà in pienezza l’amore per Cristo Sposo.” (n. 7). Come è noto questa tematica dell’immagine della Chiesa Sposa è stata ben approfondita nella Istruzione sull’Ordo Vigirnum, Ecclesiae Sponsae Imago, che la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha pubblicato il 4 giugno 2018.

 

 

 

Lettura Patristica

Sant’Agostino d’Ippona (354 -430)

Su Zaccheo

dal Discorso 174

 

 

“3. 3. Ma tu dirai: Se io sarò Zaccheo, a causa della folla non potrò vedere Gesù. Non rattristarti, sali sull’albero dove, per te pendette Gesù e vedrai Gesù. E su quale specie di albero salì Zaccheo? Su di un sicomoro. Nelle nostre regioni o non esiste affatto o forse raramente cresce in qualche luogo, ma in quelle località abbonda questa specie e il frutto. Sono chiamati sicomori dei pomi simili ai fichi, ma tuttavia diversi; lo possono sapere coloro che li videro e li gustarono. Tuttavia, per quanto indicano con l’etimologia del nome, in latino i sicomori sono detti ” falsi fichi “. Ora guarda il mio Zaccheo, osservalo, ti prego, mentre vuole vedere Gesù in mezzo alla folla e non ne è capace. Egli era umile infatti, la folla era superba; e proprio la folla, come capita abitualmente in una ressa, impediva a se stessa di vedere bene il Signore; si sollevò al di sopra della folla e vide Gesù, non essendo di ostacolo la folla. La folla infatti si rivolge agli umili, a coloro che percorrono la via dell’umiltà, a coloro che affidano a Dio le ingiurie ricevute e che non cercano la vendetta sui nemici, la folla insulta e dice: Uomo senza difesa, che non ti puoi vendicare. La folla fa in modo che non si veda Gesù; la folla, che si gloria, che si vanta quando è riuscita a vendicarsi, ostacola perché non si veda colui che, crocifisso, dice: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Perciò, volendolo vedere, Zaccheo, nel quale si figurava la persona degli umili, non badò alla folla che ostacolava, ma salì su un sicomoro come l’albero del falso frutto. Dice infatti l’Apostolo: Noi predichiamo Cristo crocifisso, certamente scandalo per i Giudei – considera il sicomoro – stoltezza invece per i Pagani. Infine, a motivo della croce di Cristo, i sapienti di questo mondo c’insultano e dicono: Che saggezza avete voi che adorate un Dio crocifisso? Quale sapienza abbiamo? Non di certo la vostra. La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Non abbiamo davvero la vostra saggezza. Ma voi dite stolta la nostra saggezza. Dite pure quello che volete; noi possiamo salire sul sicomoro e vedere Gesù. Voi non potete vedere Gesù appunto perché vi vergognate di salire sul sicomoro. Si aggrappi Zaccheo al sicomoro, salga umile la croce. E’ poca cosa il suo salire: per non arrossire della croce di Cristo, la fissi sulla fronte dove ha posto l’onore, proprio là, là, sulla parte del volto dove appare il rossore, là si fissi per non provarne vergogna. Penso che tu te ne ridi del sicomoro, però esso mi ha permesso di vedere il Signore. Ma tu te ne ridi del sicomoro, perché sei uomo; ma la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini.

 

  1. 4. E il Signore vide proprio Zaccheo. Fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto. Quelli infatti che ha predestinati, li ha anche chiamati. Egli è colui che parlò a Natanaele, il quale – per così dire, con la sua testimonianza, già stava collaborando al Vangelo – disse: Da Nazareth può venire qualcosa di buono? Il Signore a lui: Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto quando eri sotto l’albero di fico. Voi sapete come i primi peccatori, Adamo ed Eva, si adattassero delle cinture. Quando peccarono si adattarono delle cinture di foglie di fico e coprirono le parti vergognose; infatti a causa del peccato suscitarono il senso della vergogna. Pertanto, se si fecero cinture i primi peccatori – dai quali discendiamo, nei quali eravamo periti – venendo egli a cercare e a salvare ciò che era perduto, con foglie di fico si fecero di che coprire le parti vergognose, che altro si volle dire con: Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fico, all’infuori di: Non saresti venuto a colui che purifica dai peccati se egli per primo non ti avesse veduto nel velamento del peccato? Siamo stati veduti perché potessimo vedere; siamo stati amati affinché potessimo amare. Il mio Dio, la sua misericordia mi precederà.

 

  1. 5. Ora dunque il Signore, che aveva accolto Zaccheo nel cuore, si è degnato di essere ospitato nella casa di lui. Disse: Zaccheo, scendi subito, perché devo fermarmi in casa tua. (Quello riteneva un grande beneficio vedere Gesù). Egli, che considerava un grande e indicibile beneficio vederlo passare, meritò immediatamente di averlo in casa. Viene infusa la grazia, la fede opera per mezzo dell’amore; Cristo, che già abitava nel cuore, viene ricevuto in casa. Dice a Cristo Zaccheo: Signore, dò la metà dei miei beni ai poveri e, se in qualche cosa ho frodato alcuno, restituisco il quadruplo. Quasi a dire: Per questo mi trattengo una metà, non in possesso, ma per avere di che rendere. Ecco in realtà che vuol dire ricevere Cristo, accoglierlo in cuore. Era là infatti Cristo, era in Zaccheo e attraverso di lui Zaccheo diceva a se stesso ciò che ascoltava dalla bocca di lui. Dice infatti così l’Apostolo: Che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori.

 

  1. 6. Perciò, perché si trattava di Zaccheo, che era il capo dei Pubblicani, che era assai peccatore, quella folla, apparentemente sana, che impediva di vedere Gesù, rimase stupita e contestò il fatto che Gesù era entrato nella casa di un peccatore. Era questo un riprovare l’ingresso del Medico nella casa di un malato. Perché appunto da peccatore Zaccheo fu deriso, fu deriso in realtà, lui sano, da gente insana, Gesù rispose ai derisori: Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Ecco il motivo del mio ingresso: Oggi è entrata la salvezza. Se il Salvatore non fosse entrato, in quella casa non sarebbe assolutamente entrata la salvezza. Perché, infermo, ti meravigli allora? Chiama anche tu Gesù, non crederti sano. Chi riceve il medico è un malato che ha speranza; è un infermo senza rimedio chi, per insensatezza, fa morire il medico. Che follia è mai quella di chi uccide il medico? Non è grande veramente la bontà e la potenza del medico che del suo sangue ha fatto la medicina per il suo insensato uccisore? Colui che era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto non diceva infatti: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno, mentre pendeva innocente sulla croce? Sono dei folli, io sono medico, infieriscano, tollero con pazienza; nell’uccidermi darò allora la sanità. Facciamo parte dunque di coloro che egli risana. E’ parola umana e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori; grandi e piccoli, a salvare i peccatori. Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.”

 

[1] Scrivendo ciò mi permetto aderire strettamente al  testo greco di San Luca che  usa il verbo katalùo che ha vari significati: 1. sciogliere, 2. compiere, 3. riposare, 4. riconciliarsi, 5. fare la pace. La traduzione italiana dice semplicemente: “È entrato in casa di un peccatore!” (Lc 19, 7) e quella francese: “« Il est allé loger chez un homme qui est un pécheur. ». (Ibid.) La traduzione inglese dice: “ “He has gone to stay at the house of a sinner.” (Ibid.)

[2] Zaccheo vuol dire “puro, integro, giusto”, nome paradossale per uno che svolgeva un lavoro che lo rendeva –secondo la legge ebraica del tempo- impuro (su purezza e impurità nella Bibbia si veda la n. 1 delle riflessioni di Domenica XXVIII -13 ottobre 2013). Ma in ebraico Zaccheo significa anche “colui di cui Dio si ricorda”, nome quanto mai appropriato per questo pubblicano. Zaccheo è la testimonianza di un cammino molto concreto dall’egoismo alla condivisione, ma è anche il cammino di un viaggio interiore che va dalla “curiosità “ alla conversione.

[3] Dal discorso Dios vive en la ciudad che l’allora  Cardinal Bergoglio ha tenuto in occasione del “Primo congresso regionale di pastorale urbana”, tenutosi a Buenos Aires  dal 25 al 28 agosto 2011.

[4] Il sicomoro è un albero di origine africana dall’ampio tronco corto, dai rami bassi con molto fogliame e dal frutto dolce, simile a un fico del suo stesso nome  greco (sico). Proprio intorno a quest’albero è ambientato l’episodio dell’incontro tra Gesù e Zaccheo. Nell’antichità si credeva che il legno di questo albero fosse incorruttibile e veniva usato per fare i sarcofagi regali. Ognuno di noi ha bisogno di un “sicomoro” per salire in alto e vedere Cristo.

[5]  Dio ci ha fatti per Lui, e il nostro cuore è inquieto finché non trova quiete in LUI (fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te – Confessioni 1.1). Questo è anche il riassunto della vicenda esistenziale narrata da Sant’Agostino nelle Confessioni, in cui si può rispecchiare la storia di ogni uomo: una vita irrequieta e insoddisfatta, che trova pace nell’incontro con l’amore infinito del Dio vivo e vero.

***
Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

Share this Entry

Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione