Questa mattina il Santo Padre Francesco, accompagnato da S.E. Mons. Rino Fisichella, si è recato in visita alla Cittadella Cielo della “Comunità Nuovi Orizzonti” di Frosinone.
Arrivato verso le 9.40, Papa Francesco è stato accolto nell’auditorium dai partecipanti raccolti in preghiera. Dopo un breve intervento di Chiara Amirante, Fondatrice di Nuovi Orizzonti, e le testimonianze di un giovane e di una giovane, il cantante Andrea Bocelli e il figlio, invitati all’incontro, hanno eseguito il canto “Follow me” e descritto il loro impegno nella comunità. Hanno fatto seguito alcuni interventi e domande di giovani e adulti che hanno cambiato vita dopo l’incontro con la fede cristiana attraverso la Comunità Nuovi Orizzonti. Quindi il Santo Padre ha risposto alle domande a Lui rivolte.
Dopo la conclusione dell’incontro, alle ore 12.20 Papa Francesco ha celebrato per i partecipanti la Santa Messa, animata, durante la comunione e alla fine, dal canto di Andrea Bocelli. Al termine, davanti al Santo Padre, i consacrati della Comunità hanno rinnovato il proprio impegno al servizio della Chiesa e la propria consacrazione al Cuore Immacolato di Maria.
Dopo il pranzo, il Santo Padre, nell’auditorium, ha incontrato il personale e successivamente, all’esterno, ha piantato un ulivo. Infine, alle ore 16.50, il Santo Padre ha fatto ritorno in Vaticano. Pubblichiamo di seguito la trascrizione delle parole del Papa in risposta alle domande e agli interventi che si sono susseguiti durante l’incontro e l’omelia che ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica:
Intervento del Santo Padre
Scusatemi, ma io non voglio fare il professore. Sai? A 83 anni non me la sento di stare in piedi per tanto tempo. Capito? Per la Messa è sufficiente… Qui mi hanno mandato una cartella con gli orari, chi parlava, poi le testimonianze, quello che voi avete letto, e le domande… Pensavo che se io incominciassi a rispondere a quelle domande, a quei “perché” o “come” o “cosa pensa” sicuramente sarebbero parole… parole, parole, parole… Chi cantava così? [rispondono: Mina!] La grande Mina! Parole… E credo che sarebbe come sporcare la sacralità di quello che voi avete detto, perché voi non avete detto parole, avete detto vite: le vostre vite. Storie. Cammini. Ricerche, ma ricerche di carne, spirito, tutta la persona. Non ci sono spiegazioni a questo. Le vostre storie sono storie di sguardi, tanti sguardi, tanti sguardi, tanti sguardi… e mi hanno colpito. E – sentite bene – erano sguardi che non riempivano la vita, uno dietro l’altro… E a un certo momento, avete sentito uno sguardo – uno – che non era come gli altri, era quello soltanto: uno sguardo che ti ha guardato con amore. Ti ha guardato con amore. Anch’io conosco quello sguardo. E quando quello sguardo ti ha amato, e ti ha fatto sentire che ti amava, ti ha anche preso per mano, dagli inferi – sì, la discesa di Gesù negli inferi –, ti ha preso per mano, e non ti ha portato in un laboratorio per metterti in un alambicco di purificazione, no, le cose artificiali il Signore non le vuole. Ti ha detto: “Vieni con me”. E poi: “Vai”… La nostalgia di dov’eri, torni, vai, vieni… E’ il cammino della vita. Uno sguardo che ti ha preso per mano e ti ha lasciato andare, non ti ha tolto la libertà… Questa è la prima riflessione che a me viene dalle vostre storie.
E tu, Jefferson, le tue andate e tornate, andate e tornate, andate e tornate… La strada del Signore è così. Io penso alla testardaggine degli apostoli, per esempio: non sono diventati perfetti apostoli, gli hanno fatto passare, a Gesù, cose brutte… Ma Lui aveva pazienza: uno sguardo paziente, uno sguardo paziente… Voi, con le vostre testimonianze, mi avete fatto sentire che lo sguardo del Signore è uno sguardo paziente: sempre ha pazienza. Ti aspetta. Ti aspetta. Sempre. È il Signore della pazienza: ti aspetta e mai fa forza per andare avanti, no, rispetta… Perché Lui sa che con quel primo sguardo è entrato nel tuo cuore, Lui sa che una volta che si sente l’amore non si può tornare indietro. E ti lascia, ti lascia…; ti chiama di nuovo, ma è uno sguardo molto rispettoso, molto rispettoso… E questo l’ho sentito nella tua testimonianza, Elena: tu guardavi lo specchio, ma c’era un’altra cosa che tu cercavi, e una volta che ti sei sentita guardata così hai finito tutta la storia. O è incominciata la storia! È così. Poi è continuata la storia, perché il Signore mai, mai, mai ci insegna a rinnegare il nostro passato, no, e questa è una grazia. Dice la Bibbia che Dio ha creato Adamo dal fango: quel fango è la nostra storia pura. Noi siamo venuti dal fango, non dimenticatelo mai! Questo vuol dire essere salvato, perché è con amore. Ma non voglio fare la predica, perché sarà noioso. Queste sono le cose che mi sono venute prima: lo sguardo davanti a tanti sguardi della vita. Poi, un’altra cosa che mi ha colpito: le voci.
Tu, Dario, l’ho sentito quando tu parlavi: le tante voci della vita, le tante voci… Fino al momento in cui avete sentito LA voce, una voce speciale che… è quella. Una voce che è come “un filo di silenzio sonoro”, così la spiega la Bibbia (cfr 1 Re 19,12). “Ho sentito un filo di silenzio sonoro”: il profeta Elia sente questo. È una voce unica e così, silenziosa e sonora nello stesso tempo. E quella voce ha questa voce: questa è la canzone, questa è la voce che io sto cercando, questa è la voce che mi darà pienezza. Lo sguardo, gli sguardi. Le voci, la voce… E’ una strada, un cammino sul quale voi avete cercato… In tanti cerchiamo… E poi avete trovato, o, per meglio dire, siete stati trovati. Siamo stati trovati.
E poi, una storia di lotte. Tu, Mirko, sei il campione! Un collezionista di lotte diverse. Lottare. Tante lotte fino all’ultima lotta, la lotta dove siamo stati vinti. È la sconfitta più bella: quella sconfitta è bella, quando si sente dire… uno è capace di dire: Vai avanti, hai vinto, complimenti, vai! Sono voci, voce; sguardi, sguardo; lotte, la lotta finale, la sconfitta della lotta. È così la nostra storia con Gesù, sempre è così. E a me ha colpito tanto che tutti voi avete dato testimonianza di Gesù. Perché voi non avete fatto un corso di indottrinamento, di imparare dei passi per progredire nella vita. O uno di questi corsi che amano gli imprenditori: “come vincere nella vita”, o “come guadagnare amici”, o “come fare questi passi”, o “come guarirmi dalla nevrosi”… No. Voi siete stati chiamati, guardati, vinti, accarezzati: la carezza di Gesù. Gesù, qui, ci insegna una cosa bella: che l’unico gesto, l’unica volta nella vita in cui si è pienamente umani nel guardare una persona dall’alto in basso, è per aiutarla a sollevarsi. L’unica. E Gesù… [Applaudono tanto e non gli fanno riprendere la parola]…
Quest’uomo è il povero Adamo, lì, che stava aspettando… Ma Gesù fa anche questo gesto di dignità per aiutarci: si abbassa. Questa è la cosa più grande del nostro Dio: un Dio che si abbassa. Si abbassa. Si fa vicino. Gesù si fa vicino. E questo è bello… Come con i discepoli di Emmaus… Ma questa è una predica, come taglio, vero? Continuo così? Voi ditemi… No, davvero, se… [ridono]. Anch’io parlo della mia esperienza così, perché anch’io ho fatto una strada – il Signore la conosce – non per diventare Papa, per lasciarmi salvare dal Signore… È la vicinanza di Gesù: Lui si fa vicino sempre. È la cosa grande del nostro Dio: è un Dio vicino. Già lo diceva a Mosè, agli ebrei nel Deuteronomio, il Libro della Bibbia: “Ma, ditemi: quale popolo ha un Dio così vicino come voi?”. Il nostro Dio è vicino. Non è un Dio lontano, Gesù non è lontano. Si è fatto Gesù per camminare con noi, per fare questo gesto: alzarci; per riempire il cuore, per guardarci con amore, per parlarci con quella voce che solo Lui ha, per vincere la battaglia dei desideri un po’ confusi che noi non riusciamo a capire…
Non so, tutte queste cose mi sono venute in mente mentre voi parlavate, e guardavo spesso questo, guardavo tanto. C’è una cosa che, quando voi avete – scusate il mio italiano – quando voi avete passato la “soglia definitiva”, diciamo così, definitiva sempre tra virgolette, perché Gesù non ci toglie la libertà di tornare indietro, no, ma, c’è una soglia definitiva. Per te è stato a Medjugorje, quella è definitiva, alla fine… Voi avete l’esperienza. Guardate: i segni della morte, qui: il coltello, i chiodi, tutti i segni della morte di Gesù, cadono. Sono loro ad andare all’inferno, io ne sono uscito. Ma se ognuno di noi – dopo lo sguardo, dopo la chiamata, dopo la vittoria di Gesù – vuol portarsi uno di questi, ancora gli manca qualcosa. Gli manca ancora di far uscire qualcosa dal cuore, che non ha pienamente aperto. Si porta un dolore, si porta un risentimento, si porta una nostalgia… No, devono cadere tutte, e cadono. E questo è il segno: questo è il segno che io ho visto in tutti voi. Il mio ancora non l’ho visto, ma… [applaudono]. È quell’odore, quell’odore brutto che rimane, perché non sono capace di aprire bene le finestre e lasciare che venga lo Spirito Santo a pulire tutto. Mi porto qualcosa dentro, quel “ma, però…”, la logica del “ma”. “Sì, questo sì, il Signore mi ha dato tanto, ho trovato il Signore, ho lasciato… ma…”. Cosa ti manca? “Ma”. Quando il Signore ci guarda, ci parla, ci invita, ci vince, il “ma” cade. Se tu vuoi avere questi segni, vuoi camminare sulla logica del “ma”, ancora non hai lasciato entrare il Signore. La tendenza al peccato continua, questo è vero. La tendenza al male… tutti, anch’io, tutti, tutti, nessuno si salva da questo. Però, quando abbiamo lasciato tutto, sappiamo che soltanto in Lui c’è la speranza. Invece, quando non hai lasciato, “sì, ma… prendo questo chiodo per aiutarmi, prendo…”. E così, è quello che Gesù dice nel Vangelo: quando lo spirito immondo esce da una persona e se ne va, quella persona trova Dio, sistema la casa, fa tutto di nuovo; poi torna lo spirito immondo dopo tanto tempo, e torna alla casa e vede la casa tanto bella, tanto bella, e va a cercare altri sette spiriti peggiori di lui e torna con la cricca, con la cordata dei diavoli… ma non distruggono nulla, suonano il campanello, sono demoni educati!, suonano il campanello: “permesso?”, e tu apri loro la porta, ma sì, sono buoni, questi pensieri sono buoni, questi sentimenti sono buoni… E incominci a riprendere i segni della morte, i segni dell’inferno.
State attenti perché a tutti voi – a tutti noi, anche a me – è successo questo. A un certo punto ti trovi con il desiderio dell’onnipotenza: non lasciare che sia Lui a sollevarti. “Sì, sì, grazie Signore, ma io mi arrangio anche con questo”. State attenti, quando torneranno questi diavoli educati, queste passioni che tornano di nuovo. Pensiamo… A me fa ridere l’apostolo Pietro: era testardo, questo, era testardo. Quando il Signore lo conferma, alla fine, già dopo la Resurrezione, sulla riva del Lago di Tiberiade, e gli domanda per tre volte se lo ama, se lo ama, e lui ha un po’ paura perché dice: “per tre volte ti ho rinnegato e Tu per tre volte mi chiedi…”. Ma il Signore va oltre e lo fa sentire in pace. E quando si sente sicuro, cosa fa? Il pettegolo. “Ah, dimmi, e questo che viene dietro [l’apostolo Giovanni], che ne sarà di lui?”. Subito scivola su qualcosa che non è l’amore del Signore. È quella voglia di comandare noi la vita. E una volta che uno ha sentito che Lui è capace di guidarci bene, che la nostra libertà non è stata tolta ma sedotta dall’amore, lasciamo che faccia questa strada.
Queste sono le cose che mi sono venute in mente mentre voi parlavate. Come vedete io non do risposta alle vostre domande perché non so, non mi viene, non ci sono spiegazioni per una vita, non ci sono modi di chiarire. C’è il mistero, il mistero di un Dio che ci ha tolti dagli inferi, il mistero di un Dio che si è fatto vicino, che mi ha guardato, che mi ha amato, che mi ha parlato, che ha vinto le mie resistenze. E questo è quello che a me piace dirvi… Voi siete un mistero. Quando io ho sentito le vostre testimonianze, mi sono sentito davanti a un mistero, il mistero dell’incontro di una persona con Gesù. Io posso soltanto rispondere sottolineando il mistero, ma non con le parole, no. Questo è quello che mi viene di dirvi. Poi c’è un’altra cosa che… in te non l’ho sentita, ma negli altri tre, sì. Non è un rimprovero: ti manca… non so, ancora non è arrivata l’ora… ma voi avete testimoniato la fecondità. Tu hai parlato dei tuoi figli – tre –, tu di due, tu hai fatto vedere la tua… [ridono] una buona cachacinha ti aiuterà [ridono e applaudono]. L’amore è sempre fecondo, sempre. “Ma, e Lei, che è sacerdote, che è vescovo?”, potreste domandarmi. “Ma Lei è uno zitellone, non ha figli…”. Ci sono fecondità e fecondità. Ma l’amore sempre è fecondo. Spiritualmente, fisicamente, umanamente. Sempre è fecondo.
La fecondità della vostra testimonianza: anche la vostra testimonianza è un seminare, un seminare non l’idea, il fatto che Dio è amore, che Dio ci vuole bene, che Dio ci sta cercando ogni momento, che Dio è accanto a noi, che Dio ci prende per mano per salvarci. E questa è la fecondità, nostra, di noi tutti, che io ho visto un po’ come simbolo nei vostri figli. Ma c’è un’altra fecondità di tutti voi, che è quella che avete seminato tra noi. Anche la fecondità degli artisti, che sono due testimoni che ci hanno dato il messaggio non parlando ma cantando. Andrea è capace di cantare con il figlio, e cantare non solo con il figlio: cantare del figlio e raccontarci del figlio, dei suoi rapporti con il figlio. Questa è fecondità. E poi, l’ultima canzone sull’amore, è fecondità, anche come ci avete raccontato come l’avete fatta, come ha scoperto quel pezzo della prima Lettera ai Corinzi, che ha fatto la fecondità… La vita, se non è feconda, non serve, non serve. Per questo il Signore, ogni volta che ci ha guardato, che ci ha parlato, che ha vinto in noi, che ci ha accarezzato, sempre ci dice quello che aveva detto all’indemoniato di Gerasa: “Vai dal tuo popolo e racconta le meraviglie”. Noi siamo uomini e donne del Magnificat, cioè del canto della Madonna, di andare a raccontare che Dio mi ha guardato, mi ha accarezzato, mi ha parlato, ha vinto. Ed è con me. Mi ha preso per mano e mi ha tolto dall’inferno. Non so. Tutto questo è quello che mi viene. Io non ho preparato risposte, ci sono soltanto le vostre testimonianze, qui, quello che mi hanno dato. Ma ho preferito così, dirvi quello che voi avete fatto in me, oggi, come vi ho percepito, e dare testimonianza. Perché anche voi avete seminato qualcosa in me, oggi. Grazie.
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Omelia del Santo Padre
Nella prima Lettura, dal libro di Esdra, c’è la narrazione della ricostruzione del tempio, totalmente distrutto da anni, da decenni…; sembrava un po’ una selva, delle rovine… Ma il Signore ha ispirato Neemia di fare quello che abbiamo sentito, di ricostruire il tempio, e incomincia questa avventura, tanti anni per riedificare Gerusalemme, ricostruire il tempio. Questa è una storia di ricostruzione. E qui, il re Dario che vedeva di buon occhio questo lavoro, scrisse al governatore: “Lasciate che costruiscano questo, che facciano quest’altro, questa gente io la proteggo”. E va avanti nella costruzione. Ma non è una cosa facile ricostruire. Quei giudei sono riusciti a farlo perché il Signore era con loro. Soltanto quando il Signore è con noi, siamo capaci di fare una ricostruzione, perché è più difficile ricostruire che costruire, è più difficile.
Anche da noi, è più difficile risistemare una vita che far crescere un bambino. È più difficile. Bisogna cambiare mentalità. Perché la gente che abitava lì si era abituata: “Ma sì, sono delle rovine…”. Era abituata a vivere con quelle rovine e non aveva quella nostalgia del tempio di Dio; e se l’aveva, diceva: “Peccato, hanno vinto loro, hanno distrutto… e andiamo avanti”. Ma questo santo uomo aveva lo zelo per la casa di Dio e voleva ricostruire il tempio, e aiutato da tanti va avanti in quest’opera, comincia ad andare…
Ma c’è una cosa che qui non appare – perché questo è un pezzetto –: che ad alcuni del posto non piaceva questo, erano i mercanti delle rovine, i mercanti di morte, i mercanti dello statu quo. Dicevano: “Non conviene questo a noi. Lasciamo le rovine, lasciamo la sconfitta…”. E questi, con una banda di amici, di notte distruggevano il muro che veniva costruito di giorno. E alla fine questa gente cos’ha fatto, quelli che volevano costruire? Dice la Bibbia: “In una mano avevano i mattoni e nell’altra la spada”, per difendere la costruzione. La costruzione del tempio si difende con il lavoro e con la spada, cioè con la lotta. Anche la ricostruzione di una vita è una grazia, non meritata, tutto è grazia, ma bisogna difenderla, con il lavoro e anche con la lotta, per non lasciare che i mercanti della distruzione tornino a fare di questa vita un mucchio di pietre, di rovine, di mattoni. Tante volte il popolo, il popolo di Dio è dovuto andare avanti, e poi sconfitto andare indietro; e avanti, indietro, avanti, indietro…, fino a che è arrivato Gesù. Anche Lui, lo hanno ridotto in rovine alla croce, ma la sua potenza, la potenza di Dio lo ha ricostruito per sempre per noi. Cioè, il lavoro della nostra vita, le testimonianze che oggi abbiamo sentito, testimonianze di ricostruzione, vanno difese: quel lavoro va difeso e da soli non possiamo, dobbiamo farci aiutare dall’unico Vincitore, dall’unico che è capace di vincere in noi, e questa è la radice della nostra speranza. Noi siamo uomini e donne di speranza, perché quest’Uomo è stato capace di ricostruire il popolo di Dio, di salvarci.
La liturgia dice che Dio fa vedere la sua potenza nella creazione ma più ancora nella redenzione, cioè nella vittoria di Gesù, nella vittoria di Gesù su di noi, perché lì Gesù costruisce il tempio, costruisce la Chiesa, costruisce le nostre vite. Noi non possiamo costruire le nostre vite, non possiamo mantenere il tempio della nostra vita in piedi, bene, senza Gesù, senza la fiducia in Gesù. È Lui che ci aiuterà in questo, con questa potenza propria di chi è capace di ri-sistemare le cose, che è più difficile di sistemarle. Non so, questo io vorrei dirlo. Quando ho letto questa mattina ambedue le Letture, ho detto: questa va bene per oggi, la prima, ricostruire il tempio, ricostruire la vita; non solo la nostra, ma anche avere la voglia di ricostruire sempre. “Guarda, è caduto il tetto, là…”. Andare avanti. E tante volte la nostra vita è così. Ma è Lui che è con noi, che ci difende da quelli che amano le rovine, che vogliono distruggerci. Anche noi abbiamo sempre un po’ di quella voglia di autodistruzione e a volte viene, è normale, siamo umani. E a questo dobbiamo stare attenti: i mattoni in una mano e la spada nell’altra, cioè il lavoro e la preghiera, la fiducia nelle nostre mani – come le tue, che fai queste cose belle dagli scarti – e la fiducia nella preghiera in Dio, che è la spada che ci farà andare avanti. Che il Signore ci dia questa grazia, la voglia di ricostruire sempre, sempre! Mai scoraggiarci! Ci saranno delle sconfitte, ci saranno! Ma Lui è più grande delle sconfitte. Sempre con la fiducia. Lui è la spada che vince. Che il Signore ci aiuti a capire col cuore queste cose.