Alle ore 11.30 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Vescovi ordinati nell’ultimo anno, partecipanti al Corso di formazione promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’Udienza:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli, buongiorno.
Vi do il benvenuto a questo incontro conclusivo del vostro pellegrinaggio a Roma, organizzato dalle Congregazioni per i Vescovi e per le Chiese Orientali. Ringrazio i Cardinali Ouellet e Sandri per il loro impegno nell’organizzazione di queste giornate. Insieme, come nuovi membri del Collegio Episcopale, siete scesi poco fa alla tomba di Pietro, “trofeo” della Chiesa di Roma. Lì avete confessato la stessa fede dell’Apostolo. Essa non è una teoria o un compendio di dottrine, ma una persona, Gesù. Il suo volto ci rende vicino lo sguardo di Dio.
Il nostro mondo cerca, anche inconsapevolmente, questa vicinanza divina. Lui è il mediatore. Senza questa prossimità di amore vacilla il fondamento della realtà; la Chiesa stessa si smarrisce quando perde la tenerezza vivificante del Buon Pastore. Qui avete affidato le vostre Chiese, per loro avete ripetuto con Gesù: «corpo offerto e sangue versato per voi». Non conosciamo altra forza che questa, la forza del Buon Pastore, la forza di dare la vita, di avvicinare all’Amore per mezzo dell’amore. Ecco la nostra missione: essere per la Chiesa e per il mondo “sacramenti” della prossimità di Dio.
Vorrei pertanto dirvi qualcosa sulla vicinanza, essenziale per ogni ministro di Dio e soprattutto per i Vescovi. Vicinanza a Dio e vicinanza al suo popolo. La vicinanza a Dio è la sorgente del ministero del Vescovo. Dio ci ama, si è fatto più vicino di quanto potessimo immaginare, ha preso la nostra carne per salvarci. Questo annuncio è il cuore della fede, deve precedere e animare ogni nostra iniziativa. Noi esistiamo per rendere palpabile questa vicinanza. Ma non si può comunicare la prossimità di Dio senza farne esperienza, senza sperimentarla ogni giorno, senza lasciarsi contagiare dalla sua tenerezza. Ogni giorno, senza risparmio di tempo, bisogna stare davanti a Gesù, portargli le persone, le situazioni, come canali sempre aperti tra Lui e la nostra gente. Con la preghiera diamo al Signore cittadinanza là dove abitiamo. Sentiamoci, come san Paolo, fabbricanti di tende (cfr At 18,3): apostoli che permettono al Signore di abitare in mezzo al suo popolo (cfr Gv 1,14).
Senza questa confidenza personale, senza questa intimità coltivata ogni giorno nella preghiera, anche e soprattutto nelle ore della desolazione e dell’aridità, si sfalda il nucleo della nostra missione episcopale. Senza la vicinanza col Seminatore, ci sembrerà poco appagante la fatica di gettare il seme senza conoscere il tempo della raccolta. Senza il Seminatore, sarà difficile accompagnare con paziente fiducia la lentezza della maturazione. Senza Gesù, arriva la sfiducia che Egli non porterà a compimento la sua opera; senza di Lui prima o poi si scivola nella malinconia pessimista di chi dice: “va tutto male”. È brutto sentire un vescovo dire questo!
Solo stando con Gesù veniamo preservati dalla presunzione pelagiana che il bene derivi dalla nostra bravura. Solo stando con Gesù giunge nel cuore quella pace profonda che i nostri fratelli e sorelle cercano da noi. E dalla vicinanza a Dio alla vicinanza al suo popolo. Stando vicini al Dio della prossimità, cresciamo nella consapevolezza che la nostra identità consiste nel farci prossimi. Non è un obbligo esterno, ma è un’esigenza interna alla logica del dono. «Questo è il mio Corpo offerto per voi», diciamo nel momento più alto dell’offerta eucaristica per il nostro popolo. La nostra vita scaturisce da qui e ci porta a diventare pani spezzati per la vita del mondo. Allora la vicinanza al popolo affidatoci non è una strategia opportunista, ma la nostra condizione essenziale. Gesù ama accostarsi ai suoi fratelli per mezzo nostro, per mezzo delle nostre mani aperte che accarezzano e consolano; delle nostre parole, pronunciate per ungere il mondo di Vangelo e non di noi stessi; del nostro cuore, quando si carica delle angosce e delle gioie dei fratelli.
Pur nella nostra povertà, sta a noi che nessuno avverta Dio come lontano, che nessuno prenda Dio a pretesto per alzare muri, abbattere ponti e seminare odio. È brutto anche quando un vescovo abbatte dei ponti, semina odio o sfiducia, fa il contro-vescovo. Abbiamo da annunciare con la vita una misura di vita diversa da quella del mondo: la misura di un amore senza misura, che non guarda al proprio utile e ai propri tornaconti, ma all’orizzonte sconfinato della misericordia di Dio. La vicinanza del Vescovo non è retorica. Non è fatta di proclami autoreferenziali, ma di disponibilità reale. Dio ci sorprende e spesso ama scombussolare la nostra agenda: preparatevi a questo senza paura. La prossimità conosce verbi concreti, quelli del buon Samaritano: vedere, cioè non guardare dall’altra parte, non far finta di nulla, non lasciare le persone in attesa e non nascondere i problemi sotto il tappeto. Quindi farsi vicini, stare a contatto con le persone, dedicare tempo a loro più che alla scrivania, non temere il contatto con la realtà, da conoscere e abbracciare. Poi, fasciare le ferite, farsi carico, prendersi cura, spendersi (cfr Lc 10,29-37).
Ognuno di questi verbi della prossimità è una pietra miliare nel cammino di un Vescovo col suo popolo. Ognuno chiede di mettersi in gioco e di sporcarsi le mani. Essere vicini è immedesimarsi col popolo di Dio, condividerne le pene, non disdegnarne le speranze. Essere vicini al popolo è avere fiducia che la grazia che Dio fedelmente vi riversa, e di cui siamo canali anche attraverso le croci che portiamo, è più grande del fango di cui abbiamo paura. Per favore, non lasciate prevalere i timori per i rischi del ministero, ritraendovi e mantenendo le distanze. Le vostre Chiese segnino la vostra identità, perché Dio ne ha congiunto i destini, pronunciando il vostro nome insieme al loro. Il termometro della vicinanza è l’attenzione agli ultimi, ai poveri, che è già un annuncio del Regno. Lo sarà anche la vostra sobrietà, in un tempo nel quale in molte parti del mondo tutto è ridotto a mezzo per soddisfare bisogni secondari, che ingolfano e sclerotizzano il cuore.
Farsi una vita semplice è testimoniare che Gesù ci basta e che il tesoro di cui vogliamo circondarci è costituito piuttosto da quanti, nelle loro povertà, ci ricordano e ripresentano Lui: non poveri astratti, dati e categorie sociali, ma persone concrete, la cui dignità è affidata a noi in quanto loro padri. Padri di persone concrete; cioè paternità, capacità di vedere, concretezza, capacità di accarezzare, capacità di piangere. Pare che oggi ci siano stetoscopi che riescono a sentire un cuore a un metro di distanza. Ci occorrono Vescovi capaci di sentire il battito delle loro comunità e dei loro sacerdoti, anche a distanza: sentire il battito. Pastori che non si accontentano di presenze formali, di incontri di tabella o di dialoghi di circostanza. A me vengono in mente Pastori così auto-curati che sembrano acqua distillata, che non sa di nulla. Apostoli dell’ascolto, che sanno prestare orecchio anche a quanto non è gradevole sentire. Per favore, non circondatevi di portaborse e yes men… i preti “arrampicatori” che cercano sempre… no, per favore. Non bramate di essere confermati da coloro che siete voi a dover confermare.
Sono tante le forme di vicinanza alle vostre Chiese. In particolare vorrei incoraggiare visite pastorali regolari: visitare frequentemente, per incontrare la gente e i Pastori; visitare sull’esempio della Madonna, che non perse tempo e si alzò per andare in fretta dalla cugina. La Madre di Dio ci mostra che visitare è rendere vicino Colui che fa sussultare di gioia, è portare il conforto del Signore che compie grandi cose tra gli umili del suo popolo (cfr Lc 1,39 ss.). Infine, vi chiedo ancora di riservare la vicinanza più grande ai vostri sacerdoti: il sacerdote è il prossimo più prossimo del vescovo. Amare il prossimo più prossimo. Vi prego di abbracciarli, ringraziarli e rincuorarli a nome mio. Anche loro sono esposti alle intemperie di un mondo che, pur stanco di tenebre, non risparmia ostilità alla luce. Hanno bisogno di essere amati, seguiti, incoraggiati: Dio non desidera da loro mezze misure, ma un sì totale. In acque poco profonde si ristagna, ma la loro vita è fatta per prendere il largo. Come la vostra. Coraggio, dunque, fratelli carissimi! Vi ringrazio e vi benedico. Per favore, ricordatevi di pregare ogni giorno anche per me. Grazie.