Alle ore 7.30 di questa mattina, dopo essersi congedato dal personale della Nunziatura Apostolica e dai benefattori, il Santo Padre Francesco si trasferisce in auto all’Ospedale Zimpeto, situato nella periferia di Maputo, che ospita il centro Dream per le persone affette da Aids/Hiv, avviato nel 2002 dalla Comunità di Sant’Egidio. Al Suo arrivo, alle ore 8.45, il Papa è accolto dal Presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, dalla Coordinatrice Nazionale del progetto Dream e dalla Direttrice locale del centro di Maputo, mentre i bambini eseguono una danza tradizionale e un canto. All’ingresso del Centro, Papa Francesco scopre una targa commemorativa. Quindi, dopo il saluto da parte della Coordinatrice Nazionale del progetto Dream e la consegna di un dono al Papa da parte di un malato, il Santo Padre pronuncia il suo saluto. Al termine, Papa Francesco saluta 20 malati e visita in forma privata due reparti del Centro. Quindi si reca in auto allo Stadio Zimpeto. Pubblichiamo di seguito le parole di saluto che il Santo Padre pronuncia nel corso della visita all’Ospedale Zimpeto:
Saluto del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
Grazie di cuore per l’accoglienza calorosa e fraterna, e anche per le parole di Cacilda. Grazie per la tua vita e la tua testimonianza, espressione che questo Centro sanitario polivalente “Sant’Egidio” di Zimpeto è manifestazione dell’amore di Dio, sempre pronto a soffiare vita e speranza dove abbondano la morte e la sofferenza.
Saluto cordialmente le autorità, gli operatori sanitari, i malati con le loro famiglie e tutti i presenti. Nel vedere con quanta competenza, professionalità e amore curate e accogliete tanti malati, concretamente persone con AIDS/HIV, soprattutto donne e bambini, mi viene in mente la parabola del Buon Samaritano.
Tutti quelli che sono passati da qui, tutti coloro che arrivano presi dalla disperazione e dall’angoscia somigliano a quell’uomo abbandonato al bordo della strada. E voi, qui, non siete passati a distanza, non avete proseguito per la vostra strada come avevano fatto altri (il levita e il sacerdote). Questo Centro ci mostra che c’è stato chi si è fermato e ha sentito compassione, chi non ha ceduto alla tentazione di dire “non c’è niente da fare”, “è impossibile combattere questa piaga” e si è dato da fare con coraggio per cercare delle soluzioni. Voi, come ha detto Cacilda, avete ascoltato quel grido silenzioso, quasi impercettibile, di tante donne, di tante persone che vivevano nella vergogna, emarginate, giudicate da tutti. Ecco perché avete ampliato questa casa – dove il Signore vive con coloro che si trovano al bordo della strada – ai malati di cancro, di tubercolosi e a centinaia di persone malnutrite, in particolare bambini e giovani.
Così tutte le persone che, a vari livelli, fanno parte di questa comunità sanitaria diventano espressione del Cuore di Gesù, in modo che nessuno pensi «che il loro grido sia caduto nel vuoto. […] [Sono] un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva di un fratello e di una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido. La sollecitudine dei credenti non può limitarsi a una forma di assistenza – pur necessaria e provvidenziale in un primo momento –, ma richiede quella attenzione d’amore che onora l’altro in quanto persona e cerca il suo bene» (Messaggio per la II Giornata mondiale dei poveri, 18 novembre 2018, n. 3). Ascoltare questo grido vi ha portato a capire che il trattamento medico, sebbene necessario, non era sufficiente; perciò avete considerato la problematica in tutta la sua integralità per ridare dignità alle donne e ai bambini, aiutandoli a progettare un futuro migliore.
In questo immenso campo, che si è venuto aprendo davanti a voi grazie al continuo ascoltare, avete anche sperimentato il vostro limite: la mancanza di mezzi di ogni genere. Il programma, che avete sviluppato e vi ha collegato con altri luoghi del mondo, è un esempio di umiltà per aver riconosciuto i vostri limiti, e di creatività per il lavoro in rete. L’impegno gratuito e volontario di tante persone di diverse professioni che hanno fornito la loro preziosa collaborazione per formare operatori locali, contiene in sé stesso un enorme valore umano ed evangelico.
Nello stesso tempo è meraviglioso vedere come questo ascolto dei più deboli dei poveri, i malati, ci mette in contatto con un’altra parte fragile del mondo: penso ai «sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22)» (Enc. Laudato si’, 2). Come insegnano le sculture di arte makonde – le cosidette ujamaa con varie figure aggrappate l’una all’altra in cui prevalgono l’unità e la solidarietà sull’individuo –, dobbiamo renderci conto che siamo, tutti, parte di uno stesso tronco. Voi siete stati in grado di capirlo e quest’ascolto vi ha portato a cercare i mezzi sostenibili nella ricerca di energia, nonché nella raccolta e riserva di acqua; le vostre opzioni a basso impatto ambientale sono un modello virtuoso, un esempio da seguire vista l’urgenza imposta dal deterioramento del pianeta.
Il testo del Buon Samaritano termina con il ferito accompagnato alla locanda, parte del pagamento consegnato al locandiere e la promessa del rimanente al ritorno. Donne come Cacilda, i circa centomila bambini che possono scrivere una nuova pagina di storia liberi dall’HIV/AIDS e molte altre persone anonime che oggi sorridono perché sono state curate con dignità nella loro dignità, sono parte del pagamento che il Signore vi ha lasciato: presenze-dono, che, uscendo dall’incubo della malattia, senza nascondere la loro condizione, trasmettono speranza a molte persone; con quell’“io sogno” contagiano tanti che hanno bisogno di essere raccolti dal bordo della strada. L’altra parte vi sarà retribuita dal Signore “quando Egli ritornerà”, e questo deve riempirvi di gioia: quando noi ce ne andremo, quando voi ritornerete ai compiti quotidiani, quando nessuno vi applaudirà né loderà, continuate ad accogliere quelli che vengono, andate a cercare i feriti e gli sconfitti nelle periferie… Non dimentichiamo che i loro nomi, scritti nel cielo, hanno accanto un’iscrizione: questi sono i benedetti del Padre mio. Rinnovate gli sforzi, perché qui si possa continuare a “dare alla luce” la speranza. Qui si dà alla luce la speranza.
Dio benedica voi, cari malati e familiari, e coloro che vi assistono con tanto affetto e vi incoraggiano ad andare avanti. Che Dio vi benedica.