Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: L’amore fa miracoli

II Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 20 gennaio 2019

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L’amore fa miracoli: l’acqua trasformata in vino a Cana[1], il vino in sangue a Gerusalemme.
 
II Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 20 gennaio 2019
 
Rito romano
Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12
 
Rito ambrosiano
Est 5,1-1c.2-5; Sal 44; Ef 1,3-14; Gv 2,1-11
 
 
1) Un miracolo di gioia.
Non è casuale il fatto che il primo miracolo compiuto da Gesù sia dovuto all’intercessione di Sua Madre per far continuare la gioia del giorno in cui due sposi consacrano il loro amore alla presenza di Cristo Gesù.
L’episodio è molto conosciuto. Gesù insieme con i suoi discepoli è invitato a nozze in una piccola città non lontana da Nazareth: Cana di Galilea. Sappiamo che era presente anche la Madonna, che è la co-protagonista dell’avvenimento. In effetti, quando verso la fine del pranzo nuziale stava per finire il vino, la Vergine Maria fu la prima ad accorgersene e, in modo cortese ma deciso, chiese a suo Figlio di intervenire per risolvere questo inconveniente e, quindi, far continuare la gioia di due sposi novelli nel giorno in cui consacravano il loro reciproco amore a Dio.
Può sembrare strano che la Madonna si preoccupi di qualcosa che il cosiddetto buon senso considererebbe se non superfluo, almeno di non grande importanza. Sembrerebbe eccessivo scomodare l’onnipotenza di Dio per rimediare alla mancanza di vino, anche perché ormai si è alla fine della festa. Ma la Vergine Madre è donna sensibile e concreta e conosce l’importanza delle “piccole” gioie della vita.
Il primo messaggio del Vangelo odierno è, secondo me, questo: il primo miracolo di Gesù è, per intercessione della Madonna, un miracolo di gioia perché non venga meno la serenità della vita, che si svolge sotto gli occhi del Padre provvidente, che ha creato per noi il cielo e la terra e l’infinità di cose ed esseri che cielo e terra contengono.
L’amore divino fa miracoli sempre, anche per sostenere le gioie semplici dell’esistenza umana e lo fa con generosità così grande che a noi sembra uno spreco. Cristo trasforma in vino di alta qualità l’acqua contenuta in 6 anfore da un ettolitro l’una. Mette a disposizione ben seicento litri di vino per una fine-pasto: è veramente segno della generosità di Dio.
Tuttavia non va dimenticata la risposta, all’apparenza un po’ brusca, di Gesù alla sollecitudine della Madre: “Che importa a te e a me, Donna?” (Questo appellativo “Donna” non indica una presa di distanza, una estraneità verso la Madre, il sostantivo “Donna” sarà usato da Cristo anche sulla croce quando dirà a sua Madre : “Donna, ecco tuo figlio” per affidarle l’Apostolo Giovanni e tutti noi con lui) e subito aggiunge: “La mia ora non è ancora venuta”. Maria, che non si sente indifferente a quanto sta accadendo ai giovani sposi, anticipa questa ora, l’Ora della Passione, con la sua intercessione di tenerezza. Perciò la Madre disse ai servi: “Fate tutto quello che egli vi dirà”. Sono queste le ultime parole di Maria che i Vangeli ci riportano. Le ultime come le prime (quelle dette al momento dell’Annunciazione e della visita alla cugina Elisabetta) sono parole che la Madonna, nostra Madre, ci offre per indicarci il corretto rapporto con Cristo.
Chissà se la Madonna ha presentito che il riferimento all’“Ora” indicava che l’evento nuziale di Cana è un festoso quadro, sul cui sfondo si staglia la Passione del Figlio. A Cana l’acqua è trasformata in vino, a Gerusalemme, nel Cenacolo, quando l’Ora sarà arrivata, il vino sarà “trasformato” in sangue.
Le nozze di Cana sono il segno di un’altra Alleanza, quella Nuova, quella che sarà sigillata dalla Croce e Maria diventerà la Donna dell’Alleanza sigillata dalla croce. Maria, la cui fede è un modello per noi, è guidata dal Figlio ad una fede ancor più adulta e, se la sua richiesta di un miracolo era per avere la soluzione all’imbarazzo degli sposi e delle loro famiglie, il miracolo compiuto da Gesù è pure per una rivelazione più alta. Egli rivela di essere venuto a restituire all’uomo e alla donna la capacità di essere famiglia, vera e lieta: santa. Egli ne è il fondamento, il sapore e la gioia, il vino nuovo, serbato fino alla fine e, in ciò -dice Giovanni- Gesù “manifesta la sua gloria”, perché “la Gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (Sant’Ireneo), nell’immensa e eterna gioia.
 
            2) Una risposta positiva grazie a Maria.
Diceva san Luigi Maria Grignion de Montfort: “Dio ha riunito tutte le acque e le ha chiamate mare; ha riunito tutte le grazie e le ha chiamate Maria”. Figuriamoci se la Madre di tutte le grazie poteva avere una risposta negativa da suo Figlio. La Vergine Madre non ha avuto la minima indecisione nel dire ai servi, ancor prima di avere la risposta positiva di Gesù: “Fate tutto ciò che Egli vi dirà”. Sa benissimo che la fiducia totale in Lui non viene mai delusa. 
Lei è il Vangelo vivente, è l’esperta di Dio. A Lei furono consegnati i misteri della redenzione. Umile serva di Dio e liberamente docile alla Volontà di Dio, Maria ha ascoltato la Parola divina, L’ha accolta nel suo cuore e sotto il suo cuore, e ha portato frutto. Così, visto che lei per prima aveva ascoltato Lui e aveva fatto la Sua volontà, ora Gesù ascolta lei e fa la sua volontà, operando uno straordinario miracolo, ancor prima che fosse giunta la sua ora.
Anche noi dobbiamo ascoltare il Signore, accoglierlo nella nostra esistenza e portare frutto.
Poi, dobbiamo essere evangelizzatori delle meraviglie, di cui siamo stati testimoni e beneficiari. 
Nel Vangelo odierno, non si tratta solo di un racconto di nozze. L’apostolo Giovanni dice che in quel giorno Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui.
La gloria indica l’essere profondo di una persona che viene rivelato. Gesù comincia a manifestare chi Egli è veramente. E’ colui che dona il vino migliore, mostrando che Lui è il vero sposo che deve venire: il Messia. Le nozze di Cana richiamano le nozze di Dio con il suo popolo, annunciate dai profeti.
 
3) Un miracolo nel miracolo.
Quindi, credo di essere nel vero se affermo che il miracolo principale del vangelo di oggi riguarda la presenza di Cristo a Cana per queste nozze, in cui Lui purifica, eleva e santifica l’amore umano di un uomo e di una donna, radicandolo nel Suo Amore. Il miracolo del l’acqua trasformata in vino è segno miracoloso, semplice e stupefacente dell’amore di terra trasformato in amore di cielo.
Il mistero (parola che vuol dire anche sacramento e luogo dell’incontro con Dio) di Cana, che è il primo dei miracoli cristiani, ci spinge a credere pienamente in Gesù, come è accaduto ai discepoli, e allo stesso tempo ci dona una fiducia filiale in Maria e ci incoraggia a imitarLa.
Come imitare Maria? Come giungere alla sua sicura fiducia in Cristo?
Vivendo, come la Madonna, la consapevolezza di appartenere a Dio, vivendo come Lei di fede.
Con e per fede, Maria disse “sì” all’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio.
Con e per una fede amorosa, la Madonna si recò da Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie realizzate in coloro che si abbandonano fiduciosamente a Lui.
Con e per una fede gioiosa e trepidante, la Vergine Madre diede alla luce il suo unico Figlio.
Con e per questa fede, Lei ebbe piena fiducia in Giuseppe suo sposo e portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode.
Con e per questa stessa fede Lei accettò la vita pubblica del Figlio e lo seguì fino sul Calvario, rimanendo sotto la Croce.
Con e per fede accettò noi come suoi figli nel Figlio, noi che eravamo i colpevoli della morte del suo Figlio crocifisso.
Imitiamo la Madonna in questa vita di fede, dove preghiera e azione sono intimamente unite.
 
Maria è modello di fede perché è modello di contemplazione, di orante amore. Dunque, come faceva la Madonna anche noi contempliamo Gesù. Con amore che si fa preghiera, guardiamo il Verbo fatto carne quando vagisce, gioca, lavora, predica, muore sulla Croce e uccide la morte risplendendo nella Risurrezione.
Sull’esempio della Madre Vergine domandiamo grazie “visibili” con gli occhi del corpo come quella dell’acqua trasformata in vino e la Grazia “visibile” con gli occhi della fede: Gesù Cristo.
In ciò siano di sostegno le Vergini Consacrate, fra i cui compiti principali c’è quello di essere sorgenti contemplative e maestre di preghiera amorosa per tutti i cristiani, uomini e donne, piccoli e grandi.
É compito grande delle Vergini Consacrate quello di coltivare la contemplazione di Cristo, Verità vivente, e di farla scoprire agli altri. In questo modo il primato del contemplare sul fare, dell’essere sull’avere sarà sempre più riconosciuto.
Infatti, la consacrazione delle Vergini si pone essenzialmente sul piano dell’essere e non su quello del fare.  Il ministero delle Vergini Consacrate è soprattutto un «ministero contemplativo», un «ministero dell’orante in ascolto della Parola e ministero dell’amore» (Premesse al Rito della Consacrazione delle Vergine, 1 e 2). In effetti, le vergini consacrate che vivono nel mondo sono segno e testimonianza profetica all’interno del popolo di Dio. Per condividere la Grazia di Cristo, esse nutrono la loro vita con il Corpo dello Sposo, l’alimentano con la meditazione della Parola e con la preghiera assidua.
 
 
 
LETTURA PATRISTICA
San Giovanni Crisostomo (344/354 – 407)
Comment. in Ioan., 22, 1-2
 
L’ora di Gesù
Che c’è tra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta” (Jn 2,4).
È certamente cosa faticosa il tenere sermoni, come riconosce lo stesso Paolo con queste parole: “I presbiteri che governano bene siano compensati di duplice onore: soprattutto quelli che si affaticano e nella predicazione e nell’insegnamento” (1Tm 5,17). Però dipende unicamente da voi il rendere questa fatica leggera o pesante. Se respingete quanto vi si dice, oppure, senza respingerlo, non lo mettete in pratica, la nostra fatica sarà pesante, perché sappiamo di lavorare inutilmente; se, invece, prestate attenzione e mettete in pratica quanto ascoltate, non ci accorgeremo neppure del sudore che tutto questo ci costa: l’abbondanza dei frutti delle nostre fatiche ce le farà sembrare leggere. Perciò, se volete stimolare il nostro zelo, e non spegnerlo o diminuirlo, mostratecene, vi prego, il frutto, affinché, vedendo il buon raccolto, confortati dalla speranza di prosperità e contando già i buoni risultati che ne ricaveremo, non siamo indolenti nell’impegnarci in un’impresa così importante. Infatti, anche la questione che oggi ci proponiamo di trattare non è di scarsa importanza. La madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino“, e il Cristo le rispose: “Che c’è tra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta; però, dopo aver risposto così, egli compì proprio quello che gli aveva chiesto la madre. Tale questione non è meno difficile e importante della precedente. Invocando dunque l’aiuto di colui che fece questo miracolo, cerchiamo di arrivare prontamente alla soluzione.
Notiamo prima di tutto che questa espressione non ricorre solo in questa circostanza; lo stesso evangelista dice più avanti: “Nessuno lo arrestò, perché la sua ora non era ancora venuta” (Jn 8,20); e ancora: “Nessuno gli mise le mani addosso perché la sua ora non era ancora venuta” (Jn 7,30); e infine il Salvatore dice: “È venuta l’ora, glorifica il Figlio tuo” (Jn 17,1). Ho raccolto qui tutti questi passi tratti dall’intero Vangelo, per darne un’unica soluzione. Qual è in effetti il significato di queste espressioni? In primo luogo, il Cristo non era soggetto alle leggi del tempo, e non era per obbedire alle esigenze di una determinata ora che egli diceva: “L’ora mia non è ancora venuta“. E come avrebbe potuto l’Autore del tempo, il Creatore delle ere e dei secoli, subire una tale necessità? Esprimendosi in questo modo, vuole solo farci intendere che egli compie ogni cosa a tempo opportuno e non tutte nello stesso tempo; giacché se non fissasse a ciascuna delle sue opere il momento opportuno, la nascita, la risurrezione, il giudizio dovrebbero mescolarsi l’un l’altro, e ne nascerebbe confusione e disordine. Notate bene, infatti: Era opportuno che la creazione avvenisse, ma non tutta in una volta; era opportuno che venissero creati l’uomo e la donna, ma non entrambi nello stesso istante; era opportuno condannare alla morte il genere umano e che avvenisse poi la risurrezione, ma tra i due decreti doveva esservi un grande intervallo; era opportuno che venisse data la legge, ma non contemporaneamente alla grazia; a ciascuna delle due cose conveniva un tempo particolare. Il Cristo non era dunque soggetto alla necessità dei tempi, ma è lui che ha assegnato un ordine ai tempi, e che li ha creati.
Se perciò Giovanni riporta qui la frase del Cristo: “L’ora mia non è ancora venuta“, è per significare che egli era ancora sconosciuto a molti e che non aveva neppure al suo seguito l’intera schiera dei discepoli: lo seguivano solo Andrea e Filippo e nessun altro; e nemmeno questi lo conoscevano in maniera adeguata, come neanche sua madre e i suoi fratelli. Prova ne è quanto dice l’evangelista a proposito dei fratelli, dopo che erano avvenuti molti miracoli: “E neanche i suoi fratelli credevano in lui” (Jn 7,5). Così non lo conoscevano nemmeno quelli che erano presenti alle nozze: altrimenti, essi stessi gli si sarebbero avvicinati e lo avrebbero pregato, trovandosi ad aver bisogno di lui. Ecco perché egli dice: “L’ora mia non è ancora venuta“: – non sono, cioè, ancora conosciuto dai presenti ed essi non sanno neppure che il vino manca. Lascia che almeno se ne accorgano. Però non sei tu che devi rivolgermi questa domanda, perché tu sei la madre e rendi sospetto il miracolo. Sarebbe stata cosa più opportuna che quelli stessi che si trovano nel bisogno fossero venuti da me a pregarmi; non perché questa sia per me una condizione indispensabile, ma affinché essi accolgano il miracolo che io compirò con piena soddisfazione -. Chi, infatti, sa di trovarsi in stato di necessità, appena ottiene quello che desidera, pensa di aver ricevuto una grande grazia; chi, invece, non si rende ancora conto di trovarsi nel bisogno, non avrà neanche una chiara e piena coscienza del beneficio.
«Ma perché mai – mi chiederete -, dopo aver detto: “L’ora mia non è ancora venuta” e dopo aver opposto un rifiuto, compì ciò che la madre gli aveva chiesto?». Per dimostrare ai suoi oppositori e a quanti lo ritenevano soggetto all’ora e al tempo, che non lo era affatto. Se, infatti, fosse stato soggetto ad essi, come avrebbe potuto compiere quest’opera, quando non era ancora venuta l’ora? Inoltre, egli volle rendere onore a sua madre, affinché non sembrasse resisterle completamente, non si spargesse la diceria della sua impotenza a compiere qualcosa di straordinario, e per non farla vergognare in presenza di tante persone: ella, infatti, gli aveva mandato i servitori. Anche quando disse alla Cananea: “Non è bene prendere il pane dei figlioli per gettarlo ai cagnolini” (Mt 15,26), le concesse poi ciò che ella gli aveva chiesto, commosso dalla sua insistenza; e benché le avesse detto precedentemente: “Io non sono stato mandato se non per le pecorelle smarrite della casa d’Israele” (Mt 15,24), egli le liberò la sua figlia.
Impariamo da questi esempi che la perseveranza spesso ci rende degni di ricevere le grazie, anche se ne siamo indegni. Per questo anche la madre aspettò, e poi saggiamente gli mandò i servitori affinché egli venisse pregato da più persone. Aggiunse infatti: “Fate quello che vi dirà” (Jn 2,5). Ella sapeva che non era per incapacità che le aveva opposto un rifiuto, ma perché rifuggiva dalla vanità, e per evitare ogni apparenza di precipitazione nel fare questo miracolo, gli fece avvicinare i servitori.
C’erano là sei idrie, per la purificazione dei Giudei, della capacità di due o tre metrete l’una. Gesù disse loro: «Riempite le idrie di acqua». Ed essi le riempirono fino all’orlo” (Jn 2,6-7). Non senza motivo l’evangelista precisò: “per la purificazione dei Giudei“, affinché nessun incredulo potesse pensare che vi fosse rimasta dentro un po’ di feccia di vino la quale, mescolandosi con l’acqua in esse versata, avesse prodotto una sorta di vino leggerissimo. Disse dunque: “per la purificazione dei Giudei“, per precisare che in quelle idrie non veniva mai conservato il vino. Infatti, soffrendo la Palestina di penuria di acqua ed essendo colà rare le fonti e le sorgenti, i Giudei tenevano idrie piene d’acqua, per non essere costretti a correre al fiume quando diventavano impuri e per avere a portata di mano il mezzo per purificarsi.
 
[1] Collocazione del brano delle Nozze di Cana nell’anno liturgico:: La festa dell’Epifania, cioè della manifestazione di Gesù Cristo, secondo la tradizione comporta tre manifestazioni importanti di Gesù. La prima è alla visita dei Magi (celebrata due domenica fa), la seconda è al battesimo nel Giordano (celebrato domenica scorsa), la terza è il miracolo dell’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana . Nell’anno C queste tre manifestazioni sono proposte in sequenza nelle prime feste dell’anno solare. Questa domenica vediamo dunque il miracolo del vino alle nozze di Cana.
Si tratta di un brano un po’ particolare. Il miracolo dell’acqua mutata in vino viene presentato come un segno che manifesta la grandezza di Gesù e la sua natura divina. Il segno richiede di non soffermarsi su di sé ma di andare subito oltre, al significato che il segno stesso veicola. Questo si vede bene nel racconto delle nozze di Cana. I particolari che incorniciano il gesto di Gesù sfuggono, siamo a nozze, ma non si parla della sposa e solo fuggevolmente dello sposo. Non si sa perché sia venuto a mancare il vino, i personaggi principali di fatto dovrebbero essere i meno importanti (i servi e il maestro di tavola). Questo ha portato gli studiosi a leggere il brano in senso simbolico. Un miracolo avvenuto all’inizio del ministero di Gesù diventa così il prototipo dei segni, la chiave di lettura dell’incarnazione e della predicazione e dell’attività di Gesù durante la sua vita terrena.
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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