Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Parole d’Eternità

Domenica XXI del Tempo Ordinario – Anno B – 26 agosto 2018

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Rito Romano
Gs 24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
 
Rito Ambrosiano
2Mac 7,1-2. 20-41; Sal 16; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42
Domenica che precede il martirio di san Giovanni il Precursore
 
            1) Parole dure, che regalano l’eternità.
Nelle precedenti domeniche di questo mese di agosto, la Liturgia ha proposto alla nostra meditazione il discorso sul “Pane della vita”, che Gesù pronunciò nella sinagoga di Cafarnao dopo aver sfamato migliaia di persone con cinque pani e due pesci. Il Vangelo della Messa di oggi presenta la reazione dei discepoli a quel discorso. Questa reazione di incredulità non è più solo della gente comune, o dei giudei, ma coinvolge anche la cerchia dei discepoli. Essi “mormorano” esattamente come Israele nel deserto e come i giudei che si scandalizzano di fronte a Gesù che pretende essere disceso dal cielo e essere la salvezza del mondo.
Qual è la ragione di questa loro incredulità? Eccola: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6, 60) frase che potremmo riscrivere così: “Questo discorso è difficile, come possiamo accettarlo?”. E questa difficoltà, seconde me, non riguarda solamente la fede nell’Eucaristia, cioè nella presenza reale del Cristo nel pane e nel vino, una presenza giudicata impossibile. La durezza e la difficoltà del discorso si riferisce a tutto il contenuto del capitolo sesto del Vangelo di San Giovanni: l’offerta di una salvezza che supera le anguste aspettative della gente comune, e dei capi del popolo ebraico, la presenza del Figlio di Dio nel figlio del falegname; soprattutto la necessità di condividere la sua esistenza in dono.
Questa rivelazione era incomprensibile anche ai discepoli, perché la intendevano in senso materiale, mentre in quelle parole era preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe donato se stesso per la salvezza del mondo: la nuova presenza nella Sacra Eucaristia.
Dunque, “da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro” (Gv 6, 66): tornare indietro è proprio il contrario della sequela, che è un movimento in avanti, proteso verso la condivisione sempre più profonda. Di fronte all’incredulità che ha ormai raggiunto il cuore della sua comunità, Gesù non muta le sue parole né le rispiega. Spinge, invece, la riflessione alla radice della fede, in quella misteriosa profondità in cui la grazia del Padre e la responsabilità dell’uomo sono chiamate a incontrarsi.
E allora Cristo chiede: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 67). Anche in questo caso è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
Facciamo nostra la risposta del Primo degli Apostoli e aiutiamoci a capirla con questa commento di Sant’Agostino d’Ippona che scrive: “Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo [risorto] e il tuo sangue[, Te stesso]. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e poi creduto, ma abbiamo creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei” (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9).
 
2) L’incontro con la Verità da mangiare.
Come rendere salda la nostra fede e credere in ciò che Sant’Agostino ci ricorda nella frase appena citata? In primo luogo dobbiamo avere un cuore non ottuso ma teso. In secondo luogo, non dare ascolto alle parole per ascoltare la Parola, che incontriamo nel silenzio.
Le parole della Parola, del Verbo di Dio, non è solamente informano o narrano o istruiscono, ma danno la vita vera e la nutrono per l’eternità.
L’importante che ci sia la nostra adesione di fede, che ha le sua radici nel cuore. San Paolo scrive: “E’ con il cuore che si crede per ottenere la giustizia » e aggiunge: «e con la bocca si fa la professione per avere la salvezza” (Rm 10,10). E’ dalle radici del cuore che sorge la professione di fede (cfr s. Agostino, Comm al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 12) ed è col cuore alimentato dal Pane vero che ci si radica nella comunità dei santi, delle persone che dimorano in Cristo e nella quali Cristo dimora, stabilmente.
Una comunità che ripresenta oggi la Persona di Gesù Signore, che viene per insegnare ad ogni uomo come si ascolta il Padre, come lo si ama, come lo si adora in spirito e verità, come si consegna a Lui la vita per intero perché Lui ne faccia uno strumento del suo amore e della sua verità (come indica il Vangelo “ambrosiano” di oggi: Matteo 10, 28-42) per sempre. Della Chiesa e dell’Eucaristia si può dire: «O sacramento d pietà, o segno di unità, o vincolo di carità. Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato» (S. Agostino, Comm. al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 1) . Nella sua Provvidenza Dio ci non solo ci sostiene nell’essere, ma ci dona giorno per giorno una forza che ci fa stare nel suo Amore, per procedere sulla Via della Vita.
Paul Claudel disse che “le grandi verità si comunicano soltanto nel silenzio”, mi permetto di aggiungere che si colgono nell’adorazione e si comprendono mangiando il Pane del Cielo.
L’atteggiamento che sintetizza le parole di Pietro è quello di mettersi davanti al Ss.mo Sacramento in adorazione umile e silenziosa, coltivando nel cuore non il dubbio, ma il desiderio di chi desidera la comunione piena  con Lui.
L’Amen, che la Chiesa ci fa dire quando riceviamo la Comunione acquista così un significato profondo, perché ripete la stessa professione di fede di Pietro: “Non senza ragione dici Amen riconoscendo che prendi il corpo di Cristo; quando ti presenti per riceverlo il Vescovo ti dice: il corpo di Cristo! E tu rispondi: Amen! Cioè: è vero. Il tuo animo custodisca ciò che la tua parola riconosce.” (S. Ambrogio).
La Madonna che ha detto il suo fiat, il suo sì, ci ottenga l’umiltà di cuore per riconoscere il desiderio e la grandezza del Dono divino datoci nel Pane di Vita.
Anche San Pietro con la risposta sulla quale stiamo meditando rinnova il suo fiat, il suo sì a Cristo. Come possiamo imitarlo? Affidandoci completamente a Cristo rinnovando anche noi il nostro sì, con la preghiera, con l’adorazione eucaristica, con la comunione per ricevere la quale diciamo: “Amen”, cioè “Sì”.
Il problema di fondo non è andare e abbandonare l’opera intrapresa perché le parole sono “dure”, “ma è da chi andare. Da quell’interrogativo di Pietro, noi comprendiamo che la fedeltà a Dio è questione di fedeltà a una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme sulla stessa strada. E questa persona è Gesù. Tutto quello che abbiamo nel mondo non sazia la nostra fame d’infinito. Abbiamo bisogno di Gesù, di stare con Lui, di nutrirci alla sua mensa, alle sue parole di vita eterna” (Papa Francesco) Credere in Cristo, la Verità incarnata, significa fare di Lui il centro della nostra vita.
Un particolare esempio di come mettere Cristo al centro della vita è dato dalle Vergini consacrate nel mondo. Queste donne hanno capito che il Signore è colui parole che fanno viva la vita e con la loro vita consacrata testimoniano che Cristo è il cuore del mondo.
Ogni giorno ognuna di loro dice a Cristo: “Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68) non tanto con le parole ma con la propria vita offerta pienamente allo Sposo. La loro vita verginale, infatti rimanda a Cristo, si alimenta alla Sua Parola di vita e si nutre del Suo Pane che non perisce.
Queste donne mostrano che Cristo ha “parole di vita eterna” non solo perché guarisce le guarisce l’anima e il corpo, ma perché Cristo è il senso dell’umano, la sua stella polare, devono professare l’orgogliosa coscienza che Cristo è l’uomo nuovo.  Il suo progetto di vita è la via e la verità dell’esperienza umana,  perché ne è la vita in pienezza. E possono dirlo mostrando prima di tutto in loro che questo le fa crescere, sperare e amare. Se Cristo è il medico, lo è perché è il dono del Padre per ogni uomo e ogni donna. Se Cristo è la verità, lo è perché si fa valere come una verità attraente per il cuore di ciascuno. Se Cristo è la via, lo è perché ci ha dato lo Spirito dell’amore che ci conduce nel cuore di Dio. Se Cristo è tutto questo, allora è la vita, sì: la vita buona e piena. Insomma loro sono testimoni solo Cristo “parola di vita” dà vita e pace e gioia: si sono date all’Amore e ricevono amore da diffondere nella vita quotidiana.
Lo stesso possiamo fare noi, davanti all’Eucaristia domenicale, davanti a questo gesto che a volte ci appare duro e lontano. La tentazione di sospenderne la pratica in attesa di comprenderla meglio indica una prospettiva illusoria: infatti soltanto praticando il sacramento noi possiamo approfondirne il significato. Soltanto ascoltando Cristo e affidandoci a Lui, che si affida a noi nella comunione, capiremo che solo il Signore ha parole che fanno viva la vita.
 
Lettura Patristica
San Cirillo di Gerusalemme
Catech. IV mist., 1-6.9
 
Nella notte in cui nostro Signore Gesù Cristo fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e reso grazie disse: Prendete e bevete, questo è il mio sangue (1Co 11,23-25). Gesù stesso si è manifestato dicendo del pane: «Questo è il mio corpo». Chi avrebbe ora il coraggio di dubitarne? Egli stesso l’ha dichiarato dicendo: «Questo è il mio sangue». Chi lo metterebbe in dubbio dicendo che non è il suo sangue?
Egli di sua volontà una volta cambiò a Cana di Galilea (Jn 2,1-11) l’acqua in vino, e non è degno di fede se muta il vino in sangue? Invitato alle nozze fisiche fece questo miracolo strepitoso. E noi non lo confesseremo molto più, avendo dato ai figli dello sposo (Mt 9,15 Lc 5,34) la gioia del suo corpo e del suo sangue?
Con ogni sicurezza partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Sotto la specie del pane ti è dato il corpo, e sotto la specie del vino ti è dato il sangue perché tu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, un solo corpo e un solo sangue col Cristo. Così diveniamo portatori di Cristo spandendosi il suo corpo e il suo sangue per le nostre membra. Così secondo il beato Pietro noi diveniamo “partecipi della natura divina” (2P 1,4).
Una volta Cristo parlando ai giudei disse: “Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete in voi la vita” (Jn 6,53). Quelli non intendendo spiritualmente le sue parole se ne andarono scandalizzati (Jn 6,61 Jn 66), credendo che il Salvatore li invitasse alla sarcofagia.
C’erano nell’Antico Testamento i pani della proposizione (Lv 24,5-93 1M 1,22 2M 10,3) i quali proprio perché dell’Antico Testamento sono terminati. Nel Nuovo Testamento è un pane celeste e un calice di salvezza (Ps 116,4) che santificano l’anima e il corpo. Come il pane è proprio per il corpo, così il Logos è proprio per l’anima.
Non ritenerli come semplici e naturali quel pane e quel vino; sono invece, secondo la dichiarazione del Signore, il corpo e il sangue. Anche se i sensi ti inducono a questo, la fede però ti sia salda. Non giudicare la cosa dal gusto, ma per fede abbi la piena convinzione tu che sei giudicato degno del corpo e del sangue di Cristo…
Avendo appreso queste cose hai piena coscienza che ciò che ti pare pane non è pane, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo, e il vino che pare vino non è vino, anche se il gusto l’avverte come tale, ma sangue di Cristo. Di ciò anticamente David cantando disse: “Il pane fortifica il cuore dell’uomo, e il suo volto brilla d’olio” (Ps 104,15). Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale e si rallegri il volto della tua anima. Il tuo volto discoperto in una coscienza pura possa riflettere come in uno specchio la gloria del Signore (2Co 3,18) e progredire di gloria in gloria nel Cristo Gesù nostro Signore al quale sia gloria nei secoli dei secoli.
Lecture patristique
saint Cyrille d’Alexandrie (370 – 444)
Commentaire sur l’évangile de Jean, 4, 4
PG 73, 613 617
A qui donc irions-nous? demande Pierre. Il veut dire: “Qui nous instruira comme toi des divins mystères?” ou encore: “Auprès de qui trouverions-nous quelque chose de meilleur? Tu as les paroles de la vie éternelle” (Jn 6,68). Elles ne sont pas dures, comme le disent ces autres disciples. Au contraire, elles conduisent à la réalité la plus extraordinaire de toutes, la vie éternelle qui est sans fin, vie exempte de toute corruption.
Ces paroles nous montrent bien que nous devons nous asseoir aux pieds du Christ, le prenant pour notre seul et unique maître, et nous tenir constamment près de lui sans nous laisser distraire. Il doit devenir pour nous le guide parfaitement capable de nous conduire à la vie qui n’aura pas de fin. De cette manière, en effet, nous monterons jusqu’à la divine demeure du ciel et nous entrerons dans l’Église des premiers-nés, pour faire nos délices des biens que l’esprit humain ne peut comprendre.
De soi, il est évident que la volonté de suivre le Christ seul et de lui être toujours uni, est chose bonne et salutaire. Néanmoins, l’Ancien Testament va aussi nous l’apprendre. De fait, au temps où les Israélites, affranchis de l’oppression égyptienne, se hâtaient vers la terre promise, Dieu ne les laissait pas faire route en désordre, et le législateur ne leur permettait pas d’aller n’importe où, à leur gré; sans guide, en effet, ils se seraient à coup sûr complètement égarés. <>
Remarque comment ils reçoivent l’ordre de suivre, de se mettre en marche au moment où la nuée prend son départ, de faire encore halte avec elle, puis de prendre du repos avec elle. Vraiment, en ce temps-là, les Israélites trouvaient leur salut en restant avec leur guide. Aujourd’hui, nous faisons également le nôtre en refusant de nous séparer du Christ. Car c’est lui qui s’est manifesté aux anciens sous les apparences de la tente, de la nuée et du feu. <>
Les Israélites devaient exécuter les ordres: il leur était défendu de se mettre en route de leur propre initiative. Ils devaient s’arrêter avec la nuée, par égard pour elle. Cela devait encore servir d’exemple, afin que vous compreniez cette parole du Christ: Si quelqu’un me sert, qu’il me suive, et là où je suis, là aussi sera mon serviteur (Jn 12,26). C’est en marchant toujours avec lui que le disciple donne la preuve qu’il est fidèle à le suivre et assidu à se tenir près de lui.
Or, la marche en compagnie et à la suite du Christ Sauveur ne s’entend nullement dans un sens matériel, mais s’effectue plutôt par le moyen des oeuvres qu’engendre la vertu. Les disciples les plus sages s’y sont fermement engagés de tout leur coeur. Ils ont refusé de se retirer avec ceux qui manquaient de foi et couraient à leur perte.
Ils s’écrient à bon droit: Où irions-nous? En d’autres termes: “Nous serons toujours avec toi, nous nous attacherons à tes commandements, nous accueillerons tes paroles, sans jamais récriminer. Nous ne croirons pas, avec les ignorants, que ton enseignement est dur à entendre. Nous ferons plutôt nôtre cette pensée: Qu’elle est douce à mon palais, ta promesse: le miel a moins de saveur dans ma bouche!” (Ps 118,103).
 
Patristic reading
Saint John Chrysostom (344/354 – 407)
on John 6: 60-65
“But many of the disciples, when they had heard this, said, This is a hard saying.”
What means “hard”? Rough, laborious, troublesome. Yet He said nothing of this kind, for He spake not of a mode of life, 16 but of doctrines, continually handling the faith which is in Him. What then means, “is a hard saying”? Is it because it promiseth life and resurrection? Is it because He said that He came down from heaven? Or that it was impossible for one to be saved who ate not His flesh? Tell me, are these things “hard”? Who can assert that they are? What then means “hard”? It means, “difficult to be received,” “transcending their infirmity,” “having much terror.” For they thought that He uttered words too high for His real character, and such as were above Himself. Therefore they said,
“Who can hear it?”
Perhaps making excuse for themselves, since they were about to start away.
Jn 6,61-62. “When Jesus knew in Himself that His disciples murmured at it,” (for this is an attribute of His Godhead to bring secret things to light,) “He said unto them, Doth this offend you? What and if ye shall see 17 the Son of Man ascend up where He was before?”
This also He doth in the case of Nathanael, saying, “Because I said unto thee, I saw thee under the fig-tree, believest thou? Thou shall see greater things than these.” (c. 1,50). And to Nicodemus, “No man hath ascended up to heaven but the Son of man which is in heaven.” (c. 3,13). What then, doth He add difficulties to difficulties? No, (that be far from Him,) but by the greatness of the doctrines, and the number of them, He desireth to bring them over. For if one had said simply, “I have come down from heaven,” and added nothing more, he would have been the more likely to offend them; but He who said, “My body is the life of the world”; He who said, “As the living Father hath sent Me, so I live by the Father”; and who said, “I have come down from heaven,” solves the difficulty. For the man who utters any one great thing concerning himself may perhaps be suspected of feigning, but he who connects together so many one after another removes all suspicion. All that He doth and saith is intended to lead them away from the thought, that Joseph was His father. And it was not with a wish to strengthen, but rather to do away that stumbling-block, that He said this. For whosoever deemed that He was Joseph’s son could not receive His sayings, while one that was persuaded that He had come down from heaven, and would ascend thither, might more easily give heed to His words: at the same time He bringeth forward also another explanation, saying,
Jn 6,63. “It is the Spirit that quickeneth, the flesh profiteth nothing.”
His meaning is, “Ye must hear spiritually what relateth to Me, for he who heareth carnally is not profited, nor gathereth any advantage.” It was carnal to question how He came down from heaven, to deem that He was the son of Joseph, to ask, “How can he give us His flesh to eat?” All this was carnal, when they ought to have understood the matter in a mystical and spiritual sense. “But,” saith some one, “how could they understand what the ‘eating flesh’ might mean?” Then it was their duty to wait for the proper time and enquire, and not to abandon Him.
“The words that I speak unto you, they are spirit and they are life.”
That is, they are divine and spiritual, have nothing carnal about them, are not subject to the laws of physical consequence, but are free from any such necessity, are even set above the laws appointed for this world, and have also another and a different meaning. Now as in this passage He said “spirit,” instead of “spiritual,” so when He speaketh of “flesh,” He meant not “carnal things,” but “carnally hearing,” and alluding at the same time to them, because they ever desired carnal things when they ought to have desired spiritual. For if a man receives them carnally, he profits nothing. “What then, is not His flesh, flesh?” Most certainly. “How then saith He, that the flesh profiteth nothing?” He speaketh not of His own flesh, (God forbid!) but of those who received His words in a carnal manner. But what is “understanding carnally”? It is looking merely to what is before our eyes, without imagining anything beyond. This is understanding carnally. But we must not judge thus by sight, but must look into all mysteries with the eyes within. This is seeing spiritually. He that eateth not His flesh, and drinketh not His blood, hath no life in him. How then doth “the flesh profit nothing,” if without it we cannot live? Seest thou that the words, “the flesh profiteth nothing,” are spoken not of His own flesh, but of carnal hearing?
Jn 6,64. “But there are some of you that believe not.”
Again, according to His custom, He addeth weight to His words, by foretelling what would come to pass, and by showing that He spake thus not from desire of honor from them, but because He cared for them. And when He said “some,” He excepted the disciples. For at first He said, “Ye have both seen Me, and believe not” (Jn 6,36); but here, “There are some of you that believe not.”
For He “knew from the beginning who they were that believed not, and who should betray Him.”
Jn 6,65. “And He said, Therefore said I unto you, that no man can come unto Me except it were given unto Him from above from My Father.”
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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