San Francesco dona il mantello a un povero, Cattedrale San Francesco, Assisi. Giotto - Wikimedia Commons

Francesco: "In Cristo l'Onnipotenza si eclissa, per far spazio alla 'spogliazione'"

Lettera del Papa al vescovo di Assisi per l’inaugurazione del santuario della Spogliazione in omaggio a San Francesco

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Di seguito la lettera che Papa Francesco ha inviato domenica scorsa, Pasqua, 16 aprile 2017, a mons. Domenico Sorrentino, Vescovo di Assisi Nocera Umbra – Gualdo Tadino, per l’inaugurazione che avverrà il 20 maggio prossimo, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, antica cattedrale di Assisi, del santuario della Spogliazione voluto dal vescovo diocesano per ricordare il gesto con cui Francesco rinunciò a tutti i beni terreni per farsi povero in mezzo ai poveri.
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Al Venerato Fratello Mons. Domenico Sorrentino Vescovo di Assisi Nocera Umbra – Gualdo Tadino
Mi hai informato, caro fratello, di una tua iniziativa, che si lega in modo speciale alla visita che feci ad Assisi il 4 ottobre 2013 quando, nel Vescovado, sostai nella Sala della Spogliazione. Ivi si ricorda il gesto del giovane Francesco, che si spogliò, fino alla nudità, di tutti i beni terreni, per donarsi interamente a Dio e ai fratelli. Per mettere in luce quel singolare episodio, hai voluto erigere, nella chiesa di Santa Maria Maggiore, antica cattedrale di Assisi, e nei luoghi del Vescovado che furono testimoni dell’evento, il Santuario della Spogliazione. Hai così aggiunto una perla al panorama religioso della “Città serafica”, offrendo alla comunità cristiana e ai pellegrini un’altra grande opportunità, dalla quale si possono giustamente sperare frutti spirituali e pastorali. Sono lieto pertanto di accompagnare con una riflessione e una benedizione l’inaugurazione ufficiale che ne farai il prossimo 20 maggio. Ricordo bene l’emozione della mia prima visita ad Assisi. Avendo scelto, quale ispirazione ideale del mio pontificato, il nome di Francesco, la Sala della Spogliazione mi faceva rivivere con particolare intensità quel momento della vita del Santo. Rinunciando a tutti i beni terreni, egli si svincolava dall’incantesimo del dio-denaro che aveva irretito la sua famiglia, in particolare il padre Pietro di Bernardone. Certamente il giovane convertito non intendeva mancare del dovuto rispetto a suo padre, ma si ricordò che un battezzato deve mettere l’amore per Cristo al di sopra degli affetti più cari. In un dipinto che decora la Sala della Spogliazione è ben visibile lo sguardo contrariato del genitore, che si allontana con il denaro e le vesti del figlio, mentre questi, nudo ma ormai libero, si getta tra le braccia del vescovo Guido. Lo stesso episodio, nella Basilica Superiore di San Francesco, è ricordato da un affresco di Giotto, che sottolinea lo slancio mistico del giovane ormai proiettato verso il Padre celeste, mentre il vescovo lo copre col suo mantello, ad esprimere l’abbraccio materno della Chiesa.
Venendo a visitare la Sala della Spogliazione, ti chiesi di farmi incontrare soprattutto una rappresentanza di poveri. In quella Sala così eloquente essi erano testimonianza della scandalosa realtà di un mondo ancora tanto segnato dal divario tra lo sterminato numero di indigenti, spesso privi dello stretto necessario, e la minuscola porzione di possidenti che detengono la massima parte della ricchezza e pretendono di determinare i destini dell’umanità. Purtroppo, a duemila anni dall’annuncio del vangelo e dopo otto secoli dalla testimonianza di Francesco, siamo di fronte a un fenomeno di “inequità globale” e di “economia che uccide” (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 52-60). Proprio il giorno precedente il mio arrivo ad Assisi, nelle acque di Lampedusa, si era consumata una grande strage di migranti. Parlando, nel luogo della “spogliazione”, anche con la commozione determinata da quell’evento luttuoso, sentivo tutta la verità di ciò che aveva testimoniato il giovane Francesco: solo quando si avvicinò ai più poveri, al suo tempo rappresentati soprattutto dai malati di lebbra, esercitando verso di loro la misericordia, sperimentò «dolcezza di animo e di corpo» (Testamento, ff 110).
Il nuovo Santuario assisano nasce come profezia di una società più giusta e solidale, mentre ricorda alla Chiesa il suo dovere di vivere, sulle orme di Francesco, spogliandosi della mondanità e rivestendosi dei valori del Vangelo. Ribadisco quanto dissi nella Sala della Spogliazione: «Tutti siamo chiamati ad essere poveri, a spogliarci di noi stessi; e per questo dobbiamo imparare a stare con i poveri, condividere con chi è privo del necessario, toccare la carne di Cristo! Il cristiano non è uno che si riempie la bocca coi poveri, no! È uno che li incontra, che li guarda negli occhi, che li tocca». Oggi è più che mai necessario che le parole di Cristo caratterizzino il cammino e lo stile della Chiesa. Se in tante regioni del mondo tradizionalmente cristiane si verifica un allontanamento dalla fede, e siamo pertanto chiamati a una nuova evangelizzazione, il segreto della nostra predicazione non sta tanto nella forza delle nostre parole, ma nel fascino della testimonianza, sostenuta dalla grazia. E la condizione è che non disattendiamo le indicazioni che il Maestro diede ai suoi apostoli nel discorso sulla missione, facendo insieme appello alla generosità degli evangelizzatori e alla premura fraterna nei loro confronti: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10, 8-10). Francesco di Assisi lo aveva ben chiaro. Lo aveva assimilato nella meditazione del vangelo, ma soprattutto dalla contemplazione del volto di Cristo nei lebbrosi e nel Crocifisso di San Damiano, dal quale aveva ricevuto il mandato: “Francesco, va’, ripara la mia casa”. Sì, come al tempo di Francesco, la Chiesa ha sempre bisogno di essere “riparata”. Essa infatti è santa nei doni che riceve dall’alto, ma è formata da peccatori, e pertanto è sempre bisognosa di penitenza e di rinnovamento. E come potrebbe rinnovarsi, se non guardando al suo “nudo” Signore? Cristo è il modello originario della “spogliazione”, come tu, caro fratello, hai voluto evidenziare, promulgando la tua lettera di istituzione del nuovo Santuario nella solennità del Natale. Nel Bimbo di Betlemme la gloria divina si è come nascosta. Sarà ancor più velata sul Golgota. «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2, 5-8).
Dal Natale alla Pasqua, il cammino di Cristo è tutto un mistero di “spogliazione”. L’Onnipotenza, in qualche modo, si eclissa, affinché la gloria del Verbo fatto carne si esprima soprattutto nell’amore e nella misericordia. La spogliazione è un mistero di amore! Essa non dice disprezzo per le realtà del mondo. E come potrebbe? Il mondo viene tutto dalle mani di Dio. Francesco stesso ci invita, nel Cantico di Frate Sole, a cantare e a custodire la bellezza di tutte le creature. La spogliazione ci fa fruire di esse in modo sobrio e solidale, con una gerarchia di valori che mette l’amore al primo posto. Ci si deve spogliare, in sostanza, più che di cose, di sé stessi, mettendo da parte l’egoismo che ci fa arroccare nei nostri interessi e nei nostri beni, impedendoci di scoprire la bellezza dell’altro e la gioia di aprirgli il cuore. Un cammino cristiano autentico non porta alla tristezza, ma alla gioia. In un mondo segnato da tanta «tristezza individualista» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 2), il Santuario della Spogliazione si propone di alimentare nella Chiesa e nella società la gioia evangelica, semplice e solidale.
Un aspetto bello del nuovo Santuario è dato dal fatto che, nell’evento della spogliazione di Francesco, emerge anche la figura di un Pastore, il vescovo Guido, che lo aveva probabilmente conosciuto, se non addirittura accompagnato nel suo cammino di conversione, ed ora lo accoglieva nella sua scelta decisiva. È un’immagine di maternità della Chiesa che merita di essere riscoperta, mentre la condizione giovanile, in un quadro generale di crisi della società, pone interrogativi seri che ho voluto mettere a fuoco indicendo un apposito Sinodo. I giovani hanno bisogno di essere accolti, valorizzati e accompagnati. Non bisogna temere di proporre a loro Cristo e gli ideali esigenti del vangelo. Ma occorre per questo mettersi in mezzo a loro e camminare con loro. Il nuovo Santuario acquista così anche il valore di un luogo prezioso dove i giovani possano essere aiutati nel discernimento della loro vocazione. Al tempo stesso gli adulti vi sono chiamati a stringersi in unità di intenti e di sentimenti, perché la Chiesa faccia emergere sempre più il suo carattere di famiglia, e le nuove generazioni si sentano sostenute nel loro cammino.
Benedico pertanto di cuore il nuovo Santuario, estendendo la mia benedizione ai pellegrini che lo visiteranno e all’intera comunità diocesana. La Vergine Santa, alla quale il Santuario resta dedicato, faccia sentire tutta la sua materna protezione.
16 aprile 2017, Pasqua di Risurrezione

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ZENIT Staff

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