«Se per una volta cancellassimo l’odio, se abbracciassimo con l’anima ogni colore e religione, se alzassimo bandiera bianca davanti ad ogni provocazione,se guardassimo oltre al buio dell’egoismo, potremmo vivere appieno il vero senso della Pasqua, che è fatto di pace e serenità».
Fosse come quella descritta nei versi della poetessa italo-canadese Silvana Stremiz, la Pasqua sarebbe davvero, nella concretezza della quotidianità, una rinascita dello spirito. Che nella realtà sia tutt’altra cosa, invece, ce lo dicono i media, informandoci dei fatti del mondo ricchi di gelosia, odio e violenza. C’è poi una vita patinata, tipica dei social forum, in cui ciascuno tende a figurare al meglio, o per come vorrebbe essere visto. C’è infine la verità, mascherata da bugie, finzioni ed infingimenti: belli e buoni siamo noi, gli altri sono brutti e cattivi.
Per spazzare via tutto questo, circa duemila anni fa Cristo scese dal cielo in terra a morire per l’umanità. E da allora per noi cristiani egli ogni anno muore e rinasce per rinnovare l’invito alla conversione. Ma il tempo trascorso, a volte, sembra essere passato invano. Ai piedi di quella croce insanguinata ci si interroga da sempre su quali siano le verità, incapaci di trovare le risposte giuste. Il primo dubbio, incredibile dictu, riguarda la fede: come credere che un Dio possa rinunciare ad onnipotenza ed eternità per farsi uomo ed accettare la morte? Ma a ben vedere, l’interrogativo non offusca la prospettiva dell’orizzonte cristiano. «Vi sono misteri – si legge in un romanzo dello scrittore polacco Jan Dobraczynski – nei quali bisogna avere il coraggio di gettarsi, per toccare il fondo, come ci gettiamo nell’acqua, certi che essa si aprirà sotto di noi. Non ti è mai parso che vi siano delle cose alle quali bisogna prima credere per poterle capire?».
Allora, se per comprendere è necessario credere, diventa possibile e quasi semplice cogliere in pieno il senso della croce, evitando di fermarsi alla passione e morte, o di commuoversi (e nulla più) di fronte al Cristo esanime, alle sue piaghe, ai suoi dolori e soprattutto a quelle di sua madre, di Maria col cuore trafitto da sette spade di sofferenza. È possibile andare oltre. In questa vicenda di sangue e lutto non si condensa solo un dolore anonimo: al contrario, in essa si svelano volti di gente conosciuta; dei tanti che – direbbe San Paolo – vengono con-crocifissi con Cristo: dai cristiani d’Egitto ai confratelli vessati dall’Isis, alla moltitudine di innocenti uccisi per il loro credo religioso o per la loro coerenza evangelica. Ecco perché la Pasqua è qualcosa di molto concreto e vicino. Ecco perché è e deve essere momento di svolta e di nuovo inizio per tutti. Da costruire passo dopo passo, con perseveranza ed un pizzico di sano orgoglio. «Io che non sono religioso – scrive il sociologo Alain Touraine – ho voglia di domandare ai cristiani di essere più presenti nella società. E non si tratta solo di pace civile: si tratta di difendere i diritti dell’uomo, coscienti che non avremmo una società ed una cultura di libertà se non ci fosse stato il cristianesimo».
Coltiviamo allora un coraggio autentico, una fede genuina, un autentico impegno civile. Non vada perduto l’esempio che viene dal Golgota: per rinascere, per risorgere, bisogna imparare dalla sofferenza, ma non basta: nessuna conquista è possibile se non si hanno un cuore ed una mente capaci di conquistarla. Non più persone assuefate all’abitudine e all’altrui invadenza, ma uomini e donne orgogliosamente liberi: sia questa la Pasqua che viene. Di cuore, auguri.
Mons. Bertolone: "Una Pasqua di libertà"
“Coltiviamo allora un coraggio autentico, una fede genuina, un autentico impegno civile”