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Pato-logie del benessere. Filosofia e Medicina in dialogo

Il 6 marzo nell’aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense si terrà il seminario dell’Area Internazionale di Ricerca sui fondamenti delle scienze

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Il prossimo 6 marzo alle ore 15 nell’aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense (Roma) si terrà il seminario dell’Area Internazionale di Ricerca sui fondamenti delle scienze (www.irafs.org) dal titolo Pato-logie del benessere. Filosofia e Medicina in dialogo. Interverranno Palma Sgreccia (Preside dell’Istituto Camillianum) con la relazione Il benessere come malattia filosofica e Ilaria Indiano (Responsabile medico di Villa Sacra Famiglia, Italian Hospital Group) sul tema L’invecchiamento è sinonimo di malattia? A moderare Patrizia Manganaro (Pontificia Università Lateranense), della quale più sotto riportiamo alcune riflessioni.
In occasione della pubblicazione del volume curato da Patrizia Manganaro e Flavia Marcacci, Logos & Pathos. Epistemologie contemporanee a confronto, edito da Studium, il seminario proseguirà con un dibattito pubblico sulle tematiche del libro, che contiene contributi delle curatrici e di Roberta Lanfredini, Gian Italo Bischi, Francesca Grassetti, Palma Sgreccia, Cristina Trentini, Gianfranco Basti. Martino Feyles (Pontificia Università Lateranense) modererà la discussione, introdotta da Fausto Fraisopi (Albert-Ludwigs-Universität Freiburg) con una relazione dal titolo Epistemologia strutturalista vs. epistemologia (e) metafisica.
Altrimenti che io. La felicità per sottrazione
Benessere si dice in molti modi. Il modo in cui è qui declinato suona provocatorio sin dal titolo: “Pato-logie del benessere”. Ma come può il benessere generare patologia, e non salute? Si tratta di un ossimoro, di uno strano gioco di lingua, di un paradosso? Per aprire un proficuo spazio di riflessione, propongo l’estensione del quesito: come può il benessere generare patologia, e non felicità?
La tesi che sostengo è che l’autoreferenzialità rende infelici. Si tratta di problematizzare il nesso, tutt’altro che ovvio, tra “salute” (fisica, psichica, spirituale) e “felicità”, con riferimento al “benessere” raggiunto dai paesi occidentali – inteso sia come modus vivendi, conquista di libertà, diritti e autonomia, sia come forma mentis, produzione di cultura e civiltà[1]. Vorrei quindi riflettere sul “benessere” sganciandolo dal significato con cui è solitamente impiegato, relativo alla mera soddisfazione narcisistica del desiderio individuale[2] – specchio dell’ipertrofia dell’ego, una delle odierne patologie del benessere – e al buon funzionamento del corpo-macchina[3]. Indico una triplice possibilità di scandaglio:
1) si è esercitato il pensiero filosofico più sul senso del limite, che sul limite come senso. Ma che cos’è il limite: un ostacolo, un impedimento, oppure una chance, un’apertura[4]? Che cosa significa che il dolore e la sofferenza costituiscono un limite che però ci de-limita, ci forma e ci con-forma, consentendo la presa di coscienza dei nostri confini, della nostra finitudine? Soltanto in quest’ottica, si comprende che la morfo-logia del pensare l’identità è l’umiltà, che viene dall’humus, dalla terra; solo così, diviene chiaro che la felicità si dà “per sottrazione”, cioè spostando l’ego più in là, orientandosi verso l’altro, nell’esodo da sé, nell’ek-stasis;
2) siamo progrediti maggiormente nella lotta contro il dolore, che nell’intelligenza della sofferenza. I termini “dolore” e “sofferenza” non sono equivalenti, perché afferenti a dimensioni qualitativamente diverse – il corpo, la psiche, lo spirito – e a diverse esperienze del “sentire”, irriducibili all’io somatico. Come rileva l’analisi fenomenologica, “sentire” si dice in molti modi[5];
3) se il dolore si riconosce per esperienza, l’esperienza del dolore genera una conoscenza nuova: ancora una provocazione, che dobbiamo al contributo del filosofo e psicopatologo Karl Jaspers[6]. Da un punto di vista metodologico, tuttavia, egli si è confrontato in modo aspro con il neurologo e filosofo Viktor von Weizsäcker[7], il quale nel 1927 parlava di una disciplina nuova, l’antropologia medica, come correzione della medicina scientista e deterministica – si tratta della disciplina alla quale oggi si richiamano le Medical Humanities.
In ogni caso, il contributo della fenomenologia all’indagine psicopatologica ha gradualmente condotto a un ripensamento delle questioni di fondo della scienza medica e psichiatrica stessa, nonché sollecitato una riformulazione del rapporto del medico con il segno-sintomo e con la persona che lo esprime, lo abita, lo comunica. È questo, in fondo, che consente di parlare della medicina come di un’arte.
Il dibattito sulle pato-logie del benessere è aperto. Ripensando alle nostre radici, alla cultura ellenica, che recita: «Impara dal dolore (pathos), è l’unico modo per vedere la luce» (Eschilo, coro dell’Agamennone), questo Seminario scommette sull’interazione feconda tra filosofia e medicina, tra esperti del logos e scienziati del pathos.
Per dirla con John Austin[8], confido che questa scommessa sia un performativo felice.
***
[1] Molto interessante l’utilizzo del termine “disagio” come sinonimo di “infelicità”: cf. S. Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri, Torino 2001; Ch. Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Roma-Bari 20064; Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Mondadori, Milano 2002.
[2] P. Manganaro, Narcisismo. Tre riflessioni liquide, EMP, Padova 2016.
[3] P. Manganaro, Materia(l)Mente? Le “ragioni” del corpo e l’empatia, in A. Ales Bello – P. Manganaro (edd.), …e la coscienza? Fenomenologia, Psico-patologia, Neuroscienze, Laterza, Bari 2012, pp. 241-377.
[4] R. Bodei, Limite, Il Mulino, Bologna 2016.
[5] P. Manganaro, Empatia, EMP, Padova 2014.
[6] K. Jaspers, Il medico nell’età della tecnica, Cortina, Milano 1991; Id., Scritti di psicopatologia, Guida, Napoli 2004; Id., Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000.
[7] V. von Weizsäcker, Antropologia medica, Morcelliana, Brescia 2017; Id., Filosofia della medicina, Guerini e Associati, Milano 19972; Id., La dottrina dei sensi come compito della biologia, in A. Pinotti – S. Tedesco (edd.), Estetica e scienza della vita, Cortina, Milano 2013, pp. 83-107.
[8] J. Austin, Come far cose con le parole, Marietti, Genova 1987; Id., Saggi filosofici, Guerini e Associati, Milano 1990.

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ZENIT Staff

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