Croce / Pixabay CC0 - Buecherwurm_65, Public Domain

Iapicca: "Un amore che si fa peccato perché l’altro si salvi"

Commento al Vangelo della VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) — 19 febbraio 2017

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Con il brano di questa domenica entriamo nel cuore del Discorso della Montagna, il cuore di Dio. Qui il Padre ci ha pensato con struggente tenerezza, chiamandoci all’esistenza in un battito d’amore. Ogni fibra del nostro spirito e ciascun millimetro della nostra carne è stato creato in questa Parola: l’amore è in ogni nostra cellula, nelle pupille come nei polpastrelli, nei muscoli come nel cervello.
Quel giorno sulla splendida erta del Monte Korazim, di fronte al Mare di Galilea, Gesù dava voce al Mistero nel quale siamo stati creati. Un prodigio di “perfezione”, un ingranaggio fatto di carne e spirito plasmato per schiudere in terra una finestra sul Cielo.
Sappiamo come poi sia andata, l’invidia del demonio e il peccato che ci ha graffiato il cuore. Per questo Gesù era salito su quel Monte, per annunciare a tutti il perdono di ogni peccato e la speranza di vivere amando. Quelle parole venivano dall’eternità e planavano finalmente in terra, nella storia degli uomini che non le avevano mai viste compiute. 
Con esse Gesù annuncia che Dio ama ciascuno esattamente come è: il Discorso della montagna, infatti, è storia e cronaca diretta dell’amore fatto carne in Gesù per ciascuno di noi. Racconta come Egli ci ami istante dopo istante descrivendo l’attitudine paziente e misericordiosa con cui ha sempre risposto ad ogni nostro peccato. E profetizza l’uomo nuovo ricreato in Lui, tu ed io liberi per amare come siamo amati.
Quante volte Gesù ci ha offerto “l’altra guancia” mentre lo schiaffeggiavamo sulla destra, sfidandolo a duello. Per dare uno schiaffo sulla guancia destra, infatti, occorre darlo di manrovescio, nel gesto proprio della sfida a duello. Magari è stato ieri, quando, incapaci di accettare la stanchezza della moglie o l’ira del marito, abbiamo sbattuto la porta e urlato più forte, chiudendo il cuore per ottenere giustizia. 
Era Gesù che sfidavamo per lavare nel sangue il tradimento che crediamo ci abbia fatto non compiendo la nostra volontà di cambiare l’altro. E Lui ha offerto l’altra guancia a parare il colpo, salvando ancora una volta il matrimonio…  
Quante volte si è lasciato “citare in giudizio” dalle nostre mormorazioni che lo hanno condannato a non contare nulla nelle decisioni. E Lui lì zitto, come un agnello di fronte ai suoi tosatori, a lasciarsi condannare perché noi fossimo assolti.
Quante “tuniche” e quanti “mantelli” gli abbiamo chiesto e mai restituito, gli unici beni inalienabili dei poveri, secondo la legge dell’Antico Testamento, e per questo segni della stessa vita. E giudicare un fratello come spessissimo facciamo con una superficialità disarmante, è togliergli la vita, così come la calunnia o il parlar male e lo spettegolare. E Gesù, eccolo lasciarsi spogliare di tutto e morire nudo sulla Croce, dalla quale ha abbracciato calunniatori e calunniati per riconciliarli nel mantello della sua misericordia.
Quante volte Gesù ha accettato l’ingiustizia di “percorrere un miglio in più”, qualcosa di proibito secondo la Legge che stabiliva in meno di un miglio il limite massimo del lavoro permesso; uno sforzo sovrumano, destinato alla morte. E sulla via del Calvario quante miglia ha percorso al posto nostro, pigri nello zelo e nel compiere la volontà di Dio. 
Ogni volta che siamo scappati imboscandoci, schivando le responsabilità di coniugi, genitori, pastori, Lui era lì a fare quel tratto di strada che toccava a noi, sino a morire per proteggerci da una pena che avremmo meritato. Per questo oggi ci è concesso di ascoltare ancora la sua Parola, mentre dovremmo essere rinchiusi in qualche prigione…
E’ Lui che anche oggi ci “dona tutto quel chiediamo”, senza sperarne nulla, sapendo di aver gettato la sua vita in mano a degli “ingrati” che usano della religione per aggiustarsi la vita. 
Così, istante dopo istante, ci ama Dio, innanzi tutto lasciandoci liberi, perfino di diventare suoi nemici. L’amore, infatti, è prima di tutto libertà. Ma quella vera, che rischia tutto, anche di perdere l’amato. Per questo l’amore è anche dolore, chiodi e aceto e Croce, altro che sentimento… Se lasci davvero libera la persona amata sai che potrebbe tradirti, abbandonarti, rivolgersi contro di te.
E allora l’amore non potrà che essere quello che appare nelle parole di Gesù. Un amore che si fa peccato perché l’altro si salvi; l’amore crocifisso che prende su di sé il male dell’amato divenuto nemico perché desidera solo il suo bene. 
Le anime belle diranno che non hanno nemici, ingannandosi. L’eros dei “pagani”, infatti, è passione, sentimento che si esaurisce nel perimetro del contraccambio; evapora quando l’altro non corrisponde all’affetto profuso, secondo quanto ci si aspetta. Si spegne dinanzi al nemico  perché il massimo che un uomo può fare è “occhio per occhio e dente per dente”, ovvero amore per amore e odio per odio. 
Ne facciamo esperienza tutti. Creati nell’amore e rinati nel battesimo, dobbiamo convenire che il seme ricevuto nel fonte ha prodotto un bonsai e non un albero pieno di frutti. Amore? Zero, o quasi… “Salutiamo solo i fratelli”, perché in tutto, anche negli slanci più generosi, speriamo il contraccambio, e quando non arriva… Siamo ancora “come i pagani”, rinchiusi in una vita grigia e monotona, che però finisce per scontrarsi con l’imprevedibilità del cuore. 
Abbiamo bisogno di rinascere dall’alto, di rientrare nel seno della Chiesa ed essere gestati perché il seme dell’amore giunga a “perfezione. L’amore dei “perfetti”, come erano chiamati i cristiani nella Chiesa primitiva, supera la carne e la routine; è, appunto, la “perfezione”, che significa, innanzi tutto, non mancare di nulla. E’ l’amore di ogni pecora perduta e ritrovata e issata sulle spalle del Buon Pastore che nulla fa mancare al suo gregge. 
Nella Chiesa possiamo giungere alla statura “perfetta”, per vivere senza difendere nulla, sperimentando ogni giorno che la vita ricevuta è eterna, non può finire. Anche se strappata non si esaurisce e può donarla al nemico.
Ma chi è il nemico? Ne abbiamo una lista infinita… La moglie, il marito, i figli, sì proprio i figli, e poi i colleghi, i condomìni, i parenti, gli amici, che diventano i nostri nemici. Non si tratta dei nemici delle istituzioni, tanto di moda, o dei confini del nostro Paese. Gesù parla di chi cerca di invadere i nostri territori, il posto dello spazzolino, il programma alla televisione, la decisione di comprare le scarpe, sino a quelli più intimi, come le relazioni sessuali e i tempi di ciascuno, gelosamente custoditi e troppo spesso usati per ricattare e vendicarsi.
Quando l’altro parte alla conquista delle nostre idee, dei nostri schemi, delle nostre certezze, delle decisioni, del tempo, del denaro, dei nostri diritti diventa un nemico acerrimo. Non possiamo amarlo ed essere felici e pienamente realizzati se non siamo profondamente uniti a Cristo, nella concretezza spesso acida e inospitale: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal. 2,20).
Questa è la perfezione dell’amore, perché si compia in noi lo “straordinario” per il quale siamo nati: amare il prossimo straordinariamente, oltre i confini dei pagani: l’amore all’altro sino alla fine, dove termina la sua dolcezza, la sua simpatia, la sua bellezza e iniziano i difetti, l’insopportabilità, i peccati. 
Siamo la carne dove si compie il “ma ora io vi dico” di Gesù. La nostra vita è la novità che infonde speranza al mondo. E’ L’amore che “prega per i persecutori” perché si offre senza sperare nulla; l’amore che fa gli straordinari non pagati secondo la giustizia umana ma secondo quella celeste, una “ricompensa” di gioia e pace che il mondo non conosce. L’amore che, “come pioggia”, scende sull’altro, sia come sia, che “sorge come sole” di giustizia ogni giorno.

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Antonello Iapicca

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