Chi è un cristiano? E’ colui nel quale è vivo Cristo, che, nel celebre Discorso della Montagna, ha voluto lasciarci il suo ritratto, preciso in ogni dettaglio. Per questo, nulla di noi è marginale. Tutto ci è donato per essere “compiuto”, colmato, “riempito trabocchevolmente” di Lui, perché si realizzino le sue parole pronunciate durante l’ultima cena: “Tu in me e io in loro, perché siano perfetti nell’unità e il mondo creda che tu mi hai mandato”.
Ogni istante è come uno yod (iota in ebraico), la più piccola lettera dell’alfabeto ebraico, eppure importantissima; decisivo per definire il significato di molte parole simili, lo yod è fondamentale per illuminare il compimento delle frasi, schiudendo il passato verso il futuro.
Il Signore “desidera ardentemente” accogliere ogni momento e aspetto della nostra vita per dargli compimento; ha sete del nostro aceto fatto di amarezze e peccati;ricevendolo sulla croce come l’ultimo “yod” necessario perché tutto sia colmato, ha reclinato il capo e spirando ci ha inondato del suo Spirito.
Da quel momento non vi è più nulla da mettere tra parentesi, rifiutare e buttar via. Gesù ci ha amati sino alla fine – sino all’ultimo “iota” – per farci felici e vivere tutto senza paura, perché “tutto è compiuto” nell’amore.
Pulire la casa, studiare quella materia insopportabile, cambiare l’ennesimo pannolino, l’odore acre dell’autobus pullulante di zombi mattutini, il capoufficio, il traffico alienante, la precarietà economica, il dolore di denti, la cellulite, l’altezza, i nostri occhi, i difetti, il carattere, tutto: ogni “iota” della nostra vita è decisivo per amare.
La misericordia di Dio trasforma il momento più routinario in una sorgente di salvezza e di letizia. Vivere pienamente la vita è accogliere il senso profondo che Lui consegna ad ogni nostra ora, anche la più dolorosa, l’ultima che ci viene donata, senza trascurare nulla.
I suoi comandamenti, infatti, sono il suo stesso amore declinato nella vita dell’uomo. Esso è attento a ogni dettaglio, non lascia nulla al caso; i suoi precetti, parole di vita e di libertà, abbracciano in uno sguardo amorevole ogni millimetro della nostra esistenza.
Osservarli, nella pura Grazia di una vita abbandonata al soffio dello Spirito Santo, significa essere fedeli nelle piccole cose per esserlo nelle grandi, quando sarà preparato l’altare dove sacrificare la vita. Chi, al contrario, trascura il “precetto minimo”, si ritroverà con un “amore minimo”, incapace di far fronte al bisogno dell’altro, inciamperà quando urterà contro l’eccezionale di una crisi del coniuge, del figlio, dell’amico o del fidanzato.
Chi vive disattento e insegna ad esserlo è condannato ad essere “considerato minimo nel Regno dei Cieli”, dove è grande l’insignificante, il povero, il peccatore. E’ paradossale, ma un peccatore che si converte ha “superato la giustizia dei farisei”; è “più grande” – capace di una gioia e una pace e un amore “più grandi” – di chi, subdolamente, sovverte la volontà di bene del Signore per affermare i propri criteri.
La “giustizia di scribi e farisei” aveva, come la nostra, i limiti della propria carne, perché fondata su opere che avevano perduto il sapore della gratuità, lettera morta, senza Spirito.
Lo dimostrano le parole di Gesù, nelle quali sembra affiorare l’assurdo: un pensiero che sfiora appena la mente, ed è come uccidere un uomo.
E’ un paradosso per rivelare il veleno che scorre nel cuore di tutti: se non siamo capaci di “pensare bene” come illudersi di poter “compiere il bene”? Quante messe, preghiere, parole, consigli, sguardi umili, ma il cuore dov’è? Che ne è stato di quel vicino di casa, della suocera, del collega? Uccisi nel cuore, sepolti e dimenticati.
E non solo questo. Il Signore ci parla di “qualcuno che ha qualcosa contro di noi”, non necessariamente perché noi si abbia fatto qualcosa di male: parole chiarissime, che mostrano, in filigrana, il cuore di Cristo. Noi tutti ce l’avevamo con Lui, e lo abbiamo inchiodato a una Croce. E non ci aveva fatto nulla, anzi, ci aveva semplicemente amati. Ma Lui ha “lasciato l’offerta all’altare del Tempio”, e si è fatto offerta Lui stesso, il suo corpo come il nuovo Tempio, la sua Croce come il nuovo altare.
Lui si è ricordato di tutti noi, che avevamo qualcosa contro di Lui, per quella malattia, per quel dolore, per quel fallimento, ed è venuto a cercarci per riconciliarci con Lui. Ma come è possibile? Noi, peccatori e per questo debitori, nel cuore di Cristo diveniamo suoi creditori! Ladri, ma i suoi occhi ci vedono come dei derubati. Ingannatori, ma la sua misericordia ci considera ingannati.
In Lui è apparsa la Giustizia di Dio, che supera la casuistica farisaica, le regolette da rispettare con cui difendersi e sentirsi a posto; supera la religione naturale fatta di prescrizioni, doveri, paura e schiavitù, per donarci la Vita nuova che non si esaurisce e che possiamo offrire anche al nemico.
Certo, le parole di Gesù sono follia pura agli occhi e alle menti carnali. Come inginocchiarsi dinanzi a chi ci tradisce, ci calunnia, ci “cita in giudizio”? Come chiedere perdono per quello che non si è commesso? Dove si va a finire? Infatti, non è sapienza mondana, e non c’entra nulla con le leggi di uno Stato. E’ lo Spirito della famiglia di Dio, la vita dei figli di Dio: la carità di Cristo in noi, l’agape che abbraccia, dalla Croce, ogni uomo.
Abbiamo sperimentato questa giustizia nella nostra vita? Gesù ci chiama ad accogliere oggi il suo amore che ci giustifica, in un cammino da percorrere nella Chiesa, l’iniziazione cristiana attraverso la quale Dio strappa il peccato dal cuore e vi depone il seme del suo amore.
Per questo, nel Discorso della montagna non vi è spazio per il sentimentalismo e il buonismo d’accatto. I cristiani assumono ogni giorno un combattimento spirituale contro le insidie della superbia e del demonio, e quando c’è da tagliare si “taglia”, per amore.
Sulla soglia del peccato originale, infatti, troviamo la “concupiscenza”, che nel Vangelo è tradotta con “desiderio”, quello ferito dal demonio. Tutti ne facciamo esperienza… Basta uno sguardo… Chi guarda una donna con concupiscenza, infatti, “ha già commesso adulterio nel suo cuore”: non si può desiderare con concupiscenza e nello stesso tempo offrirsi con amore nella gratuità, pena l’adulterio.
Quanti adulteri nei nostri cuori… Quanti desideri che cancellano l’amore in favore dell’avidità con cui offriamo a noi stessi persone e cose… Abbiamo bisogno di una purificazione dello sguardo che si compie solo in un cammino di conversione: in esso, attraverso la Parola, la liturgia e la vita nella comunità, la Grazia converte il cuore perché gli occhi, che svelano le intenzioni, contemplino Cristo nel prossimo.
Nella Chiesa possiamo imparare a fondare la nostra vita su di Lui. A “Gerusalemme”, sulla Croce, “trono” che giunge al “Cielo” e “sgabello” ben radicato sulla “terra”, Gesù ha già giurato al Padre per tutti noi amore infinito ed eterno. Non si torna indietro, pena l’infelicità eterna; il Signore ci ha crocifissi con Lui negli eventi della nostra storia, facendo di essa una primizia della nuova “Gerusalemme”, cittadini della “città del gran Re” che ha dato la sua vita per noi.
Chi è di Cristo non ha bisogno e non può giurare, perché la sua vita è già legata, per l’eternità, in un’alleanza d’amore. Il “sì” di Gesù, infatti, è il “giuramento” che fonda tutta l’esistenza. Da esso nascono i nostri “sì” e “no”. Il sì alla storia che Dio prepara ogni giorno, il no a chi e a quanto vorrebbe opporvisi. Il sì di parole che rifuggono ipocrisia e adulazione per annunciare sempre e ovunque il Vangelo.
Testo ebraico / Pixabay CC0 - Robert_C, Public Domain
Iapicca: "Ogni 'yod' della nostra vita"
Commento al Vangelo della VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) — 12 febbraio 2017