Nel mistero del Natale si colgono degli aspetti che dovrebbero far riflettere l’uomo in ogni sua azione quotidiana, specie quando si è troppo presi dalla conquista del potere fine a stesso. Blasfema l’idea di possedere solo quanto materialmente sia più possibile, con la convinzione che dal podio del proprio comando si potranno assumere le vesti di colui che tutto può. Una corsa che spesso si impantana in processi degenerativi, bruciando aspettative individuali e collettive e ferendo la comunità intera. Papa Francesco ha invitato ciascuno in questi giorni a fermarsi per pregare; ascoltare la voce del cuore proteso alla Parola; riprendere il dialogo con il cielo, non più considerato nella sua reale dimensione.
Il tempo del Natale è per il Santo Padre l’occasione giusta per riannodare il rapporto con la voce dello Spirito, abbassando il volume dello “schiamazzo” e rivalutando la forza del silenzio, prima di mettere in campo qualsiasi personale iniziativa. La società ha tutte le possibilità per riprendersi il senso profondo dell’essere e mostrare la sua capacità nel considerare il vero valore di quanto ruota intorno ad essa. Un passaggio necessario e non più rinviabile per riafferrare la buona rotta, all’insegna della riconciliazione e della condivisione, puntando dritti al bene comune.
Di riflesso avranno benefici la politica urlata e parassitaria; l’economia che macina il più il debole; l’ambiente ormai infranto nella sua intima bellezza; la vita comunitaria spesso ferita dalla solitudine, l’egoismo, la corruzione, il terrorismo; le popolazioni che fuggono dalla violenza delle guerre, inseguite dal rumore delle bombe nel cuore e nella testa di uomini, donne e bambini. C’è un mondo spesso preso di mira da mille disordini materiali e spirituali, ma che può e deve riappropriarsi del suo autentico prestigio naturale e trascendentale. Il mistero del Natale si ripresenta, oggi come ieri, per ricordarci che l’incontro con Gesù bambino è l’opportunità per l’uomo, così come fu per i pastori, di annunciare la venuta del Redentore a sé stessi e a tutte le persone con cui si vive.
Chiunque ha la possibilità di cancellare il buio che ha oscurato la propria vita e quella degli altri, ma senza indugiare, aspettare, rinviare. Lo sposo passa e non rallenta il suo passo per coprire ritardi e apatie dell’animo. L’uomo perciò, in questo periodo di festa e di gioia cristiana, deve cercare di mettere dentro di sé quelle verità che il vangelo semina sulla strada diretta alla grotta di Betlemme. La prima verità è che il Signore per attuare le sue profezie non si serve sempre e solo dei profeti. Lo Spirito Santo può soffiare nella mente e nel cuore di ogni uomo, per poter portare a termine i disegni divini preavvisanti la salvezza del mondo.
Succede così nel momento in cui Giuseppe e Maria devono raggiungere Betlemme, luogo scelto per il compimento della più grande promessa di Dio: “E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele” (Mi 5,1). È Cesare Augusto che, ordinando in quei tempi un censimento di tutto l’impero, mette nelle condizioni Giuseppe di partire con Maria per quella località che sarà teatro di mistero per il Natale del Figlio dell’Uomo. Accadimento in grado di rivoluzionare l’essenza stessa dell’esistenza umana, permettendo ad ognuno di redimersi e salvarsi.
L’imperatore romano, nel modo in cui era stato per Ciro il Grande nel liberare il popolo d’Israele, diventa strumento di luce nelle mani del Signore. Un atto che si ripete nel momento della Crocifissione, aprendo la strada del cielo e della misericordia divina ad ogni peccatore convertito. La seconda verità è che Giuseppe e Maria sono obbedienti alla storia, lanciando inconsapevolmente un monito alle generazioni future, fino ai nostri giorni e oltre. In queste parole del vangelo ogni gesto infatti narra della loro obbedienza, quale offerta purissima a Dio: “Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,6-7).
Nonostante vengano posti dinnanzi alla scelta della povertà, potremmo dire estrema, non si fermano, non la rifiutano, la scelgono. Hanno fede nel Signore, perché sanno che tutto ha origine in Lui. Niente e nessuno può ostacolare la serenità preservata nel loro cuore. La grotta, la stalla, il freddo, il buio, non riducono la bellezza del dono che ricevono dall’alto. Invano il tentativo di sostare in una delle locande presenti in quel territorio. Sono colme di gente e perciò anche inadeguate per una donna in procinto di partorire. Il messaggio è forte! Scuote in profondità una società che ha perso una siffatta visione soprannaturale della vita, capace di far ritrovare l’autentico significato delle cose.
Se si considera il tutto proveniente da sé stessi, sarà inevitabile rendere conto del proprio operato solo agli uomini e non al Creatore. Le conseguenze non potranno che essere fuori da ogni grazia! Si riuscirà in tale contesto a rimodulare persino la natura dell’essere umano; si accetteranno più facilmente i compromessi al ribasso; si prefabbricheranno i diritti a proprio uso e consumo; si perderà la capacità del cuore di ascoltare i sussurri dello Spirito, mettendo in discussione l’equilibrio sociale. Quando manca l’aspetto ontologico della natura umana si rischia di scalfire e pregiudicare la verità dell’uomo, assumendo tutto quello che una tale iattura comporta.
La terza verità è interamente rivolta a fare proprie le parole dell’angelo, per concorrere nel portare all’esterno la lieta novella: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,10-12). È il momento di interrogarsi con piena trasparenza interiore, chiedendosi se il Signore sia nato veramente per noi; se si riesca a far nostro questo dono straordinario; se ognuno sappia lasciarsi trasformare da esso. Gli interrogativi sono ancora tanti, ma necessari per smuovere le coscienze e rasserenare i cuori.
Si è pertanto pronti ad aspettare questo dono celeste dal Padre, dalla Chiesa o dal prossimo più vicino? C’è la giusta attitudine ad essere come i pastori portatori di luce, verso chi ancora non sa? Può un dono eterno essere scartato per dare accesso solo ad un’infinità di lucenti regali? È chiaro il suo valore in campo per farlo di seguito divenire vera luce e speranza? Per rispondere con un sì, senza alcuna riserva, bisogna essere ogni giorno “angeli di Dio”, partecipando all’evoluzione materiale e spirituale degli spazi vissuti, in comunione anche con l’escluso e il sofferente. Buon Natale!
Press office Comune Abbadia San Salvatore -
Il Natale e le sue tre grandi verità
Siamo pronti ad aspettare questo dono celeste dal Padre, dalla Chiesa o dal prossimo più vicino?