L’ebbrezza è un termine che richiama l’immaginario collettivo al vitalismo, all’audacia, a un moto finanche disordinato.
È importante tuttavia riconoscere che questa è una lettura parziale, giova infatti constatare “che esistono due tipi di ebbrezza”. Lo sottolinea nella sua terza predica d’Avvento padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia.
Il frate cappuccino prosegue le sue riflessioni sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa partendo da una strofa dell’inno delle Lodi della Quarta settimana del salterio, in lingua italiana, che dice: “Sia Cristo il nostro cibo, sia Cristo l’acqua viva: in lui gustiamo sobri l’ebbrezza dello Spirito”.
Il tema della “sobria ebbrezza” – spiega p. Cantalamessa – è stato ripreso da diversi Padri nel corso dei secoli. Egli sviscera dunque questo gioco di analogie e contrasti “tra ebbrezza materiale ed ebbrezza spirituale”.
“L’analogia – riflette – consiste nel fatto che tutti e due i tipi di ebbrezza infondono allegria, fanno dimenticare gli affanni e fanno uscire da se stessi”. Mentre “il contrasto consiste nel fatto che mentre l’ebbrezza materiale (da alcol, da droga, dal sesso, dal successo) rende vacillanti e insicuri, quella spirituale rende stabili nel bene; la prima fa uscire da se stessi per vivere al di sotto del proprio livello razionale, la seconda fa uscire da se stessi, ma per vivere al di sopra della propria ragione”.
Entrambe queste ebbrezze vengono definite con la parola estasi, “ma una – afferma p. Cantalamessa – è un’estasi verso il basso, l’altra un’estasi verso l’alto”.
Il rischio di confonderle è però dietro l’angolo. Il predicatore parla degli apostoli che, a Pentecoste, vennero scambiati per ubriachi. “Gli apostoli – commenta San Cirillo di Gerusalemme – erano, sì, ebbri, ma di quella sobria ebbrezza che mette a morte il peccato e da vita al cuore”.
P. Cantalamessa invita allora a meditare su cosa “questo suggestivo ossimoro della sobria ebbrezza dello Spirito” dice a noi oggi. Egli si chiede: “Come fare per riprendere quell’ideale della sobria ebbrezza e incarnarlo nella presente situazione storica ed ecclesiale?”.
Considerando che “il ruolo dello Spirito” è “rendere universale la redenzione di Cristo, disponibile a ogni persona, in ogni punto del tempo e dello spazio”, il frate ricorda che questo modo così “forte” di sperimentare lo spirito è offerto anche a noi contemporanei.
Egli parte da un’analisi storica, ricordando che in passato veniva posto l’accento sul fatto che la sobrietà era la chiave per giungere all’ebbrezza spirituale. Astinenza, digiuno, mortificazione erano i pilastri in particolare della spiritualità monastica ortodossa.
La stessa dottrina ascetica torna in San Giovanni della Croce e dunque anche nella spiritualità latina. “Noi siamo eredi – riflette pertanto p. Cantalamessa – di una spiritualità che concepiva il cammino di perfezione secondo questa successione: bisogna prima dimorare a lungo nello stadio purgativo, prima di accedere a quello unitivo; bisogna esercitarsi a lungo nella sobrietà, prima di poter sperimentare l’ebbrezza”.
Pur considerando che “c’è una grande sapienza ed esperienza alla base di tutto ciò” e che questa dottrina non è superata, egli ritiene che uno schema così rigido implica “anche un lento e progressivo spostamento dell’accento dalla grazia allo sforzo dell’uomo, dalla fede alle opere, fino a rasentare a volte il pelagianesimo”.
Del resto, aggiunge, “un’ascesi intrapresa senza una forte spinta dello Spirito sarebbe morta fatica, e non produrrebbe altro che ‘vanto della carne’”. Per San Paolo – ricorda il frate – “è ‘con l’aiuto dello Spirito’ che noi dobbiamo ‘far morire le opere della carne’”.
Ecco allora che una vita cristiana caratterizzata da mortificazione ma privata del “tocco vivificante dello Spirito”, secondo p. Cantalamessa mutuando un antico Padre, somiglierebbe “a una Messa nella quale si leggessero tante letture, si compissero tutti i riti e si portassero tante offerte, ma nella quale non avvenisse la consacrazione delle specie da parte del sacerdote. Tutto rimarrebbe quello che era prima, pane e vino”.
P. Cantalamessa analizza inoltre un secondo motivo che ci spinge “a riscoprire questa via che va dall’ebbrezza alla sobrietà”. Egli ricorda che “la vita cristiana non è solo questione di crescita personale in santità; è anche ministero, servizio, annuncio, e per assolvere questi compiti abbiamo bisogno della ‘potenza dall’alto’, dei carismi; in una parola, di una esperienza forte, pentecostale, dello Spirito Santo”.
È ciò di cui c’è particolare bisogno oggi, in un mondo “così refrattario al Vangelo, così sicuro di sé”. Per scardinarlo tirandolo fuori dalla sua “sobrietà tutta umana e razionalistica”, secondo il frate cappuccino, va usato “il vino forte dello Spirito”.
Questo Spirito – spiega p. Cantalamessa – si può attingere all’Eucaristia, alle Scritture ma anche a un “terzo luogo”, di cui parla Sant’Ambrogio. È il “rivivere “l’esperienza che gli apostoli fecero il giorno di Pentecoste”, ossia una “pioggia penetrante dello Spirito”.
Il rischio che corriamo, secondo il predicatore, è di essere come i farisei e persuaderci del fatto che essendoci già sette sacramenti per santificare e conferire lo Spirito, “non c’è bisogno di agire al di fuori di essi”.
A tal proposito egli parla del Rinnovamento nello Spirito, traendo spunto da un riferimento che ne fece il teologo Yves Congar in una relazione al Congresso Internazionale di Pneumatologia, tenuto in Vaticano nel 1981, in occasione del XVI centenario del Concilio Ecumenico di Costantinopoli.
Congar affermò che Rns “lungi dal mettere in discussione le istituzioni classiche (della Chisa), le rianima”.
Un’affermazione condivisa da p. Cantalamessa. “È vero che questa, come altre analoghe realtà nuove della Chiesa di oggi, presenta talvolta lati problematici, eccessi, divisioni, peccati – osserva -. Questo fu, anche per me, all’inizio una pietra di scandalo. Ma questo avviene di tutti i doni di Dio, non appena cadono nelle mani degli uomini. Forse che l’autorità è stata sempre esercitata nella Chiesa come la intende il Vangelo, senza sbavature umane di autoritarismo e ricerca di potere? Eppure nessuno si sogna di eliminare questo carisma dalla vita della Chiesa”.
P. Cantalamessa introduce quindi il tema del “battesimo nello Spirito” di Rns. “Si tratta di un rito che non ha nulla di esoterico – precisa -, ma è fatto piuttosto di gesti di grande semplicità, calma e gioia, accompagnati da atteggiamenti di umiltà, di pentimento, di disponibilità a diventare bambini, che è la condizione per entrare nel Regno”.
Sottolinea che l’interessato vi si prepara con incontri di catechesi e con una buona confessione, e invita a riflettere tutti i cristiani a “pensarci bene prima di dire che non è fatto per noi, se il Signore ce ne mette in cuore il desiderio e ce ne offre l’occasione”.
“Non si tratta – conclude il predicatore – di aderire a uno piuttosto che ad altri movimenti in atto nella Chiesa. Non si tratta neppure, propriamente parlando, di un movimento, ma di una ‘corrente di grazia’ aperta a tutti, destinata a perdersi nella Chiesa come una scarica elettrica che si disperde nella massa, per poi scomparire, una volta assolto questo compito”.
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Cantalamessa: "Droga e successo rendono insicuri, solo l'ebbrezza spirituale dà stabilità"
Nella terza predica d’Avvento incentrata sulla via “che va dall’ebbrezza alla sobrietà”, il predicatore della Casa Pontificia parla anche del “battesimo nello Spirito”