Porre fine alle violenze in Sud Sudan, paese flagellato da un conflitto che sta alimentando una delle più gravi crisi umanitarie, prima che la già precaria situazione della popolazione continui a peggiorare. È l’appello lanciato da mons. Ivan Jurkovič, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra, durante la 26.ma Sessione Speciale del Consiglio dei diritti umani, incentrata sulla situazione nel Paese africano.
Nel suo intervento, riporta la Radio Vaticana, Jurkovič ha ringraziato a nome della Santa Sede i membri del Consiglio per la richiesta di una sessione speciale incentrata sul Sud Sudan, visto che la maggiore intensità della violenza – in uno scenario in cui le norme del diritto internazionale e del diritto umanitario sono state quasi del tutto ignorate – sta contribuendo al peggioramento della già precaria situazione della nazione.
Le conseguenze di questo conflitto – ha ricordato infatti l’arcivescovo – si possono chiaramente vedere nella sofferenza della popolazione del Sud Sudan. Circa 2 milioni e 300 mila persone, in maggioranza donne e bambini, continuano a vivere il dramma di essere sfollate dalle loro case; almeno 600 mila persone – il 70% sono minori non accompagnati – hanno cercato rifugio in Paesi vicini. Secondo le stime, poi, tra i 5 e i 7 milioni di sud sudanesi continuano ad affrontare gravi problemi legati alla scarsità di cibo.
Il conflitto ha provocato una delle più gravi situazioni umanitarie, ha affermato mons. Jurkovič. Tale crisi – ha aggiunto – deve essere affrontata immediatamente, qualsiasi soluzione deve essere presa in considerazione e, in particolare, devono essere presi in esame anche i motivi e le cause che alimentano il conflitto.
Pertanto la delegazione vaticana ha rinnovato l’appello di Papa Francesco per il Sud Sudan in con l’auspicio che le parti coinvolte e la comunità internazionale pongano fine elle violenze, al fine di garantire l’accesso agli aiuti umanitari, e che l’adoperarsi senza sosta per soluzioni pacifiche porti a far prevalere il bene comune sugli interessi particolari.
La necessità – ha concluso Jurkovič – è quella di promuovere “una cultura dell’incontro” che implica, prima di tutto, il rifiuto dell’egoismo e la capacità di vedere l’altro non come un nemico, ma come un fratello.
Nel suo intervento, riporta la Radio Vaticana, Jurkovič ha ringraziato a nome della Santa Sede i membri del Consiglio per la richiesta di una sessione speciale incentrata sul Sud Sudan, visto che la maggiore intensità della violenza – in uno scenario in cui le norme del diritto internazionale e del diritto umanitario sono state quasi del tutto ignorate – sta contribuendo al peggioramento della già precaria situazione della nazione.
Le conseguenze di questo conflitto – ha ricordato infatti l’arcivescovo – si possono chiaramente vedere nella sofferenza della popolazione del Sud Sudan. Circa 2 milioni e 300 mila persone, in maggioranza donne e bambini, continuano a vivere il dramma di essere sfollate dalle loro case; almeno 600 mila persone – il 70% sono minori non accompagnati – hanno cercato rifugio in Paesi vicini. Secondo le stime, poi, tra i 5 e i 7 milioni di sud sudanesi continuano ad affrontare gravi problemi legati alla scarsità di cibo.
Il conflitto ha provocato una delle più gravi situazioni umanitarie, ha affermato mons. Jurkovič. Tale crisi – ha aggiunto – deve essere affrontata immediatamente, qualsiasi soluzione deve essere presa in considerazione e, in particolare, devono essere presi in esame anche i motivi e le cause che alimentano il conflitto.
Pertanto la delegazione vaticana ha rinnovato l’appello di Papa Francesco per il Sud Sudan in con l’auspicio che le parti coinvolte e la comunità internazionale pongano fine elle violenze, al fine di garantire l’accesso agli aiuti umanitari, e che l’adoperarsi senza sosta per soluzioni pacifiche porti a far prevalere il bene comune sugli interessi particolari.
La necessità – ha concluso Jurkovič – è quella di promuovere “una cultura dell’incontro” che implica, prima di tutto, il rifiuto dell’egoismo e la capacità di vedere l’altro non come un nemico, ma come un fratello.