Ex carcere di Procida

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Il carceriere carcerato

Non perdonare, non amare fa entrare nella prigione più tetra

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Ampelio era sempre stato amante della libertà. Lo si sentiva spesso citare, in tono declamatorio, un verso della Divina Commedia: “Libertà vo’ cercando ch’è si cara”. E aggiungeva a chiunque gli stesse accanto: “Eh, sì; la libertà è impagabile perché è il più grande dono che Dio ci ha fatto”.
Chi sa come, chi sa perché, Ampelio si lasciò corrompere da falsi amici… Per loro la libertà consisteva nell’ammucchiare miliardi… La strada maestra era lastricata di scippi, rapine in banca, sequestri di persona.
Era entrato – mi raccontava – nel clan con una sorta di “vestizione”: giurando fedeltà fino alla morte; qualsiasi missione gli avesse affidato il capo. Sicuri di avere a che fare con un “uomo di parola”, gli affidarono proprio la custodia dei rapiti.
Parola data, fedelmente eseguita. Tutti i giorni, notte e giorno, accanto al sequestrato. Nelle tane più insalubri e più buie, nei tuguri più nascosti e malsani. Esposto al freddo, al caldo…e soprattutto nella continua paura di essere scoperto. Custode d’un prigioniero, non poteva non vivere prigioniero anche lui.
Il cuore di Ampelio non rimaneva insensibile ai lamenti, alle suppliche, ai pianti disperati dei suoi “assistiti” che notte e giorno imploravano la libertà.Si sentiva ancor più sequestrato dei suoi sorvegliati. E perché allora rincorrere quella strana libertà che si chiamava “cento, duecento, trecento miliardi”?  E a quale prezzo!!!
Una notte non ce la fece più. Non sopportò più di vivere da “carceriere carcerato”, detenuto con i suoi detenuti. Se io lo libero – pensò – vivo libero anch’io; la libertà che gli dono è la mia libertà. Libertà vera, che non può essere mai ripagata da tutti i miliardi sognati.
Vinse in lui il buon senso, da tempo soffocato. Nel momento più propizio della notte, rivelò, o meglio confessò all’amico carcerato tutto il suo dramma e il suo nuovo proposito: non più carceriere carcerato; ma libero perché donatore di libertà. Uscendo da quel tugurio si sono liberati a vicenda.
Anch’io divento carceriere, tutte le volte che metto in prigione il mio prossimo. Ciò avviene quando lo giudico e lo condanno; quando sogno – strana libertà – di fargli pagare i torti, veri o presunti; quando propongo di non dargliela mai vinta, di voler aver sempre e comunque ragione.
Non perdonare, non amare ti fa entrare nel carcere più tetro.
Ma appena perdono e amo come Dio perdona e ama me, mi ritrovo a godere, assieme al mio prossimo, quella vera, impagabile libertà che è il più grande dono di Dio.
Ciao da padre Andrea
***
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Andrea Panont

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