Padre James Martin (Youtube)

Tv2000: parla James Martin, il gesuita consulente del nuovo film di Scorsese "Silence"

Domani 11 dicembre a Soul in onda alle 12.20 e alle 20.30, Monica Mondo intervista il padre gesuita e scrittore più letto in America.

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È lo scrittore americano più letto in America. Spopola su Fox news e NBC, sul New York Times e sul Time.  Scrive libri di spiritualità. È il gesuita padre James Martin, anche consulente principe del nuovo film di Martin Scorsese Silence, dedicato alla missione di tre gesuiti nel Giappone del ‘600. Domani, domenica 11 dicembre, TV2000 trasmetterà l’intervista concessa a Monica Mondo per il programma di Soul, in onda alle 12.20 e alle 20.30. Ne anticipiamo alcuni passaggi:
È passato dagli studi di Business a un lavoro a manager alla General Electrics, agli studi di teologia
Ho ancora amici che lavorano alla General Electric dove lavoravo, il business sarà una vocazione per tante persone, ma non per me. C’è un detto in America “I was a square peg in a round hole” che si può tradurre così “Chi nasce quadrato non muore tondo”… Ho impiegato tempo per capirle cosa davvero volessi fare nella vita. Una sera torna a casa,  era stata una giornata molto faticosa, e accende  la TV: c’era un documentario su Thomas Merton. Scrittore, monaco. Non avevo idea di chi fosse, ma ascoltando la sua storia, la sua entrata in monastero e vedendo l’immagine e la bellezza del monastero, vidi il contrasto forte con la mia vita: era così chiusa e infelice, non ne capivo lo scopo, mentre lui sembrava avere uno scopo nella vita. Non sapevo niente né di trappisti o gesuiti né di ordini religiosi, ma guardando il suo volto mi sono detto che volevo avere quello che lui ha.
Uno dei suoi titoli di successo è “Searching for God at Ground Zero. Cercare Dio a Ground Zero”. Sembra una provocazione…
Stavo lavorando a New York l’11 settembre e nel giro di pochi giorni sono finito lì a Ground Zero per fare il mio ministero coi lavoratori coinvolti. Molti hanno vissuto questa esperienza come una cosa molto negativa, invece io l’ho vissuta con la presenza dello Spirito Santo, è diventato un luogo di unità e pace, in un certo senso era come il Golgota, con una crocifissione e poi una nuova vita che rinasce.
Un altro suo titolo è La mia vita con i santi. Chi sono? Sono nostri compagni di strada o stanno tra le nuvole?
Essere Santi vuol dire essere sé stessi. Dio ci ha creato come individui unici: io e te possiamo essere santi, ma in modo diverso. Basta guardare a Teresa di Lisieux, Giovanni XXXIII o san Pietro, tutti diversi ma santi a proprio modo. Oppure guardiamo ai Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, due persone sante  davanti alla stessa scelta: erano malati e dovevano abbandonare il pontificato. Il primo ha scelto di rimanere fino alla fine perché non poteva rinunciare alla sua paternità, mentre Benedetto ha scelto di rinunciare perché non riusciva a portare avanti il suo compito. Due risposte diverse, ma sempre sante.  Madre Teresa quando le persone le venivano a dire che volevano essere come lei, rispondeva che ciascuno doveva trovare la sua “Calcutta” dove diventare santi ed essere sé stessi. L’eroico deve diventare quotidiano.
Dicono che lei sia spiritoso e ami molto le barzellette. Dio è ironico?
Dio ha senso dell’umorismo, lo spiego nel libro “Tra paradiso e Gioia” (Between Heaven and Mirth). Gesù raccontava storie e parabole che divertivano le persone. Quello che è successo è che il Vangelo si è concentrato su una sola settimana di vita di Gesù che è la passione, ma dimentichiamo che lui era l’uomo della Gioia. La passione e la sofferenza sono cose importanti, ma ci siamo dimenticati dell’altra parte della sua vita in cui recuperare questa dimensione gioiosa. E non dimentichiamo i santi, ispirati da Dio, che hanno sempre usato il divertimento e il sorriso per parlare alla gente.
Nell’indifferenza di un Occidente che provoca le guerre e poi si dimentica die popoli,  Silence” di Martin Scorsese è un atto di coraggio. Riprendere un libro celebre del grande scrittore cattolico Shūsaku Endō è un segno di contraddizione, uno scandalo. Scorsese ha letto questo libro nel 1989 e ne è rimasto profondamente colpito. Il cuore del romanzo è   la domanda è quale sia la cosa giusta da fare nella vita. E’ la mia domanda, la nostra domanda e la sua, quella di un uomo da sempre interrogato sulla fede.
Ci sono voluti trent’anni per fare questo film, tanto che aveva pensato ad attori protagonisti diversi, da Daniel Day Lewis, a Benicio del Toro, a Johnny Deep e tutti questi sono invecchiati troppo…E’ il suo film capolavoro perché è fede profonda e non falsa spiritualità.   Mi ha invitato a guardare le sceneggiature e ad aiutarlo e nella scelta degli attori, e gli attori che hanno lavorato a quest’opera han detto poi che per sei mesi hanno fatto gli esercizi spirituali….
La materia di cui tratta il film è storia. Ci sono testimonianze scritte dei missionari gesuiti che la tramandano fino a noi?
Ci sono lettere dei Gesuiti che descrivono quello che è successo, erano portoghesi che scrivevano ai loro superiori. La storia infatti tratta di un gesuita che andando in Giappone ha dovuto rinunciare alla sua fede e un suo confratello lo va a cercare per capire, per riportarlo in seno alla Chiesa. C’è un conflitto interiore, una domanda, non è semplice cronaca.
Un film su persecuzioni antiche che rimanda a quelle odierne, così trascurate.
In effetti non so perché i media non ne parlano. Si parla di guerre e persone uccise, ma non perché sono cristiane. Negli Stati Uniti il film Silence viene visto come un film sulla scelta spirituale di un individuo. È presente il messaggio delle persecuzioni ma solo come sottofondo, come approfondimento, ma purtroppo In America c’è molta indifferenza sulla questione delle persecuzione dei cristiani.  C’è una totale  ignoranza delle cose spirituali, i media non capiscono come definirle e sono più interessati alle vicende politiche o sportive o al gossip. Temi come le persecuzioni cristiane mettono a disagio, e la secolarizzazione minimizza questo tipo di eventi. Eppure, anche di fronte al male più grande, in un tempo in cui è difficile portare avanti la speranza, non sarei un gesuita se non credessi nella Resurrezione. Se anche abbiamo un crocifisso appeso sulla nostra parete, il suo messaggio non è un Dio morto, ma risorto.

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ZENIT Staff

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