Un Anno Santo vissuto a contatto con gli “ultimi”, cui da sempre dedica gran parte del suo ministero pastorale. Per monsignor GianCarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano, il Giubileo della Misericordia è stato, da un lato, una novità assoluta, con l’apertura di ben dodici porte sante su tutto il territorio diocesano; dall’altro è stata l’occasione per rinnovare la certezza in una verità antichissima e sempre attuale: Dio Padre fa sorgere gratis il sole sui buoni e sui cattivi, oltre ogni reale merito.
A due settimane dalla chiusura dell’ultima Porta Santa a San Pietro, con il consueto stile diretto, caloroso e senza peli sulla lingua, monsignor Bregantini ha tratto un bilancio del Giubileo in un’intervista esclusiva con ZENIT, soffermandosi su vari episodi, anche toccanti, che testimoniano come la grazia di Dio si sia posata sulle vite di molti fedeli.
Eccellenza, c’è una parola chiave che, a suo avviso, si può attribuire al Giubileo appena concluso?
“In questo Giubileo, lasciamoci sorprendere da Dio”. Questo era il mandato di papa Francesco, al termine della Lettera di indizione, la Misericordiae Vultus. Sorprendere: mi piace questo verbo. Perché è lo stile stesso di papa Francesco, che d’improvviso piomba in qualche casa di riposo o in qualche comunità terapeutica. Sorprendente. Inedito. Nuovo. Così è stato un po’ anche quest’Anno Giubilare. Per tutti, credo, perché diverso da quello, più solenne ed organizzato, del 2000.
Cosa ha significato per lei questa dimensione “locale” del Giubileo, con tante Porte Sante in ogni diocesi del mondo?
È stata una dimensione vicina, umile, fraterna. Ha posto a me mille domande. Più vere, più e concrete. Ogni porta ne era l’espressione. Ogni luogo mi parlava di questo stile: accoglienza o rifiuto? Porta aperta o chiusa?
Ecco, perché sono rimasto malissimo, qualche sera fa, mentre prendevo una camomilla, in uno dei Bar all’aperto, posti lungo l’immensa stazione Termini, a Roma. Stava chiudendo. E vidi che tanti panini, ben confezionati, attraenti per la forma, il cameriere di turno li gettava nel sacco delle immondizie. Osai chiedere se fosse la prassi. Con gentilezza ed uguale rammarico, quel giovane mi rispose che purtroppo, quella scena di spreco, accadeva ogni sera. Proprio a Termini, dove la povertà regna ben visibile. Anche se, ora, con i gate ben vigilati, anche i poveri li vogliono cacciare. Perché non diano fastidio. Così il panino farcito si potrà gettare nei rifiuti, con una coscienza più tranquilla.
Con quale spirito, lei ha vissuto l’Anno Santo?
Giubileo, per me, è stato proprio questo continuo scrutare segni e gesti. Attorno a me e nel mio stesso cuore! “Sorprendenti”, perciò, sono le amarezze. Come quando ci siamo sentiti respingere la richiesta di asilo per un detenuto, purificato da sei anni di carcere, di origini marocchine, che si era ben inserito nella società. Aveva un lavoro. Un mestiere. Una casa. La nostra garanzia di Diocesi. Ma per un cavillo, eccolo ancora clandestino! Così compie un reato lui, che qui non può stare. E cade in penale anche chi lo accoglie! Incredibile durezza.
Giubileo, perciò, è un continuo esame di coscienza. Sia personale che istituzionale. Per tutti. E non posso non ricordare alcune delle ben dodici porte che abbiamo aperto in diocesi. Forse abbiamo esagerato nel numero. Ma è stato una catena. Come le ciliege. Perché una porta aperta ne creava un’altra. Altrettanto eloquente. Ad esempio, all’Ospedale civile di Campobasso, sono stato palesemente contestato. Con toni di forte ironia. Robe da Sessantotto! Che non provavo da tempo. Motivo? Perché sosteniamo la collaborazione dialettica ma armoniosa tra i due ospedali della città: la Cattolica e il Cardarelli (civile). Sono a pochi passi. Ovvio, e sostenere questa strada di minor spese, per una qualità clinica più elevata. Ma gli interessi privati di alcuni hanno fatto suscitare un polverone. Così, io, che ho spesso partecipato a cortei di protesta, in fabbrica e fuori, mi trovai bersagliato. Non nascondo, che quella porta santa aperta all’Ospedale civile mi fu molto amara. Dura aprirla. Avrei voluto lasciarla sbarrata. Ma poi, compresi che questo è proprio lo stile del Padre: “Misericordes sicut Pater”! E mi divenne la porta più luminosa. Perché guardava lontano. Era intessuta di radicale gratuità. Era veramente giubilare!
C’è qualche altro episodio che avrebbe il piacere di raccontarci?
Carica di passione fu anche la porta di una grande azienda nel Matese, a Bojano: la GAM. Era chiusa da tempo, per una crisi aziendale. Ma il comparto dell’allevamento del pollo restava attivo. La crisi era solo per il macello, dovuta alla gestione clientelare. La crisi economica ne aveva amaramente smascherato i meccanismi iniqui. Decisi di far lì, in quel luogo, il Giubileo del Mondo del Lavoro. Mille difficoltà. Soprattutto tanta ironia, anche dai parroci del posto. Ma fu una giornata bellissima, dai colori mai visti per limpidezza e vivacità. L’immenso cancello non voleva aprirsi. Un freno elettrico lo bloccava. E ci mettemmo in tanti, a spingere. Ed il cancello, miracolosamente, iniziò a scorrere. Intensa la preghiera. Entrare dalla porta secondaria sarebbe apparso una sconfitta! Fu una Messa indimenticabile. Perché baciati dal tramonto (la vigilia del 1° maggio), cioè da Dio stesso, che, come Padre, provvede il pane quotidiano. Poche settimane dopo, un acuto imprenditore si fece avanti, pronto a rilevare l’intero comparto. E tra breve, anche quella porta aziendale si riaprirà, tra la gioia di tutti. Sorprendente!
Come a Faifoli, luogo di formazione di papa Celestino, nel 1230. Qui si forgiò colui che da papa, nel 1294, inaspettatamente, porrà le condizioni per il Grande Giubileo del 1300. Non più per denaro. Ma per fede. Con lo stile della penitenza. Quando abbiamo aperto la porta santa di quella bella chiesa medioevale, che lui aveva reso più nobile, su un poggio di meraviglia, abbiamo sentito il cuore di quel papa che batteva di misericordia. Quella porta era, in un certo senso, la “prima porta santa” della storia. Vibrava di emozione anche il piccolo Eremo carmelitano, posto accanto. Da papa Celestino prende il nome, altamente significativo: “Crux Ignis”, cioè “Croce di fuoco!”. Intestato così allo Spirito Santo, perché inondi di zelo tutta la Chiesa Italiana.
Sono solo frammenti di un anno “sorprendente”! Come la mia partecipazione al Family Day il 30 gennaio. Sorprendente, vedere accanto un bimbetto di soli otto giorni. Nel freddo di gennaio, quel batuffolo di carne era il segno giubilare più vivace. Spezzare le porte di bronzo dell’egoismo! Aprirle invece alla vita! Fermare certe leggi inique. Per aprire nuovi orizzonti di fertilità, che rendono le nostre piazze brulicanti di giochi!
Qual è il tesoro più grande che, come fedele e come vescovo, lei ha messo in cassaforte a conclusione di questo Giubileo?
L’anno lo chiudo, guardando ancor più, a quel sole che Dio Padre fa sorgere gratis sui malvagi e sui buoni. Oltre il merito. Come la pioggia, che cade anche sul campo di chi non va in chiesa. Così “noi siamo invidiosi!”. Perché il Padre nostro è invece “buono”! E quando celebro, sento che ad ammettermi a compiere il servizio sacerdotale è un Padre che ha condonato a me non 50 ma ben 500 monete d’oro. Perciò, come diceva papa Giovanni: “anche la Chiesa, Sposa di Cristo, preferisce usare la medicina della misericordia, invece di abbracciare le armi del rigore!”.
Foto: Arcidiocesi Campobasso-Bojano
Mons. Bregantini: “È stato l’Anno Santo delle sorprese”
L’arcivescovo di Campobasso-Bojano trae un bilancio di un Giubileo della Misericordia non privo di piccoli ‘miracoli’ per la sua diocesi