Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, vincitori del Premio Sacharov per la libertà di pensiero 2016 - Foto: Parlamento Europeo

Premio Sakharov a due donne "schiave" dell'Isis

Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar hanno ottenuto il riconoscimento del Parlamento Ue: “Con le violenze subite sulla loro pelle sono un incoraggiamento a non aver paura”

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Si chiamano Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar le vincitrici del Premio  Sakharov alla libertà di pensiero concesso annualmente dal 1988 dal Parlamento europeo.
Le due irachene, di etnica yazida, rappresentano il simbolo della resistenza alla barbarie dell’Isis. “Con le violenze subite sulla loro pelle sono un incoraggiamento ed un simbolo per noi a non aver paura”, ha detto Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento.
“Sono state testimoni di atrocità senza precedenti” e quindi, ha proseguito Schulz, “si sono messe in un lungo cammino per ricevere la protezione dell’Europa e ora noi siamo obbligati a sostenerle per garantire che la loro testimonianza eviti l’impunità”. Schulz ha sottolineato anche che la scelta è “molto simbolica” come “appoggio ai sopravvissuti dalla guerra, ai rifugiati”. Secondo il socialdemocratico tedesco le due ragazze sono anche “la voce forte di tutti quelli che sono ancora là e soffrono nel terrore di Daesh, contro cui dobbiamo mobilizzare tutti i nostri mezzi”.
La dura esperienza di Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar inizia a Kocho, il loro villaggio natale, il 3 agosto 2014. Occupato dai miliziani dell’Isis, che hanno massacrato tutti gli uomini lì residenti. Dopo l’eccidio, le donne e i bambini sono stati ridotti in schiavitù: tutte le giovani donne, tra cui Aji Bashar, Murad e le loro sorelle sono state rapite, comprate e vendute diverse volte e sfruttate come schiave sessuali.
Nel novembre 2014 Murad è riuscita a fuggire, recandosi prima in un campo profughi nell’Iraq settentrionale e poi in Germania. Un anno dopo, nel dicembre 2015, Murad ha preso la parola dinanzi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel corso della prima sessione in assoluto dedicata alla tratta di esseri umani, pronunciando un forte discorso sulla sua esperienza.
Risale invece all’aprile scorso la fuga di Aji Bashar. Mentre tentava di raggiungere il territorio controllato dal Governo iracheno e inseguita dai miliziani dell’Isis, una mina terrestre è esplosa uccidendo due suoi conoscenti e lasciandola ferita e quasi cieca. Riuscita però a scappare, è stata trasferita in Germania, dove ha potuto ricevere cure mediche.
Gli altri due concorrenti in lizza per vincere il Premio erano il giornalista turco Can Dundar e il leader tataro Mustafa Dzhemilev.

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ZENIT Staff

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