Odio, terrore, paura, violenza cieca: è un “fiume in piena” quello che travolge il mondo moderno. Tuttavia esso non può nulla contro quell’“oceano di misericordia” che inonda l’umanità, alimentato dal bene che tanti cristiani, sacerdoti o laici, compiono quotidianamente “senza fare notizia”.
Sono frammenti di speranza quelli che Papa Francesco offre nella prefazione al libro Non aver paura di perdonare scritto dal caro amico padre Luis Dri, 90enne confessore a Buenos Aires, ovvero il sacerdote che ‘insegnò’ a Bergoglio a non limitarsi nel “perdonare troppo”, perché “è stato Dio a darci per primo il cattivo esempio”.
Introducendo il volume – realizzato con la collaborazione di Andrea Tornielli e Alver Metalli, pubblicato da Rai-Eri e in libreria da domani – Papa Francesco torna quindi sul tema a lui caro della misericordia, rivisto anche in un’ottica sociale. “Se è vero che viviamo tempi difficili, quella che ho più volte definito una ‘guerra mondiale a pezzi’, se è vero che viviamo in tempi di terrore e di paura, per la violenza cieca che ci appare priva di qualsiasi umanità, è vero anche che gli esempi positivi, grazie a Dio, non mancano”, scrive il Santo Padre nel prologo, riportato quasi integralmente sul sito Terre d’America. “Ogni segno di amicizia, ogni barriera scalfita, ogni mano tesa, ogni riconciliazione, anche se non fa notizia, è destinata a operare nel tessuto sociale, sia esso quello delle nostre famiglie, dei nostri quartieri, delle nostre città, delle nostre nazioni, dei rapporti tra gli Stati”.
“Il fiume in piena dell’odio e della violenza, non dimentichiamolo mai per favore, nulla può contro l’oceano di misericordia che inonda il nostro mondo”, afferma il Papa. Ed esorta: “Immergiamoci in questo oceano, lasciamoci rigenerare. Permettiamo a Dio di agire in noi, chiediamogli vincere la nostra indifferenza e di diventare capaci, a nostra volta, di compassione, condivisione, solidarietà e anche lacrime, per mettere la nostra guancia sulla guancia di chi soffre nel corpo e nello spirito”.
“L’unica forza capace di conquistare il cuore delle persone” è infatti “la tenerezza di Dio”, sottolinea il Pontefice. “Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene, ciò che libera, non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, ma la debolezza onnipotente dell’amore divino, è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia”.
Una misericordia che il Vescovo di Roma paragona all’immagine del grembo femminile che ricrea. È ciò che diventa infatti il confessionale quando ci troviamo “abbracciati”, “di fronte alla presenza di Dio Misericordioso che si fa vicino a te attraverso il sacerdote”. Quella piccola cabina diventa “una casa per noi, poveri peccatori, che ci sentiamo orfani e diseredati”.
E peccatore è anche il confessore: così deve sentirsi per svolgere bene il suo ministero. “Diventare dei buoni confessori non è l’esito di un corso professionale”, afferma Papa Francesco, “per essere buoni confessori dobbiamo innanzitutto riconoscerci noi per primi peccatori, e chiedere noi per primi di essere accolti, rialzati, perdonati, inondati di misericordia. Essere noi per primi capaci di piangere, per i nostri peccati e anche per i peccati di chi si confessa”.
È questa è la chiave del ‘successo’ di padre Dri, che dedica giornate intere a confessare i fedeli da 60 anni a questa parte. Il frate – quarto di 10 fratelli di una famiglia della provincia argentina che hanno abbracciato tutti la vita consacrata – una volta si sentì domandare dall’arcivescovo Bergoglio cosa facesse quando, uscendo dal confessionale, “avvertiva lo scrupolo di aver perdonato troppo”.
Il frate spiegò che era solito andare di fronte al Tabernacolo e, di fronte al Santissimo Sacramento, chiedeva perdono per aver troppo perdonato, e concludeva rivolgendosi così a Gesù: ‘Ma sei stato Tu che mi hai dato il cattivo esempio!’”. “Mi avevano colpito queste sue parole – ammette il Papa – e per questo non ho mai smesso di raccontarle, perché ci parlano di un atteggiamento quanto mai necessario oggi”.
L’atteggiamento, cioè, del padre nella parabola del Figliol Prodigo che attende il figlio “con le braccia aperte” e lo raccoglie, senza lasciarlo quasi parlare, restituendogli “la piena dignità di figlio”. Oppure l’atteggiamento di San Leopoldo Mandic, illustre Santo modello di ogni confessore, che pochi giorni prima di morire disse: “Sono più di 50 anni che confesso, e non mi rimorde la coscienza per tutte le volte che ho dato l’assoluzione, ma sento pena per le tre o quattro volte che non ho potuto darla. Può darsi che non abbia fatto tutto il possibile per suscitare nei penitenti la disposizione opportuna”.
“Teniamo davanti ai nostri occhi queste luminose testimonianze di Santi” esorta Bergoglio, “ma anche le testimonianze di tanti buoni preti e religiosi, che quotidianamente, nel nascondimento, aprono le porte delle chiese e dei confessionali, accolgono, ascoltano, sollevano la mano benedicente dispensando misericordia e perdono all’umanità ferita del nostro tempo”.
“Il penitente che bussa alla porta dei nostri confessionali può essere arrivato di fronte all’abbraccio misericordioso di Dio per innumerevoli cammini”, aggiunge il Pontefice. “Può essere un fedele che si accosta abitualmente al sacramento della riconciliazione, oppure qualcuno che vi arriva spinto da qualche circostanza eccezionale. Può essere entrato casualmente in chiesa – ma nei piani di Dio Padre nulla è casuale – oppure quel gesto può essere la tappa finale di un percorso molto sofferto”.
In ogni caso, qualunque sia stata la spinta, “quando una donna, un uomo, un giovane o una persona anziana si accostano al confessionale – raccomanda il Papa – bisogna far percepire loro l’abbraccio misericordioso del nostro Dio. Un Dio che ci precede, ci aspetta, ci accoglie”.