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Gender, rifugiati, scristianizzazione: quattro chiacchiere del Papa con i vescovi della Polonia

Il colloquio integrale del Papa coi presuli polacchi, durante l’incontro “a porte chiuse” nella Cattedrale dei Santi Stanislao e Venceslao

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Un “incontro cordiale e fraterno” come un “Padre con i propri figli”. Così i vertici della Chiesa polacca definivano nei giorni scorsi l’incontro a porte chiuse del Papa con i vescovi della Polonia, avvenuto nel primo giorno di viaggio nella Cattedrale dei Santi Stanislao e Venceslao. Alcune malelingue affermavano, tuttavia, che fossero volate scintille tra il Pontefice e un episcopato che si era già distinto durante i due Sinodi per la dura posizione su temi dottrinali e pastorali. Tant’è che certa stampa locale titolava che il Papa fosse venuto a “rinfacciare” qualcosa ai vescovi polacchi.

La trascrizione integrale del dialogo in cattedrale – pubblicata oggi dalla Sala Stampa vaticana – smentisce però in toto questa versione, mostrando invece uno scambio libero e sereno tra Francesco e i presuli, com’era volontà dello stesso Pontefice che per questo non aveva voluto telecamere presenti. Nel dialogo, composto da quattro domande e quattro lunghissime risposte del Santo Padre (“Scusate, ho parlato troppo ma il mio sangue italiano mi tradisce”), tornano i temi più cari a Bergoglio: la Chiesa in uscita, il ponte tra giovani e anziani, l’accoglienza dei rifugiati, l’applicazione concreta della misericordia.

Liberamente il Papa – che prima di rispondere ai quesiti ha chiesto una preghiera per i cardinali Zimowski e Macharski, entrambi defunti – ha affrontato la questione del gender. “In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste – lo dico chiaramente con ‘nome e cognome’ – è il gender”, ha detto. “Oggi ai bambini a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile”.

Della questione Bergoglio ha confessato di averne parlato anche con Benedetto XVI, il quale ha esclamato:  “Questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. È vero, ha confermato Francesco, “Dio ha creato l’uomo e la donna e noi stiamo facendo il contrario. Dio ci ha dato uno stato ‘incolto’, perché noi lo facessimo diventare cultura, e poi, con questa cultura, facciamo cose che ci riportano allo stato incolto”.

Con la stessa lucidità il Pontefice ha risposto ad una domanda dell’arcivescovo di Łódź circa la scristianizzazione dell’Europa, specie quella occidentale succube di “una cultura contemporanea ateo-liberale”.  “La scristianizzazione, la secolarizzazione del mondo moderno è molto forte” ha osservato il Papa, stigmatizzando anche il pericolo della “spiritualizzazione gnostica”, quella “spiritualità soggettiva” che porta a “togliere Cristo”. “Io prego, sento… e niente più. Questo è gnosticismo” ha sottolineato Francesco. Il risultato è “una Chiesa orfana”.   

Per contrastare tale deriva, bisogna “essere vicini al popolo di Dio”. Tutti quanti: vescovi, sacerdoti, consacrati, laici. “Senza vicinanza c’è soltanto parola senza carne” ha affermato il Vescovo di Roma, incoraggiando a “toccare la carne sofferente di Cristo” alla stregua di “tanti uomini e donne che hanno lasciato tutto e passato la vita negli ospedali, nelle scuole, con i bambini, con i malati”. Questi, insieme ai martiri, sono “la gloria della Chiesa” ha rimarcato il Papa, ricordandola testimonianza di una suora di 83/84 anni, da 23 ostetrica in Centrafrica che ha fatto nascere circa 2mila bambini e che ogni giorno prendeva la canoa per attraversare il fiume e comprare medicinali e alimentai.

Parlando di vicinanza, Bergoglio ne raccomanda una in particolare vescovi: la vicinanza con i sacerdoti. “Il vescovo deve essere disponibile per i suoi sacerdoti” ha affermato, altrimenti essi possono sentirsi “senza padre” e cominciare “ad andare giù”. “Un vescovo che vede nel foglio delle chiamate, alla sera, quando torna, la chiamata di un sacerdote, o quella stessa sera o il giorno dopo deve chiamarlo subito. ‘Sì, sono impegnato, ma è urgente?’. ‘No, no, ma mettiamoci d’accordo’. Che il sacerdote senta che ha un padre”, ha raccomandato il Papa. “Se noi togliamo ai sacerdoti la paternità, non possiamo chiedere a loro che siano padri. E così il senso della paternità di Dio si allontana”.

La stessa vicinanza serve anche per i giovani, seppur “noiosi” perché “vengono sempre a dire le stesse cose: ‘Io la penso così, la Chiesa dovrebbe ecc’”. “Ci vuole pazienza con i giovani” ha rimarcato il Papa, come Giovanni Paolo II che con gli universitari “faceva scuola, ma poi andava con loro in montagna, li ascoltava, stava con loro…”. Oltre ai giovani non bisogna dimenticare i nonni, i quali “hanno la memoria di un popolo, hanno la memoria della fede, la memoria della Chiesa. Non scartare i nonni! In questa cultura dello scarto, che è appunto scristianizzata, si scarta quello che non serve, che non va. No!”. Anzi si devono “collegare” giovani e nonni e creare vicinanza. “Non ci sono ricette – ha sottolineato il Pontefice – ma dobbiamo scendere in campo”, non aspettare “che suoni la chiamata o che bussino alla porta”.

Dunque un invito ad applicare concretamente la misericordia. Proprio su questo tema si concentrava la domanda dell’arcivescovo di Gdańsk. “Questa della misericordia non è una cosa che è venuta in mente a me” ha risposto Francesco, è “un processo” che da anni va avanti nella Chiesa rinvigorito da Giovanni Paolo II che è stato “il gigante della misericordia”. Evidentemente ora bisognava “risvegliare nella Chiesa questo atteggiamento di misericordia tra i fedeli”, in un mondo che si presenta come “malato di ingiustizia, di mancanza di amore, di corruzione”.

Un mondo in cui – ha ribadito il Papa – si combatte una “terza guerra mondiale a pezzi” a causa di ideologie e corruzioni. Madre di tutte queste è “l’idolatria del denaro”: “L’uomo e la donna non sono più al culmine della creazione, lì è posto l’idolo denaro, e tutto si compra e si vende per denaro”. “Si uccide” anche per il denaro, “si sfrutta la gente” per il denaro, e anche il Creato. E questo non fa altro che portare “più poveri, più corruzione”.

Il Papa ha parlato di una “economia liquida” che “favorisce la corruzione”, per cui “i giovani non hanno la cultura del lavoro, perché non hanno lavoro”, la terra è “morta” e il mondo “si riscalda” perché “dobbiamo guadagnare”. “Noi siamo caduti nell’idolatria del denaro” ha denunciato il Santo Padre. Per questo è bene ricordare “la testimonianza di tanti uomini e donne, laici, giovani che fanno opere”, come ad esempio in Italia il cooperativismo. È vero “ci sono alcuni che sono troppo furbi, ma sempre si fa del bene”.

Nel dialogo il Vescovo di Roma ha affrontato anche la problematica dell’“analfabetismo religioso”, per cui in alcuni santuari del mondo “si va a pregare” e poi nei negozi, accanto a coroncine e oggetti di pietà, si vendono oggetti di superstizione. “Quel relativismo confonde una cosa con l’altra e lì ci vuole la catechesi di vita” che, ha detto il Papa, va svolta “con la lingua della mente, del cuore e delle mani. Tutte e tre armonicamente”.

Di qui un focus sulle parrocchie, ispirato dalla domanda dell’ausiliare di Tarnów. “La parrocchia è sempre valida! È una struttura che non dobbiamo buttare dalla finestra”, ha sottolineato il Santo Padre. Il problema “è come imposto la parrocchia! Ci sono parrocchie con segretarie che sembrano ‘discepole di satana’, che spaventano la gente! Parrocchie con le porte chiuse. Ma ci sono anche parrocchie con le porte aperte, dove, quando viene qualcuno a domandare, si dice: ‘Sì, si accomodi’ e si ascolta con pazienza…”.

È vero “prendersi cura del Popolo di Dio è faticoso” e “portare avanti una parrocchia” lo è ancora di più “in questo mondo di oggi con tanti problemi”. Il Signore, però – ha rammentato il Successore di Pietro – “ha chiamato noi perché ci stanchiamo un pochino per lavorare e non per riposare. La parrocchia è stancante quando è ben impostata – ha aggiunto – Il rinnovamento della parrocchia è una delle cose che i vescovi devono avere sempre sotto gli occhi”.

In proposito, Bergoglio ha ricordato una parrocchia di Buenos Aires, nella quale i fidanzati arrivavano per dire di volersi sposare lì e la segretaria rispondeva: ‘Questi sono i prezzi’. “Questo non va”, ha detto il Papa. “La parrocchia è importante” ed è falso ciò che dice certa gente secondo cui “la parrocchia non va più, perché adesso è l’ora dei movimenti”. “Non è vero! I movimenti aiutano, ma i movimenti non devono essere un’alternativa alla parrocchia: devono aiutare nella parrocchia, portare avanti la parrocchia” che deve rimanere “un posto di creatività, riferimento, maternità”. Una “parrocchia in uscita”, dunque, non una “parrocchia-ufficio”.

L’ultima domanda è sull’angustiante problema dei rifugiati, mai come adesso così numerosi. Oggi c’è tanta migrazione “per mancanza di lavoro”, rileva Francesco. “Quelli che vengono da noi fuggono dalle guerre, dalla fame. Il problema è là, perché in quella terra c’è uno sfruttamento della gente, c’è uno sfruttamento della terra, c’è uno sfruttamento per guadagnare più soldi”.

E c’è la guerra: delle tribù, delle ideologie o “le guerre artificiali” preparate dai trafficanti di armi. “Davvero la corruzione è all’origine della migrazione”, denuncia il Papa. E chiede che i Paesi siano “generosi come cristiani”. È chiaro che “non si può dare una risposta universale, perché l’accoglienza dipende dalla situazione di ogni Paese e anche dalla cultura. Ma certo si possono fare tante cose”. A cominciare, ad esempio, dal “fare un’ora nelle parrocchie, un’ora a settimana, di adorazione e di preghiera per i migranti”, visto che “la preghiera muove le montagne”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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