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Robert Cheaib - flickr.com/theologhia

La bioetica non è una nuova morale

Don Antonio Stefano Modica illustra temi e ragioni di fondo del VII convegno internazionale di Bioetica “Pensare il corpo Abitare il corpo”, concluso a Noto

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Nei giorni scorsi si  è concluso a Noto il VII convegno internazionale di Bioetica, dal titolo “Pensare il corpo Abitare il corpo”. Per cercare di capire e approfondire i temi e le ragioni che hanno ispirato il convegno, ZENIT ha intervistato il direttore del Comitato Scientifico, don Antonio Stefano Modica. Direttore spirituale della Diocesi di Noto, il sacerdote ha svolto il suo cammino di formazione nel Seminario Vescovile di Noto dal 1994 al 2006. Ha concluso gli studi di Filosofia e Teologia e la Licenza in Teologia Morale presso lo Studio Teologico “San Paolo” di Catania, per poi conseguire il dottorato in Bioetica presso l’Ateneo Pontificio ‘Regina Apostolorum’ di Roma. Di seguito l’intervista.
***
Perché un convegno di bioetica a livello “diocesano”?
Innanzitutto l’origine del convegno risale ad un’esperienza che arriva a Noto con mons. Antonio Staglianò (l’attuale Vescovo). Quando egli era parroco a Le Castella (frazione di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone) aveva organizzato nell’arco di un decennio dei convegni di bioetica, però a livello parrocchiale. Arrivando a Noto, come Vescovo, ha voluto riproporre questa esperienza estendendola a livello diocesano e non più parrocchiale. Si presentò così l’esigenza di affidare a qualcuno l’ufficio di bioetica, ed io sono stato mandato a Roma, affinché mi specializzassi e conseguissi il dottorato proprio in bioetica, anche perché precedentemente avevo già conseguito la specialistica in morale.
Considerato che il convegno è diocesano, i relatori devono essere cattolici?
L’essere cattolico non è un criterio di scelta, in quanto l’intenzione è quella di organizzare un convegno che non metta a disagio il laico. Come si è potuto notare, quest’anno, c’è stato un solo prete come relatore (oltre, ovviamente, a Mons. Antonio Stagliano che è il nostro Vescovo). Abbiamo figure di professionisti nelle università, negli ospedali ecc. proprio per far capire che ciò che facciamo non ha una pertinenza “pastorale e spirituale” nell’accezione cristiana del termine, ma intende far incontrare quell’umano che tutti condividiamo, al di là della confessione religiosa.
Quale Università ha frequentato per formarsi in bioetica?
Io mi sono formato in bioetica a Roma. E precisamente presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Dovetti fare prima il biennio di Licenza e successivamente potei accedere al dottorato di ricerca. Quindi ho fatto un doppio lavoro – se così si può dire – che personalmente benedico! Perché ho compreso che l’impianto epistemologico di queste due scienze (la bioetica e la teologia morale) è totalmente differente. Mi permetto di dire, che la bioetica ha avuto, nei suoi albori, un cattivo servizio reso dai moralisti, i quali si sono autoproclamati “bioeticisti” presentandola come una nuova morale. Ecco, a tal proposito vorrei precisare che la bioetica non è una nuova morale! La bioetica ha uno statuto epistemologico proprio. Mentre l’impianto epistemologico della morale è diverso. In questo senso l’Ateneo romano, retto dai Legionari di Cristo, mi ha fornito le basi per un lavoro scientificamente bioetico. Pensa che io ho conseguito il dottorato, svolgendo una tesi sul trapianto ectopico di testicolo in relazione alla fertilità, e sinceramente, da moralista, tutto questo, per molti versi, non era pensabile. A me non è stato detto: “vuoi studiare bioetica?…” Ma: “devi studiare bioetica!” Per cui mi sono totalmente appropriato della materia, e sono rimasto affascinato da uno studio così vasto. Attualmente, nonostante io sia il Direttore scientifico del convegno, evito di intervenire nei campi che non mi appartengono, e benché sia un bioeticista, penso che non sia il caso di trattare tutte le tematiche bioetiche, ma ognuno di noi deve avere un proprio settore all’interno della specializzazione.
Ci sono iniziative che appoggiano il convegno?
Ricopro in diocesi anche il ruolo di Direttore dei consultori di ispirazione cristiana. Abbiamo due consultori, rispettivamente a Modica e Pachino. Il primo ha una storia trentennale, mentre il secondo è più giovane di un decennio. Questo mi ha permesso di avere, geograficamente, due importanti punti di osservazione. Il consultorio non è altro che un orecchio teso sul territorio. Di conseguenza, ti permette di ascoltare di cosa la gente ha veramente bisogno e quindi di dare delle risposte adatte. C’è un grande rischio nella nostra proposta culturale e pastorale… di dare risposte a domande non poste! Oggi la grande sfida è quella di accogliere una domanda e ad essa dare una risposta concreta. Io dopo sette anni di convegni organizzati a Noto, posso affermare che quello attuale, dal titolo “Pensare il corpo Abitare il corpo”, ha risposto di più ad una domanda che parte dal popolo. C’è stata una variegata partecipazione di persone, dagli studenti agli operatori nel settore educativo, dai clinici ai vari professionisti del settore dell’alimentazione. In fondo, proprio perché il convegno non nasce all’interno di un’accademia o dentro l’università, ma nasce all’interno di un cammino di chiesa, che noi facciamo, vuole soltanto solleticare delle sensibilità per dire: noi ci siamo come chiesa e accompagniamo tutte le problematiche che l’uomo di oggi vive.
Come vengono scelte le tematiche da trattare?
Le tematiche nascono proprio dal basso. Per esempio il convegno appena concluso nasce dall’ascolto di una supervisione che ho avuto in Consultorio. All’interno dello stesso, si lavora con la figura di un supervisore, per cui, tutti gli operatori si confrontano mensilmente sui casi affrontati, per avere poi una linea comune e per poter accompagnare il caso specifico con una certa obiettività. Ecco, in una di queste supervisioni furono portati due casi: uno di bulimia ed uno di anoressia. Quando ho sentito ciò, mi son detto: questo potrebbe essere un tema da sviluppare al prossimo convegno… attualmente ti posso anticipare che il tema per il prossimo anno non lo so, in quanto dobbiamo prima ascoltare quale esigenza si presenta nel territorio a cui vogliamo fornire delle risposte e poi sapremo la tematica. 
Consiglierebbe, in particolare oggi, di investire nella formazione in bioetica?
Questa domanda è stata centrale qualche anno fa, con un nostro seminarista, Daniele Lauretta. Allora io gli dissi, senza esitazione: tu devi studiare bioetica! Ed ovviamente gli indicai l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. Partiamo dal presupposto che personalmente credo molto nello studio e nella formazione. Oggi però mancano le strutture adatte che ti permettono di esercitare la professione di bioeticista. In particolare, fuori dalla logica delle aziende ospedaliere, dove di suo, dovrebbe esserci un consulente bioetico per tutti i casi… (oggi è un problema che negli ospedali ci sia un cappellano… immagina il bioeticista…). Credo che la bioetica debba ancora farsi strada, perché è un mondo molto più largo di quello che noi pensiamo quando parliamo di essa e delle tematiche che la originano e cioè “inizio e fine vita”. Pensa al discorso educativo alla fertilità, che andrebbe studiato ed a cui dovremmo saper dare delle risposte. Io, chiaramente, per quanto possibile, porto avanti la mia attività intellettuale, ma sono un sacerdote a contatto con la gente e con le loro ferite, e ti posso assicurare che molte coppie vivono oggi la fertilità come un dramma. E sono coppie che vanno accompagnate con “competenza” affinché si rivolgano poi a persone giuste.
 
 

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Domenico De Angelis

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