Pur essendo sempre stato una religione di minoranza, il cattolicesimo in Albania ha giocato sempre un ruolo significativo nella storia del paese, determinando un numero non trascurabile di testimoni della fede, a partire da Giorgio Castriota Scanderbeg, fino a Santa Teresa di Calcutta, recentemente canonizzata, e ai martiri del comunismo, in attesa di beatificazione il prossimo 5 novembre a Scutari.
Il tema è stato affrontato nel convegno tenutosi oggi alla Pontificia Università Urbaniana, in occasione dei 25 anni dell’avvio dei rapporti diplomatici tra Albania e Santa Sede, nel contesto del quale è stata anche inaugurata la mostra L’amore della santa del XXI secolo Madre Teresa, con opere del pittore Gjergj Kola e dello scultore Hevzi Nuhiu, tutte ispirate alla figura della fondatrice delle Missionarie della Carità.
Come spiegato da Visar Zhiti, incaricato d’affari dell’Albania presso la Santa Sede, il paese balcanico ha sempre ricevuto un’attenzione speciale, quasi privilegiata, da parte della Chiesa di Roma, anche durante i drammatici anni della dittatura comunista.
La propaganda che voleva fare dell’Albania il “primo paese ateo del mondo” era il “frutto di una menzogna dittatoriale”, poiché la fede del popolo è sempre rimasta viva, fino ad arrivare a questo Anno Santo, segnato da tre eventi di grandi rilievo: oltre alla canonizzazione e alla beatificazione menzionate, il prossimo 19 novembre, papa Francesco consegnerà la berretta cardinalizia a don Ernest Simoni, 88 anni, incarcerato durante il regime di Enver Hoxha. Di lui è ormai celebre l’immagine del commovente abbraccio con il pontefice argentino a Tirana, durante la visita pastorale a Tirana del 21 settembre 2014.
Secondo il rettore dell’Urbaniana, padre Alberto Trevisol, l’incontro odierno è una testimonianza dell’“empatia”, dell’“amicizia” e della “solidarietà” della Chiesa con il popolo albanese, che rivela come “la vicinanza sia un valore fondamentale non solo nelle relazioni diplomatiche” ma, più in generale, nelle relazioni umane cristianamente ispirate.
Questo legame tra Albania e Santa Sede, ha aggiunto il rettore, si iscrive nello spirito della Gaudium et Spes, per il quale, ha ricordato, “le gioie, i dolori, le angosce e le speranza degli uomini del nostro tempo, sono le stesse della Chiesa”.
Da parte sua padre Aldo Pashkja, vicepresidente del SIMI, ha spiegato come la stessa Università Urbaniana, essendo patrocinata da Propaganda Fidei, sia un ateneo dalla “vocazione missionaria” e l’Albania sia “terra di missione”.
La storia delle relazioni tra Albania e Stato Vaticano è stata presa in esame dal professor Ardian Ndreca, docente di storia di filosofia moderna all’Urbaniana, che ha menzionato varie figure storiche, tra cui, oltre al già citato Scanderbeg, il nunzio Paolo Angeli, che nel XV secolo divenne “cardinale in pectore per i numerosi servigi prestati nella sua attività diplomatica”.
Nemmeno i secoli della dominazione ottomana misero fine alle relazioni con la Chiesa di Roma, mantenute vive grazie alle “visite ad limina” e alle “visite pastorali”, mentre Propaganda Fidei divenne la principale fucina di vocazioni sacerdotali e missionarie per l’Albania. In quegli anni, peraltro, anche i musulmani mostravano grande rispetto per la minoranza cattolica.
La fine della dominazione turca e la conseguente indipendenza – per la quale, la Santa Sede mostrò interesse per la scelta del nuovo monarca, ricaduta poi su Guglielmo di Wied – favorì una notevole fioritura spirituale vocazionale, che fu solo minacciata ma non piegata dalla persecuzione comunista.
In modo ambiguo, Enver Hoxha ebbe “parole rassicuranti” sulla libertà religiosa nel paese, al punto che il nunzio apostolico si convinse a richiamare nel paese i seminaristi studenti in Roma, molti dei quali, però, furono incarcerati o addirittura uccisi. In quegli anni, il nome del Vaticano veniva regolarmente associato allo “spionaggio imperialista”, fino alla ritrovata libertà e alla elezione della Sede Apostolica da parte di San Giovanni Paolo II, nel 1991.
“Da allora la Santa Sede ha sempre avuto rapporti con quello che papa Wojtyla definì ‘l’amato e nobile popolo albanese’, speriamo che il governo attuale faccia il possibile per mantenere questa viva collaborazione”, ha poi concluso il docente.
Visar Zhiti ha dedicato l’intera sua relazione alla figura di Santa Teresa di Calcutta, della quale lui stesso tradusse in albanese alcuni scritti e preghiere. Quando Zhiti, poi conobbe Madre Teresa e le riferì la sua opera di traduzione, lei gli rispose con un laconico: “Hai fatto bene”. Quella risposta così ‘tiepida’, in realtà derivava dal fatto che la santa era solita “non leggere mai nessun libro a lei dedicato”, per evitare qualsiasi forma di autocelebrazione.
È rimasto celebre, a tal proposito il suo incredibile colloquio con Re Olav V di Norvegia, alla vigilia della consegna del Premio Nobel per la Pace 1979, in cui il sovrano, candidamente, le confidò: “forse è meglio che non vengo, non sarei al centro della scena”. Ma Madre Teresa – di fronte al cui albergo a Oslo, c’erano file di persone desiderose di incontrarla – replicò al re: “Al centro non ci siamo né io, né tu, c’è solo Dio”.
Madre Teresa è la santa del dialogo interreligioso per eccellenza: nata a Skopje, capitale della Macedonia, a maggioranza musulmana, è cresciuta in Albania, dove il culto più diffuso è quello musulmano, per poi trascorrere gran parte della sua vita in India, tra centinaia di milioni di indù. Tutti elementi che le hanno fatto guadagnare un profondo rispetto da parte di tutte le religioni.
Consapevole che “siamo cittadini della repubblica del dolore”, perché è “il dolore che unisce”, la santa un giorno andò a soccorrere “una donna malata che languiva sul marciapiede, con grandi topi che divoravano il suo corpo senza speranza”. Nei lamenti di quella donna, Madre Teresa vedeva “i lamenti di Cristo in croce”; e vedendosi quella sfortunata rifiutata da tutti gli ospedali, la curò lei stessa a casa sua.
Santa “già in vita per i suoi miracoli, il primo dei quali fu il suo amore illimitato”, Madre Teresa “contava i sorrisi”, proprio negli anni in cui i gerarchi comunisti suoi connazionali, “contavano le quantità d’acciaio” per i piani quinquennali.
“Abbiamo capito che il mondo può essere mosso anche da una persona semplice. Quando era sulla terra, lei era anche in cielo. Figlia in cielo madre in terra, Madre Teresa ha unito questi mondi con i raggi della sua santità”, ha poi concluso Zhiti.
È poi intervenuto, don Marian Paloka, parroco a Fiesole e collaboratore della Radio Vaticana albanese, che si è soffermato in particolare sulle beatificazioni del prossimo 5 novembre, frutto di quella che, senza tema di smentita, può definirsi una vera “chiesa dei martiri”.
Il martirio, ha sottolineato Paloka, è impossibile da capire, senza “la chiave della Croce di Gesù”, in quanto “il martirio è la perfetta comunione con Cristo”.
Nel caso specifico, i martiri albanesi sono uomini che hanno affrontato un’ideologia maligna, “senza combatterla attraverso un’altra ideologia”; tenendo “i piedi per terra ma lo sguardo rivolto al Cielo”, essi, pur di conservare la loro fedeltà alla Chiesa e al Vescovo di Roma, hanno voluto essere il “chicco di grano” che muore per dare frutto, piuttosto che “vivacchiare come in una chiesa monca, seppure con le garanzie legali che il potere poteva offrire”.
Il saluto conclusivo è stato rivolto dal Segretario Vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher, che ha definito la ripresa delle relazioni con l’Albania come un “evento non solo storico ma miracoloso”, per un paese che un tempo, visto al di qua del confine era buio, in quanto pressoché privo di energia elettrica, mentre oggi, anche in senso spirituale, offre “molte luci di speranza”.
ZENIT - LM
Albania: una “terra di missione” santificata dai suoi martiri
All’Urbaniana, un convegno in vista delle beatificazioni del 5 novembre e una mostra di opere dedicata a Madre Teresa