Disegno di Carmelo Raco

Ignazio di Antiochia: il vero potere è il martirio

Il Vescovo di Antiochia accettò con gioia di diventare “frumento di Dio” tra le fauci dei leoni, al punto dal chiedere alle comunità cristiane dell’epoca di non liberarlo

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I santi del primo secolo della Chiesa ci riportano alle origini del cristianesimo e ci fanno riassaporare l’entusiasmo, la fedeltà e la dedizione di uomini che hanno conosciuto molto da vicino gli apostoli ed i testimoni della resurrezione del Cristo.
La storia di Ignazio di Antiochia continua ad affascinare tutte le generazioni, perché rivela la forza della fede davanti alla persecuzione, alla violenza e alla crudeltà degli uomini.
Ignazio è stato il terzo Vescovo di Antiochia di Siria, una delle grandi metropoli dell’impero romano, insieme a Roma ed Alessandria d’Egitto. Ha avuto l’onore di sedere sul seggio vescovile che fu dell’Apostolo Pietro, il quale fu il primo Vescovo di Antiochia. Dalle notizie che ci sono pervenute su questo grande santo, risulta che Ignazio non fosse nato da una famiglia cristiana, ma si fosse convertito al cristianesimo in età non giovanissima.
Durante la persecuzione dell’imperatore Traiano, Ignazio fu arrestato e condannato a causa della sua fede. Fu condotto a Roma per essere sbranato dai leoni, durante gli atroci spettacoli che venivano organizzati in onore dell’imperatore. Durante il suo viaggio verso Roma Ignazio scrisse delle lettere che vengono ancora oggi lette nella celebrazione dell’ufficio delle letture. Questi scritti evidenziano la spiritualità di un cristiano, che desidera compiere la volontà di Dio, anche se questo significa andare consapevolmente incontro ad una morte cruenta e dolorosa.
Le lettere di Ignazio ancora oggi sono fonte di ispirazione e consolazione per tutti i cristiani. Chi legge i suoi scritti è consapevole che le sue parole non erano idee vane o intenzioni astratte. Ignazio davvero è morto nell’arena, disintegrato dalla violenza brutale dei leoni. Quello che lascia senza fiato è la consapevolezza di Ignazio di riconoscere, diventando pasto dei leoni, la volontà di Dio che lo voleva rendere un vero cristiano.
Ignazio scriveva continuamente a tutte le comunità cristiane di non fare nulla per liberarlo. Egli voleva essere trattato dalle bestie come un chicco di grano, per essere macinato dai loro denti, essere impastato dalla loro saliva e diventare pane di vita che viene cotto dall’amore per Cristo. Ignazio aveva il desiderio di essere completamente dissolto dai leoni, per non dare alla comunità di Roma l’incombenza del funerale.
Questi desideri del cuore di Ignazio manifestano la spiritualità di un’anima profondamente unita a Cristo. La sua fede nella vita eterna non era certo un’ipotesi incerta o un evento irraggiungibile, ma una realtà che aveva il suo fondamento nella resurrezione di Cristo, nella testimonianza degli apostoli e nell’esperienza di Cristo risorto che Ignazio ha sperimentato nella sua conversione e nella sua missione sacerdotale ed episcopale.
Mentre andava a morire, Ignazio incoraggiava i cristiani a vivere l’unità della Chiesa e a rispettare quella gerarchia che esprime la grazia e il sostegno di Dio. Ignazio esaltava il ruolo del Vescovo come responsabile del gregge a lui affidato. Egli amava ripetere che tutto deve essere fatto con l’autorizzazione del Vescovo, perché egli rappresenta quel padre buono e misericordioso, sempre disponibile a servire la sua famiglia nell’offrire il perdono di Dio, nel proclamare la Parola del Vangelo, ma soprattutto nell’offrire quella vicinanza e quella famigliarità di un padre che vive accanto ai suoi figli.
Ignazio ha affermato l’importanza della gerarchia all’interno della Santa Madre Chiesa. Avere un ruolo di responsabilità comporta un maggiore impegno e una più grande dedizione nel servizio. Oggi siamo abituati a intendere il ruolo di comando come una possibilità di avere prestigio, potere, agiatezze e comodità. Arrivare ad occupare un posto ambito nel lavoro, nella società e nella politica viene visto come un punto di arrivo, per occuparsi dei propri interessi e rendere conto ai bisogni dei potenti. Il vero servizio è la prossimità, è prendersi cura dei più deboli, sacrificare le proprie energie sottraendole ai piaceri mondani, coinvolgere altri nelle opere di carità, pagare di tasca propria le iniziative di bene, rimanere sempre informati sullo stato di salute di coloro che si è visitati, continuare a vedersi con coloro che abbiamo aiutato. Quanto è difficile vivere il servizio come lo interpreta il Vangelo. La Chiesa non è esclusa dalla tentazione di cadere nella trappola della comodità, dell’indifferenza e del carrierismo. Per questo la Chiesa ha bisogno di fare memoria della vita di ogni santo, non solo ricordandolo nella liturgia, ma soprattutto imitandolo nel servizio concreto con piccoli gesti di fraternità, di condivisione e di fede.
Ignazio ha combattuto lo gnosticismo, la prima eresia insidiatasi nella Chiesa, che ha dovuto affrontare lo stesso apostolo Giovanni. Tutta la vita della Chiesa è stata accompagnata dall’insorgere di eresie, che hanno minato le fondamenta di un credo dottrinale, che è alla base delle opere dei cristiani. Lo gnosticismo parlava di una rivelazione riservata a pochi, i quali erano i predestinati di una conoscenza illuminata, la quale non era raggiungibile dalla gente comune. Oggi viviamo in una società che ragiona come gli gnostici. È sufficiente vedere come il lavoro sia offerto solo a pochi, esclude i giovani, emargina gli anziani, sfrutta i poveri, si arricchisce con le guerre, provoca crolli della borsa per sottrarre soldi ai piccoli investitori. Oggi i privilegi sono diventati una esclusiva di pochi, e per questo è lecito parlare di gnosticismo economico, sociale, lavorativo e societario.
Gli gnostici non credevano alla resurrezione di Cristo. Credere che Gesù Cristo ha assunto la natura umana ed è risorto con il suo corpo trasfigurato e glorioso, è il fondamento dell’accoglienza, della condivisione e della fraternità. Anche oggi il mondo mostra un gnosticismo pragmatico quando rifiuta di educare le giovani generazioni, rinunzia a rimanere vicino agli anziani e ai malati, scarta i giovani che cercano lavoro. La carne dei sofferenti, dei poveri e degli emarginati non viene riconosciuta come carne di Cristo. Questa è l’eresia peggiore dei nostri tempi. Dimenticarsi dei poveri significa rifiutare Cristo. La fede cristiana invita a riconoscere la presenza viva di Gesù negli ultimi della terra. Toccare la carne dei poveri significa vivere quella vicinanza con Dio, il quale rimane sempre vicino ai sofferenti e vuole guarire l’ipocrisia e l’incredulità del cuore, proprio attraverso il contatto con la sua carne che ancora soffre nella persona abbandonata.

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Osvaldo Rinaldi

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