Povertà

Povertà / Pixabay CC0 - ronymichaud, Public Domain

Caritas: 2015 "annus horribilis" per migranti, ma al Sud aumentano gli italiani poveri

Pubblicato il Rapporto 2016 su povertà ed esclusione sociale in Italia ed alle porte d’Europa dal titolo “Vasi Comunicanti”

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Il 2015 è stato “l’annus horribilis” per i movimenti migratori, non solo per l’elevato numero di rifugiati, sfollati e morti registrati, ma anche per l’incredibile “debolezza ed egoismo” che molti Paesi hanno dimostrato nell’affrontare quella che, innanzitutto, si è rivelata “una emergenza umanitaria”.
È quanto emerge nel Rapporto 2016 di Caritas italiana su povertà ed esclusione sociale in Italia e alle porte d’Europa, dal titolo “Vasi comunicanti”, che si colloca in una particolare congiuntura storico-sociale. Nel mondo – si legge nel documento – il numero di persone costrette a lasciare le proprie case in cerca di protezione a causa di guerre, conflitti e persecuzioni è arrivato ai livelli massimi mai registrati, superando la quota di 65 milioni.
In Europa il numero dei profughi giunti via mare (nel 2015) risulta quattro volte più grande di quello dell’anno precedente, facendo registrare anche un incremento del numero delle vittime nelle traversate. Di fronte a tali dinamiche la politica europea è risultata frammentata, disunita e per molti aspetti inadeguata.
Le immagini di muri e fili spinati sono ancora nitide e attuali e, sottolinea la Caritas, stridono con gli ideali e i principi del grande “sogno europeo”: quello di un continente senza più confini, aperto al libero scambio di persone e merci. È dunque in questo momento storico ricco di insidie e in cui in tutto il Vecchio Continente sembra riemergere la paura del diverso, che Caritas Italiana ha deciso di affrontare il tema della povertà in Italia allargando il proprio sguardo oltre i confini nazionali, cercando di descrivere le forti interconnessioni che esistono tra la situazione italiana e quel che accade alle sue porte.
Per favorire una maggiore consapevolezza dei processi in atto, nel rapporto sono riportati numerosi zoom di taglio internazionale, prodotti anche da altri organismi e Caritas europee. L’immagine dei “vasi comunicanti” assume un carattere ambivalente: aiuta a leggere il reale o meglio i nessi, frequentemente trascurati, che esistono oggi tra povertà, emergenze internazionali, guerre ed emigrazioni; al tempo stesso vuole essere l’auspicio per un futuro in cui le gravi disuguaglianze socio-economiche, alla base dei movimenti migratori, possano annullarsi favorendo un maggiore e più equo livello di benessere per tutti.
Più nel dettaglio, nel Rapporto si evidenzia che sono soprattutto gli stranieri a chiedere aiuto ai Centri della Caritas, ma per la prima volta, nel 2015, al Sud la percentuale degli italiani ha superato di gran lunga quella degli immigrati. Se a livello nazionale il peso degli stranieri continua a essere maggioritario (57,2%), nel Mezzogiorno gli italiani hanno fatto il ‘sorpasso’ e sono al 66,6%. 
Un cambio di tendenza si registra pure rispetto al sesso: per la prima volta risulta esserci stata nel 2015 una sostanziale parità di presenze tra uomini (49,9%) e donne (50,1%), a fronte di una lunga e consolidata prevalenza del genere femminile. L’età media delle persone che si sono rivolte ai Centri Caritas è 44 anni.
Tra i beneficiari dell’ascolto e dell’accompagnamento prevalgono le persone coniugate (47,8%), seguite dai celibi o nubili (26,9%). Il titolo di studio più diffuso è la licenza media inferiore (41,4%); a seguire, la licenza elementare (16,8%) e la licenza di scuola media superiore (16,5%). I disoccupati e inoccupati insieme rappresentano il 60,8% del totale. I bisogni più frequenti che hanno spinto a chiedere aiuto sono di ordine prevalentemente materiale; in particolare, spiccano i casi di povertà economica (76,9%) e di disagio occupazionale (57,2%), ma anche i problemi abitativi (25,0%) e familiari (13,0%). Frequenti le situazioni in cui si cumulano due o più ambiti problematici.
Il documento Caritas evidenzia anche l’invalidità del vecchio modello italiano di povertà, che vedeva gli anziani più indigenti. Oggi – si legge – la povertà assoluta risulta inversamente proporzionale all’età, cioè diminuisce all’aumentare di quest’ultima. La persistente crisi del lavoro ha infatti penalizzato – e continua a penalizzare – soprattutto le nuove generazioni, specie i giovanissimi in cerca di di occupazione e gli adulti rimasti senza impiego.

Proprio sul tema della disoccupazione, il Rapporto evidenzia che “nel periodo di recessione economica, dal 2007 al 2014, i neo laureati sono stati i meno penalizzati nella ricerca di un impiego: il tasso di disoccupazione tra loro è passato dal 9,5% al 17,7% a fronte di un aumento di oltre 16 punti percentuali registrato tra i neodiplomati, dal 13,1% al 30,0%”. Anche in questi anni di incertezza rinunciare agli studi non è, quindi, la scelta più opportuna. Per questo Caritas, basandosi sui dati del Consorzio Almalaurea, afferma che “proprio nei momenti di crisi che si dovrebbe sostenere e promuovere l’istruzione all’interno delle famiglie, in modo particolare tra quelle meno abbienti; potrebbe infatti rappresentare per queste ultime l’unico strumento di riscatto sociale”.
Affrontato anche il tema dei Neet, ovvero i giovani che non studiano e non cercano lavoro: in proposito si rileva che quelli italiani sono più anziani dei Neet stranieri, che in numero più rilevante però si rivolgono ai centri di ascolto della Caritas. L’età media dei Neet italiani è infatti pari a 28,3, mentre tra gli stranieri è di 27 anni. Nel caso dei Neet italiani l’inattività dei ragazzi appare in gran parte determinata dall’insuccesso della carriera scolastica e dalla frammentarietà di una carriera lavorativa incapace di costruire solide basi di esperienza professionale.
Grande, a tale riguardo, appare la responsabilità dei genitori, che evidenziano spesso una “debole genitorialità” soprattutto nei momenti delle grande scelte formative; a fronte del disorientamento e dell’incertezza tipiche dell’età adolescenziale, le famiglie di origine dei ragazzi italiani si sono dimostrate dunque incapaci di guidare i propri figli nella direzione giusta, orientandoli nella scelta del percorso scolastico.
Un certo numero di Neet si colloca poi nell’ambito di situazioni di “nido spezzato” (3,1% di separati o divorziati). Nel caso degli italiani si osserva una distribuzione simile, anche se i celibi/nubili sono meno numerosi (47,4%) e sono invece più numerosi i Neet separati o divorziati (7,2%). La situazione di convivenza più diffusa è quella della persona coniugata con figli (27,7% degli stranieri, 28,2% degli italiani). Seguono, per gli stranieri, i giovani soli (23,8%), mentre nel caso degli italiani il secondo modello di convivenza è quello della famiglia mono-genitoriale (25,9%). Questo dato, associato alla forte incidenza dei separati/divorziati tra gli italiani, lascia intuire una connotazione di maggior disagio per i giovani italiani rispetto a quella degli stranieri.
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ZENIT Staff

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