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Clima, cibo e agricoltura: umanità a un bivio

Se ne è discusso alla FAO, in un “side event” della Giornata Mondiale dell’Alimentazione

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In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, il 16 ottobre, con lo scopo di celebrare la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Uniti per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), in 150 Paesi sono previsti eventi volti alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema della fame nel mondo. Per questo si è svolto ieri presso la German Room della Fao, l’iniziativa Il clima sta cambiando, l’alimentazione e l’agricoltura anche. Qual è il nostro impegno?, organizzata dal Forum Roma delle ONG di ispirazione cattolica, con l’obiettivo di “richiamare le proprie organizzazioni alla loro responsabilità, guardando con attenzione ai cambiamenti da concretizzare nella produzione di cibo e nell’agricoltura, per affrontare responsabilmente il cambiamento climatico.
Al centro del dibattito l’enciclica Laudato sì di Papa Francesco che richiama tutti – consumatori, governi, imprese, media – alle proprie responsabilità, al fine di nutrire una popolazione in crescita, che nel 2050 sarà di circa 10 miliardi di persone, in modo da imparare a coltivare quanto necessario senza distruggere il pianeta. Precede i lavori, il saluto di Monsignor Fernardo Chica Arellano, Osservatore permanente della Santa Sede presso la FAO, che invita alla “resilienza” come risposta adeguata di fronte ai cambiamenti climatici e a trasformarci in “uomini e donne custodi del creato, utilizzando come bussola l’enciclica Laudato sì e a combattere attivamente la cultura dello scarto, a favore della cultura dell’amore”.
Il coordinatore dott. Vincenzo Conso ricorda che nel mondo “una persona su 9 va a dormire affamata” e circa 800 milioni di persone soffrono di denutrizione cronica. Nel 2100, secondo i dati FAO, crescerà del 60% la produzione rurale, con un severo impoverimento del terreno e il rischio di diminuire notevolmente la produzione di mais, riso, soia e grano. La risposta – spiega Conso – è in un modello di agricoltura sostenibile, sia da parte delle aziende che del consumatore. Così com’è affermato anche nell’Enciclica, in mancanza di una risposta della politica, che non vuole demandare la propria sovranità a una governance europea, sono le associazioni e i consumatori che devono reclamare e attivarsi per un’agricoltura responsabile, dove “il locale si fa globale”.
E proprio nell’interesse dei consumatori, il prof. Alessio d’Amato dell’università di Tor Vergata, illustra la sua relazione “Alimentazione ed economia circolare: qualche riflessione su consumi e rifiuti del cibo”. Emerge dallo studio che gli stessi consumatori si autodenunciano come i responsabili degli sprechi di cibo. Dietro lo spauracchio di consumare cibo avariato c’è un discorso di comunicazione alimentare. Spesso per ignoranza in materia, sono confuse dall’acquirente le indicazioni “best by” consumare entro e “best before” consumare preferibilmente per quella data. La confusione tra le due diciture, induce il consumatore a liberarsi di entrambi i prodotti, sia quelli da gettare “entro il” sia quelli “preferibilmente il”, senza capirne le differenze. In questo, l’Unione Europea spiega D’Amato può attivare politiche che pongano maggiore attenzione alle etichettature e a una maggiore educazione del consumatore. L’Italia non è tra i paesi più spreconi nell’ambito dell’Unione europea, ai primi posti Germania, Finlandia, Lussemburgo. A livello internazionale, invece, ai primi posti ci sono Cina e Usa, l’uno primo nello spreco dal lato della produzione, l’altro nello spreco dal lato del consumo. Per “un’economia circolare” si intende, dunque, un modello che pone al centro la sostenibilità del sistema, in cui non ci sono prodotti di scarto e in cui le materie vengono costantemente riutilizzate.
Ed ecco gli esempi pratici di economia sostenibile. Aurelio Danna, responsabile del progetto Mondo Mlal/Focsiv, racconta di “piccole storie che si avverano”: famiglie andine che si autoalimentano con le loro produzioni ortofrutticole e casearie vendendo le eccedenze al mercato; donne indigene che creano cooperative solidali di genere, per vendere i prodotti tipici locali, come i formaggi e il latte di alpaca e lama, che apporta sostanze nutritive essenziali, soprattutto per i più piccoli. Fondamentale e di tendenza è la coltivazione della quinoa, un cereale andino molto apprezzato in Europa, la cui coltivazione non deve soppiantare le altre, ma è incentivata dal governo , per favorire le esportazioni locali. A tal proposito, Danna ha fondato in Bolivia l’associazione “Caffe correcto” a favore della sicurezza dei lavoratori e le giuste condizioni di lavoro e salario.
Mentre nelle Filippine, l’agricoltura sostenibile è portata avanti, sin dal 1990, dall’Istituzione teresiana attraverso la ONG JSF- Fondazione Josefa Segovia – nell’ambito del progetto GoDC: Go Organic Davao City. La visione pedagogica del fondatore Pedro Poveda trova applicazione all’agricoltura, favorendo la creazione di comunità agricole, in linea con i dettami della Chiesa, nel rispetto delle peculiarità della natura e della sua comunità. Dal 2012, il ministero delle Politiche agricole della città di Davao è diventato partner ufficiale della Fondazione JSF, favorendo attivamente l’agricoltura organica, attraverso facilitazioni e programmi specifici. “Dopo l’uragano El Nino, molti contadini nel Sud delle Filippine erano ridotti in povertà e il suolo reso inutilizzabile dal clima e dall’uso di pesticidi – racconta Irene Bettina Pueyo dell’Istituzione Teresiana a Davao grazie all’organico e al nostro aiuto nella formazione, sono sopravvissuti e tornati autosufficienti”.
E dunque sì all’agricoltura organica e al rispetto del territorio, in linea con la sostenibilità non solo agricola ma anche industriale, che passa attraverso una cultura del riciclo e un no secco agli sprechi, che concorrono a inquinare il globo e a determinare la povertà del mondo, in linea con il messaggio di Papa Francesco.

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Rita Ricci

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