Breeders - donne di seconda categoria

Breeders - donne di seconda categoria (DVD, ProVita onlus)

Madri surrogate, schiave moderne

Il ministro Lorenzin chiarisce l’impegno del Governo a rendere “reato universale” questa pratica, definita “nuova forma di schiavitù”. La realtà raccontata dal documentario “Breeders”

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“Il Governo è impegnato ad assumere iniziative, a livello nazionale e internazionale, in tutte le sedi istituzionali sovranazionali, affinché la surrogazione di maternità, in ogni sua modalità e variante contrattuale, sia riconosciuta come nuova forma di schiavitù e di tratta di esseri umani, e sia quindi considerato un reato universalmente perseguibile”. Così Beatrice Lorenzin, rispondendo nelle scorse ore a un’interrogazione del senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia) sull’utero in affitto.
Dalle parole nette del ministro della Salute – di condanna nei confronti della maternità surrogata sia quando è dietro compenso sia quando è altruistica – traspare dunque la volontà dell’Esecutivo di andare oltre la mozione approvata a maggio, che rinuncia a definire questa pratica una “schiavitù” e non accenna affatto all’impegno dell’Italia “ad assumere iniziative” internazionali per renderla “reato universalmente perseguibile”. Più moderatamente, il testo chiede al Governo di attivarsi per “la protezione dei diritti umani e del bambino” e parla di pratica che “mina la dignità della donna”.
La linea di confine tra una pratica che genericamente “mina la dignità della donna” e la schiavitù non è così sottile come sembra. Anche una parola, un piccolo gesto possono violare la dignità del gentil sesso, mentre rendere una persona – come avviene nella maternità surrogata – soggetta all’arbitrio di terzi, impossibilitata a disporre liberamente del proprio corpo e a mantenere una relazione futura con la vita che cresce nel suo grembo, posta alla stregua di un prodotto commerciale ed inserita quindi nella logica della domanda e dell’offerta, significa rispolverare dall’oblio il concetto di schiavitù.
Ascoltando le testimonianze di donne che hanno affittato il loro utero, del resto, viene da considerare ipocrita l’idea per cui la loro scelta sia totalmente libera e incondizionata. Spesso è la fame, l’indigenza, la necessità di sostentare i propri figli, che spinge queste donne, sovente ragazze madri, a mettere a disposizione il proprio utero a ricchi ed esigenti signori in cambio di lauti compensi.
E la fame, l’indigenza, così come l’amore per i figli, si sa, possono talvolta ottenebrare la ragione, spingendo a compiere gesti di cui poi si ha rimorso. Ne sa qualcosa Elisa Anna Gomez, una donna del Minnesota che per dare da mangiare ai suoi due figli ha ceduto alle sirene di un’agenzia di maternità surrogata. Nel febbraio scorso ha raccontato la sua triste esperienza in Italia.
Che fa il paio con quella di Heather, una sua connazionale. Nel documentario “Breeders – Donne di seconda categoria? (presentato in Senato martedì scorso dall’Associazione ProVita Onlus, in occasione del lancio di una petizione contro tale pratica), questa giovane, occhi lucidi e voce strozzata, racconta la fase post-parto: “L’infermiera si avvicinò e tenendolo in braccio mi fece vedere il piccolo. Io per girarmi a guardarlo quasi cascai dal letto. Poi finì lì, me lo portarono via e non l’ho più visto né sentito. Sin da allora penso a quel bambino ogni giorno della mia vita”.
Le agenzie che si occupano di maternità surrogata, come hanno testimoniato le inchiesta della giornalista del Corriere della Sera Monica Ricci Sargentini, sono ampiamente consapevoli di dover lavorare sul filo di lana dell’emotività umana.
È così che si spiega la scelta di affiancare alle madri durante tutta la gravidanza una psicologa, “perché devono capire – spiega Mario Caballero, direttore di un’agenzia che ha tenuto un incontro (illegale) in Italia – che questo è un business, non devono essere emotive, devono pensare al business. Io glielo dico sempre”.
E se anche la presenza sfiancante di uno strizzacervelli non dovesse dissuadere queste madri dall’umano desiderio di rinunciare ai soldi e tenersi il bambino che portano in grembo? Presto detto, si usano le maniere forti. Ricci Sargentini ha finto di voler affittare un utero, si è recata in una clinica della California (dove la pratica è legale) e ha chiesto a una addetta cosa accade se la madre surrogata vuole tenersi il bambino. Ecco la risposta: “La mamma sei tu, lei è la portatrice. E sei tu che decidi tutto, anche se farla abortire. La legge ha più volte stabilito che lei non ha alcun diritto. Sarà scritto tutto nel contratto che firmerete con l’avvocato”.
Non ha alcun diritto. Di fronte a una simile affermazione da parte di una addetta di un’agenzia che possiede tutti i crismi della legalità (figurarsi cosa avviene in quei Paesi dove certe garanzie nemmeno esistono), risulta difficile non considerare l’utero in affitto una forma di schiavitù. E forse ora se n’è accorto pure il Governo italiano.

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Federico Cenci

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