Il metodo scientifico, la teologia, l’Università. Tre mondi che possono incontrarsi per il bene collettivo. Sapienza e Teologia (Cittadella Editrice, Assisi), l’interessante libro scritto dal giovane sacerdote don Salvatore Bilotta, esplora questi mondi e li presenta nella loro unità. Lo fa evidenziando come molti santi hanno saputo tenere assieme la loro teologia parrocchiale con quella universitaria. Nel testo sono poi centrali la scienza e la santità di vita di Tommaso d’Aquino e J.H. Newman che hanno saputo mediare efficacemente la Parola di Dio. Salvatore Bilotta, dopo l’esperienza pastorale fidei donum nella Diocesi di Rieti, è presbitero della Diocesi di Catanzaro – Squillace. Ha conseguito il dottorato in teologia presso la Pontifcia Università Laterenense ed insegna attualmente presso l’Istituto Teologico Calabro “S.Pio X”. Segue la spiritualità del Movimento Apostolico. Per capire meglio la portata del suo impegno culturale e spirituale nel settore studi e ricerche, sezione teologia, ZENIT lo ha intervistato.
***
Perché nasce un volume come Sapienza e Teologia, di oltre cinquecento pagine, e quali sono state le motivazioni principali che hanno accompagnato, immagino, la sua non facile stesura?
Mi trovavo a Roma per il conseguimento della Licenza in Teologia Fondamentale presso l’Università Lateranense. Nella ricerca di un tema per la tesi dottorale, numerose possibilità mi si erano presentate dinanzi. Mi aveva sempre affascinato il rapporto tra scienza e fede, tra Parola di Dio e Spirito Santo, tra ruolo del Magistero e carisma dei teologi. Sfogliando l’indice di alcuni manuali, notavo, con non poca meraviglia, l’esiguo spazio riservato all’impiego del metodo sapienziale in teologia.
Molti trattati si occupavano della scientificità della teologia, del suo statuto interno, della sua legittima presenza nel mondo accademico; in pochi, in verità, riflettevano sul legame necessario tra la riflessione dei teologi e l’azione dello Spirito Santo, tra l’interpretazione letterale e spirituale del testo sacro, tra il metodo e il fine ultimo di ogni riflessione su Dio: la salus animarum. La sapienza – in particolare quella teologica – è stata molte volte relegata al di fuori dell’ambito scientifico, quasi confinata nell’ambito pastorale senza comprendere come essa sia una forma più alta di scienza, capace di mantenere il contatto con la realtà e con il fine stesso dello studio teologico.
Ci può spiegare come il metodo scientifico abbia permesso alla teologia di entrare e permanere nelle Università? Il mondo accademico è ostile o guarda con favore a tale importante novità?
La permanenza della teologia nelle Università nascenti è da annoverare tra i numerosi meriti dell’Aquinate. Il suo personale contributo alla questione riguardante la scientificità della sacra doctrina fu decisivo: senza tralasciare il carattere trascendente della Rivelazione, riuscì a far riconoscere, dalla comunità del sapere, la teologia come scienza subalternata alla scienza di Dio. Tuttavia, il Dottore Angelico non abbandonò l’altra anima – se così possiamo definirla – dell’approfondimento teologico: la ricerca sapienziale, molto cara ai Padri della Chiesa.
Riuscì, infatti, ad adottare un linguaggio semplice e concreto nei suoi commenti alla Scrittura; descrisse di un tipo di conoscenza teologica che si attua per mezzo della presenza dello Spirito Santo nel cuore del teologo (conoscenza per connaturalitatem); fu in ogni modo sapiente, docile allo Spirito e attento alle necessità del mondo.
Lei nel suo libro ha messo a confronto Tommaso d’Aquino e J.H. Newman. Cosa le ha permesso di tuffarsi in questa particolare esperienza e quale contributo pensa di aver portato nel panorama degli studi legati al mondo della Chiesa, con riflessi inevitabili nella comunità laica?
Se Tommaso e Newman potessero aiutarci a rintracciare gli errori e le derive percorse dalla nostra cultura in questi ultimi secoli, non mancherebbero di stupirci ancora. L’attuale dicotomia tra sapere e vita e il notevole disinteresse dell’umanità alla questione di Dio troverebbero in loro un tipo di risposta efficace e pertinente. Tommaso e Newman, però, non dobbiamo dimenticarlo, riuscirono a mostrare Dio, nelle loro parole come negli scritti, soprattutto per la loro sapienza e santità. L’unità tra pensiero e vita, prima ancora che sui libri, era possibile “leggerla” nella loro vita.
È proprio questa unità che, a mio avviso, è necessario recuperare. Dopo Tommaso, la teologia, ha iniziato a percorrere sentieri lontani dall’uomo concreto e dalla santità personale dei teologi (pensiamo al periodo del nominalismo e alle questioni oziose trattate, poco vicine al vissuto umano) e l’uomo, pian piano, ha iniziato a nutrire poco interesse per una teologia divenuta «nominale» e non più «reale».
Può in poche battute descriverci la struttura del libro e la sua funzionalità? Ha seguito un modello scientifico ben preciso o ha scelto una impostazione del tutto personale? Nell’introduzione parla anche di tre linee guida o mi sbaglio?
Dall’analisi del metodo teologico in Tommaso (I parte) e in Newman (II parte) mi sono aperto al confronto tra i due. Ho cercato di dimostrare come i due autori si siano serviti, in modo differente, delle correnti filosofiche dell’aristotelismo e del neoplatonismo perché la conoscenza teologica potesse assumere contemporaneamente i caratteri della stabilità, dell’organicità e della dinamicità. Tommaso e Newman in concreto ci insegnano come sia necessario avere una conoscenza teologica esatta, valevole per tutti e, nello stesso tempo, rivolta all’uomo presente hic et nunc; ci mostrano altresì come la teologia trovi nella predicazione un’attualizzazione e concretizzazione immediata del suo fine. È nella predicazione, infatti, che la parola studiata si carica di dinamicità e di attualità per giungere dalla bocca del teologo al cuore del fedele.
Le tre linee guida segnano il passaggio, in teologia, dalla scienza alla sapienza umana e infine alla sapienza divina. Se è vero che, come insegna Newman, la scienza può raggiungere solo la verità universale, la scienza teologica aiuterà il teologo a definire con precisione la verità di Cristo, ma solo la sapienza dello Spirito lo aiuterà a parlare alla vita concreta delle persone, interpellando e illuminando le loro coscienze. La sapienza umana, da parte sua, riuscirà a fornire al teologo la capacità di uno sguardo d’insieme e di un linguaggio adatto alle circostanze. La sapienza come dono dello Spirito Santo lo aiuterà a discernere, con precisione divina, la falsità dalla verità anche nelle proposizioni più difficili, apparentemente corrette.
Quale il suo stato d’animo dinnanzi a due giganti del pensiero umano? Quali le difficoltà incontrate?
La grandezza del loro pensiero, se da una parte ha richiesto un maggior sforzo ermeneutico iniziale, d’altra parte si è rivelata essere la chiave risolutrice dei numerosi problemi epistemologici suscitati dai loro testi. Ad esempio, il formidabile impianto gnoseologico di Tommaso mi ha aiutato a meglio comprendere e a distinguere la comprensione scientifica da quella sapienziale. Altra acquisizione importante per la ricerca è stata l’individuazione della relazione tra la circolarità oggettiva del sapere (circle of knowledge) e la capacità personale dell’illative sense. È la “coscienza culturale” del soggetto, secondo Newman, a permettere il vero e autentico progresso nel sapere in quanto rende l’uomo punto di aggregazione culturale tra le varie discipline. Le varie scienze, infatti, entrano in dialogo per mezzo del confronto e della sinergia delle idee dei singoli soggetti (il famoso egostimo newmaniano). Sono numerosissimi gli spunti di attualizzazione che i loro testi possono suscitare ancora oggi.
Come ha organizzato il suo lavoro per scandagliare le opere dei due personaggi a confronto? Ha trovato aperture, collaborazioni, disponibilità?
Molte sono state le collaborazioni e le disponibilità da parte di docenti, teologi e studiosi del pensiero di Tommaso e di Newman. Nel Contra Impugnantes il Santo Domenicano, assieme ad Aristotele, sottolinea come l’amicizia si conserva mediante la comunicazione e assicura la crescita nel sapere. Mi sento di ringraziare in modo particolare il compianto M.P. Gallagher per la sua disponibilità all’ascolto e per il dono di alcuni suoi manoscritti. Per delimitare il vasto campo della ricerca, ho cercato di individuare i testi fondamentali in cui gli autori affrontavano, in modo diretto e indiretto, il tema della conoscenza teologica. L’accesso diretto e lo studio delle fonti sono state le mie priorità indiscusse.
Lei è membro del Centro studi Verbum. Ci vuole spiegare di che cosa si tratta e se lo stesso Centro ha avuto un qualche ruolo in questa sua grossa ed illuminata “fatica”?
Il Centro Studi Verbum è un’espressione della vitalità e della novità che il Movimento Apostolico, realtà ecclesiale nata nel 1979, è chiamato a portare anche nel mondo culturale attraverso il suo carisma di ricordo e di annuncio della Parola di Dio. Il legame tra comprensione della Parola, attualità dello Spirito e santità di vita l’ho potuto apprezzare attraverso il carisma che ha dato vita a questa associazione teologica. Dal CSV attingo continuamente quell’amicizia nel sapere teologico che si fa conoscenza e approfondimento del mistero di Dio.
Commons Wikimedia - PD
“Sapienza e Teologia”: un nuovo contributo al rapporto scienza-fede
Don Salvatore Bilotta, docente all’Istituto Teologico Calabro “San Pio X”, illustra il suo ultimo saggio