Dopo un anno, poco è cambiato in Siria e Iraq. Nonostante i vari sforzi prodigati in vari ambiti dalla Chiesa, “la logica delle armi e della sopraffazione, gli interessi oscuri e la violenza continuano a devastare questi Paesi” e “fino ad ora, non si è saputo porre fine alle estenuanti sofferenze e alle continue violazioni dei diritti umani”. Addirittura “ad Aleppo, i bambini devono bere l’acqua inquinata!”.
È un amaro bilancio quello che trae il Papa della crisi umanitaria che investe il Medio Oriente, incontrando i membri degli organismi caritativi cattolici attivi in tale contesto riuniti a partire da oggi a Roma per un vertice promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum, che registra la presenza, tra gli altri, dell’inviato speciale Onu per la Siria, Staffan de Mistura.
A lui e agli altri presenti, il Papa esprime la propria gratitudine per “il sostegno attento ed efficace a quanto la Chiesa va compiendo per cercare di lenire le sofferenze di milioni di vittime di questi conflitti”. Incoraggia quindi ad una “rinnovata collaborazione a tutti i livelli”, perché la situazione in quella porzione del globo è sull’orlo del precipizio.
“Le conseguenze drammatiche della crisi sono ormai visibili ben oltre i confini della regione”, afferma il Papa. Ne è espressione il grave fenomeno migratorio. “La violenza genera violenza”, commenta, e “abbiamo l’impressione di trovarci avvolti in una spirale di prepotenza e di inerzia da cui non sembra esserci scampo”.
“Questo male che attanaglia coscienza e volontà ci deve interrogare”, sottolinea il Santo Padre. E, rammaricato, domanda: “Perché l’uomo, anche al prezzo di danni incalcolabili alle persone, al patrimonio e all’ambiente, continua a perseguire le prevaricazioni, le vendette, le violenze?”. Basti pensare all’attacco del 20 settembre scorso contro un convoglio umanitario dell’Onu in Siria.
“È l’esperienza di quel mysterium iniquitatis, di quel male che è presente nell’uomo e nella storia e ha bisogno di essere redento”, rileva Francesco, “distruggere per distruggere”. Tuttavia, una risposta a tali drammi esiste e “si trova nel mistero di Cristo”, “Misericordia incarnata che ha vinto il peccato e la morte”.
Bergoglio cita le parole di San Giovanni Paolo II: «Il limite imposto al male, di cui l’uomo è artefice e vittima, è in definitiva la Divina Misericordia» e invita a fissare lo sguardo su Gesù e anche sui “tantissimi volti sofferenti, in Siria, in Iraq e nei Paesi vicini e lontani dove milioni di profughi sono costretti a cercare rifugio e protezione”. È in essi, infatti, che “la Chiesa scorge il volto del suo Signore durante la Passione”.
Riflesso di tale misericordia è proprio il lavoro di quanti sono impegnati ad aiutare tutta questa gente, salvaguardandone la dignità; un segno – annota il Pontefice – “che il male ha un limite e che non ha l’ultima parola”. Un segno di “grande speranza”, per il quale il Papa ringrazia anche “tante persone anonime (ma non per Dio!) le quali, specialmente in questo Anno giubilare, pregano e intercedono in silenzio per le vittime dei conflitti, soprattutto per i bambini e i più deboli, e così sostengono anche il vostro lavoro”.
Al di là dei aiuti umanitari che sono “necessari”, ciò che oggi la popolazione della Siria e dell’Iraq desidera più di tutto è la pace, afferma Papa Francesco. Perciò non si stanca di chiedere alla comunità internazionale “maggiori e rinnovati sforzi per giungere alla pace in tutto il Medio Oriente e di chiedere di non guardare dall’altra parte”. “Porre fine al conflitto è anche nelle mani dell’uomo”, dice, “ognuno di noi può e deve farsi costruttore di pace, perché ogni situazione di violenza e ingiustizia è una ferita al corpo dell’intera famiglia umana”.
La richiesta del Successore di Pietro si fa dunque preghiera quotidiana a Dio, affinché possa “ispirare le menti e i cuori di quanti hanno responsabilità politiche, affinché sappiano rinunciare agli interessi parziali per raggiungere il bene più grande: la pace”.
Di qui l’incoraggiamento alle Nazioni Unite, per il lavoro di sostegno e di mediazione presso i diversi Governi, affinché si concordi la fine del conflitto e “si ponga finalmente al primo posto il bene delle popolazioni inermi”. È una strada, questa, da percorrere insieme “con pazienza e perseveranza, ma anche con urgenza”, sottolinea il Santo Padre, assicurando che “la Chiesa non mancherà di continuare a dare il suo contributo”.
Un ultimo, ma non per questo meno importante, pensiero va alle comunità cristiane del Medio Oriente, che soffrono le violenze e guardano con timore al futuro. “In mezzo a tanta oscurità – dice il Vescovo di Roma – queste Chiese tengono alta la lampada della fede, della speranza e della carità. Aiutando con coraggio e senza discriminazioni quanti soffrono e lavorano per la pace e la coesistenza, i cristiani mediorientali sono oggi segno concreto della misericordia di Dio”.
“Ad esse va l’ammirazione, la riconoscenza e il sostegno della Chiesa universale”, conclude il Santo Padre, che affida queste comunità e quanti operano al servizio delle vittime della crisi all’intercessione di Santa Teresa di Calcutta, “modello di carità e di misericordia”.