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Unioni civili: la carica dei sindaci obiettori

Pronto un appello al Capo dello Stato per riconoscere l’obiezione di coscienza, chiesta da circa 400 primi cittadini. Resta basso invece il numero delle celebrazioni

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A due mesi dall’entrata in vigore delle unioni civili, a tener viva l’attenzione mediatica non è tanto il numero delle celebrazioni (che resta basso), quanto la strenua battaglia dei sindaci obiettori.
Sebbene la legge Cirinnà non contempli la possibilità di rifiuto da parte dei funzionari pubblici, sono circa 400 i primi cittadini italiani che oppongono il loro fermo “no” alla celebrazione delle unioni civili.
Nei giorni scorsi ha destato scalpore la scelta di Serafino Ferrino, sindaco di Favria, in provincia di Torino. Egli si è rifiutato di unire civilmente una coppia di giovani omosessuali che si era rivolta a lui per chiedere la celebrazione. Ma non solo, Ferrino ha anche rinunciato a dare la delega a qualche altro esponente del Comune.
Il sindaco piemontese, eletto in una lista civica, ha spiegato a La Stampa: “Nel momento in cui delego, significa che condivido e io invece non condivido”. Ed ha aggiunto: “Fermo restando che qualora il sindaco si rifiuti di celebrare, può farlo senza necessità di delega l’ufficiale di stato civile. Molti nel silenzio delegano e non parlano. Io invece non voglio delegare e voglio sapere perché, su un fatto così importante, non posso essere obiettore”.
Le ragioni della sua opposizione sono religiose. “Sono cattolico praticante, sono contrario alle unioni gay, ciò non ha nulla a che vedere con gli omosessuali, ma io credo che la famiglia sia fatta da un uomo e una donna per creare dei figli – spiega il sindaco di Favria -. Chiedo alla nazione di essere obiettore di coscienza. Perché un medico può essere obiettore e io no?”.
Favria è soltanto uno dei tanti sindaci italiani che chiedono venga loro riconosciuta l’obiezione di coscienza alle unioni civili. Il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, promotore del Family Day, sta raccogliendo le loro adesioni per un appello al Presidente della Repubblica affinché sia garantito questo diritto nell’ambito di una legge considerata eticamente sensibile. “Stiamo monitorando il fenomeno e stiamo raccogliendo adesioni da parte di numerosi sindaci su tutto il territorio”, spiega Massimo Gandolfini, presidente del Comitato.
Poco prima dell’approvazione definitiva della legge Cirinnà alla Camera, l’on. Fabrizio Di Stefano (Forza Italia) aveva presentato un emendamento per chiedere l’introduzione della facoltà, per sindaci e amministratori pubblici, di ricorrere all’obiezione di coscienza dinanzi alle unioni civili. La sua proposta fu tuttavia bocciata in aula.
L’assenza di una clausola che disciplini l’obiezione di coscienza non ha però dissuaso il cospicuo drappello di sindaci contrari a questa legge. Ferrino è solo l’ultimo caso, tra i più eclatanti. Ad agosto finì sotto i riflettori Susanna Ceccardi, battagliero sindaco leghista di Cascina (PI). Dopo la sua sortita anti-unioni civili, il Gay Center presentò un esposto alla procura di Pisa e annunciò che avrebbe pubblicato una vera e propria “lista nera” di sindaci obiettori.
Il tema suscita polemiche. Marco Grimaldi, capogruppo di Sel nel Consiglio regionale del Piemonte, ha commentato così la vicenda: “Spero che il sindaco di Favria, che senza alcuna legittimità ha appena inaugurato la stagione dell’obiezione di coscienza contro le unioni civili, venga denunciato e che la magistratura apra subito un fascicolo”.
Quella che l’esponente di sinistra chiama “stagione dell’obiezione di coscienza” è ancora molto opaca. Ma non per la mancanza di sindaci pronti ad opporsi a queste celebrazioni, bensì per il numero ridotto di richieste. A Roma, capitale d’Italia, finora sono state celebrate appena 9 unioni, una soltanto a Napoli (su oltre 3 milioni di abitanti). Cifre più alte a Torino (19) e Milano (26). E tra i capoluoghi di provincia – riferisce La Stampa – sono fermi a zero unioni civili Campobasso e L’Aquila. E meno male che questa legge sarebbe dovuto essere “un passo in avanti per l’Italia”, come aveva detto Renzi dopo l’approvazione.

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Federico Cenci

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