Si è svolto in un clima di “grande cordialità e amicizia” l’incontro di ieri, 26 settembre, a Casa Santa Marta, tra Papa Francesco e la delegazione del World Jewish Congress guidata dal suo presidente Ronald Lauder, che ha visto la partecipazione anche dei presidenti di Francia, Inghilterra, Austria, Ungheria, Brasile, Argentina.
Ne dà notizia il sito Moked, portale dell’ebraismo italiano, spiegando che l’incontro ha permesso di approfondire gli argomenti in una pluralità di voci e prospettive. Sette interventi, ovvero un’introduzione e sei domande in diverse lingue, dall’inglese, all’italiano, allo spagnolo, hanno scandito la conversazione, alla quale il Pontefice ha partecipato rispondendo in italiano.
Numerosi e importanti i temi affrontati, come: l’accoglienza degli immigrati e la loro piena e reale integrazione; l’impegno per la pace in Medio Oriente; il pericolo degli estremismi religiosi, il punto sul dialogo interreligioso, la necessità di sviluppare politiche sempre più efficaci di economia sociale. È stata ricordata anche la recente visita del Papa nei lager di Auschwitz-Birkenau, nell’ambito del viaggio in Polonia, e la scelta di condurla nel totale silenzio molto apprezzata dalla comunità ebraica mondiale.
A tal proposito Bergoglio ha ringraziato la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, per . La stessa Di Segni ha posto l’accento sull’importanza che vi è oggi di parlare assieme, di rompere il silenzio sui drammi e i tanti problemi della contemporaneità. “Sono d’accordo perfettamente, perché delle volte il silenzio è la scelta giusta, altre volte no” ha risposto il Santo Padre. Va bene il silenzio, ha aggiunto, “quando si va ad Auschwitz, quando poi in Europa succedono cose terribili, come noi vediamo tutti i giorni, forse non serve più il silenzio, forse si deve levare un grido forte di tutte le religioni assieme; di tutti noi, assieme alle istituzioni”.
Oggi, infatti, su certe questioni “c’è troppo silenzio. Se ne parla poco”, ha osservato il Pontefice. A cominciare dalle persecuzioni che sono costretti a subire cristiani e yazidi che “nessuno vuole”. “E il popolo ebreo? Anche”. Per questo, ha soggiunto, “dobbiamo parlare insieme: insieme per la convivenza, per la pace, per la fratellanza, per l’amicizia. Siamo tutti fratelli! C’è troppo silenzio, ma del cattivo silenzio”.
Un rabbino – riferisce L’Osservatore Romano, che riporta ampi stralci del colloquio – ha consegnato al Papa all’inizio dell’incontro una treccia al miele, spiegando: “Questa domenica celebriamo il capodanno ebraico, il Rosh haShana, e gli ebrei del mondo si incontrano e si scambiano l’augurio di un dolce e felice anno nuovo. Nel contempo, si rivolgono a quelle persone che sono state gentili con gli ebrei, per augurare loro un felice anno nuovo. Il dono che ci scambiamo è un dolce ripieno di miele, con l’augurio di dolcezza e luce. E lei è stato un sincero amico della gente ebrea e noi la ringraziamo molto per tutto quello che fa”.
Per questo, ha aggiunto il rabbino, “ci rivolgiamo a lei anche con l’auspicio della pace, la pace in Medio Oriente, dove i cattolici continuano a essere uccisi perché sono cattolici. Ed è necessario che noi facciamo il possibile per portare la pace; è necessario anche che ci sia pace tra Israele e Palestina. Noi desideriamo molto, veramente molto lavorare insieme a lei affinché questa pace diventi possibile”.
Da parte sua Francesco ha ringraziato per lo “sforzo di avvicinarvi, perché la vicinanza è una benedizione di Dio. Invece, quando ci allontaniamo vengono le cose brutte, le antipatie, le guerre. E la nostra vicinanza non è soltanto fisica, di buona educazione”. È “essenziale”, ha affermato il Papa, perché “non si può capire il cristianesimo senza le sue radici ebraiche. E per questo un cristiano non può essere antisemita”. Il dialogo tra cattolici ed ebrei è quindi “un camminare insieme, avvicinarsi l’uno all’altro, conoscersi meglio, dialogare, fare amicizie e andare avanti. Siamo figli di Abramo!”.
Come lo sono pure i musulmani. Allora, “quando parliamo di pace possiamo fare di più per cercare di raggiungere i musulmani per cercare di ridurre quelle tensioni che sono alla radice di tanti problemi?”, ha domandato un secondo interlocutore. “Sì”, è stata la risposta di Bergoglio, che ha sottolineato come in questo processo siano fondamentali “la vicinanza e la mitezza” e il “non avere paura di parlare».
“È vero — ha riconosciuto — che in questi ultimi tempi sono nati gruppi forti di terrorismo, che hanno ferito i cristiani, gli ebrei, gli yazidi, tanta gente e tante minoranze in Medio Oriente”; ma è anche vero che in ogni religione si trovano gruppi più o meno piccoli di fondamentalisti. “Il fondamentalismo è il nemico del dialogo. Anche noi cristiani, cattolici, ne abbiamo alcuni gruppetti”, ha ribadito il Papa, “con quelli che non sono fondamentalisti, con quelli che hanno un atteggiamento amichevole, fraterno, bisogna però parlare come fratelli. ‘Tu sei musulmano, io sono ebreo, io sono cristiano…’: questo si può fare. Convivere, con amicizia. I teologi faranno la discussione teologica, che ci vuole, ma è compito loro. Il nostro è l’amicizia con la gente che non è così fondamentalista”.
In riferimento ad alcune critiche ricevute dopo il viaggio a Lesbo, per aver portato in aereo tre famiglie tutte musulmane, Francesco ha rimarcato che “l’amicizia si deve fare al di là delle differenze religiose”, nel senso di “parlare con la gente tranquilla e pregare gli uni per gli altri, fa bene. Io prego per voi e per i musulmani, e so che tanti di voi e tanti musulmani pregano per me”.
Sul fenomeno migratorio, il Pontefice ha suggerito la “doppia esperienza” di “essere ricevuti e essere integrati”, perché “ricevere senza integrare non è buono”. Ad esempio le famiglie di Lesbo sono un esempio positivo di integrazione: i cinque bambini siriani, “già tre giorni dopo l’arrivo erano a scuola, per integrarsi”, ha detto Francesco. E “quando alcuni mesi dopo li ho invitati a pranzo, parlavano l’italiano come lingua madre. E avevano amici cristiani, italiani”. I genitori si stavano integrando “un po’ più lentamente”, comunque “avevano uno un lavoro, l’altro faceva il sarto, l’altro l’ingegnere e incominciavano a lavorare”. “Questo — ha sottolineato Papa Francesco — è molto importante. Ricevere senza integrare è cattivo”. Pertanto quando si parla delle migrazioni, è vero che “c’è pericolo, ma la soluzione è l’integrazione”. Un’integrazione che inoltre dev’essere reciproca perché “anche loro devono accettare di essere integrati”.
Un ebreo che vive in Argentina ha poi ringraziato il Papa per la sua guida nella crisi umanitaria e per i profughi siriani e per l’enciclica Laudato Si’, “di incredibile ispirazione per il mondo”. Del resto, ha aggiunto, “l’Argentina è stato uno dei primi grandi paesi a firmare l’accordo di Parigi” sull’ambiente ed è inoltre “uno dei pochi paesi in America latina che ha accettato di accogliere profughi in grande numero”. Da qui la domanda: “Come convincere altri paesi ad accettare un numero più alto di profughi in questa grave crisi umanitaria?”.
“In Argentina – ha annotato il Santo Padre – c’è una situazione speciale, perché sia gli Stati Uniti sia l’Argentina erano i posti dove andavano dall’Europa i migranti. Io sono figlio di immigrati: mio papà è arrivato a 24 anni, e si sono integrati subito tutti”. Un altro Paese importante, in tal senso, è il Venezuela perché nel suo tessuto sociale “c’è tanto sangue ebreo”.
Dalle Americhe che ricevono i profughi, il discorso si è quindi spostato verso l’Europa, in particolare quella centro-orientale, dove, ha fatto notare un altro dei presenti, “le parole di odio contro gli immigrati sono molto forti. Cosa possiamo fare contro queste parole di odio?”. “L’Europa è invecchiata” ha replicato il Vescovo di Roma, riprendendo un’idea già esposta durante la sua visita a Strasburgo e poi in Vaticano in occasione del conferimento del premio Carlo Magno. “Non posso parlare della ‘mamma-Europa’, ma della ‘nonna-Europa’”. E pensare che essa “è stata fatta con tante migrazioni, nella storia, che l’hanno arricchita!”, ha rilevato il Pontefice, “adesso io vedo che si chiude: ogni paese chiude per difendersi. Io rispetto ogni paese, non mi immischio nelle politiche interne”, ma “all’Europa manca creatività”.
Basti considerare che uno dei problemi più gravi è “il calo delle nascite”, seguito da quello della “mancanza di lavoro”. “Questo è grave”, ha ribadito il Papa, questo provoca “la stanchezza europea”. Secondo Francesco, è necessario perciò “recuperare un’economia sociale di mercato, che vinca l’economia ‘liquida’ e la renda più concreta”.
A concludere il colloquio, la testimonianza di un uomo che la settimana scorsa ha cenato nella casa del presidente Santos in Colombia, dove ieri è stato firmato l’importante Accordo di pace tra Governo e Farc. “Il capo dello Stato colombiano mi ha chiesto di trasmetterle un ringraziamento e spera in una benedizione da parte sua”, ha detto l’interlocutore. “Lei è un buon esempio nel mondo, in questo momento in cui gruppi che sono stati nemici per 50 anni possono convivere in pace e sviluppare un futuro migliore”.
La firma dell’accordo di ieri, ha affermato Bergoglio, non è solo una conclusione ma un vero e proprio inizio. Con quel gesto, infatti, “la cosa non è finita: poi sarà il popolo colombiano, tramite il plebiscito, a dire ‘sì’ o ‘no’. Io vedo due cose: il presidente Santos ha rischiato tutto per la pace, ma vedo anche un’altra parte che rischia tutto per continuare la guerra. E questo ferisce l’anima”.
L’incontro è terminato con un caloroso augurio di Shanà Tovà da parte del Santo Padre agli ospiti. Al Pontefice è stata mostrata anche una menorah che per la prima volta sarà visibile al mondo, in occasione di una mostra congiunta tra il Vaticano e il Museo ebraico di Roma.