Papa Francesco nella Sinagoga di Roma

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Impegno e affetto. La "svolta" della Nostra Aetate, secondo Bergoglio

Il Pontefice firma la prefazione del libro “El Concilio Vaticano II y los judios” edito in Argentina, a cura dei rabbini Abraham Skorka e Ariel Stofenmacher

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Con il titolo El Concilio Vaticano ii y los judios è uscito in Argentina nello scorso febbraio un libro edito dal Seminario rabínico latinoamericano Marshall T. Meyer che fa il punto sui rapporti tra cattolici ed ebrei a mezzo secolo dalla dichiarazione conciliare Nostra aetate.
Il volume, a cura dei rabbini Abraham Skorka e Ariel Stofenmacher, conta 12 contributi di autori cattolici ed ebrei; tra loro, il cardinale Jorge María Mejía, il pastore José Míguez Bonino, il rabbino Daniel Goldman. A questi seguono 10 testimonianze, tra gli altri, dell’arcivescovo Víctor Manuel Fernández e del rabbino Marcelo Polakoff, e un’appendice di documenti.
Soprattutto il libro vanta la prefazione scritta da Papa Francesco, oltre ad un contributo dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio del 2 gennaio 2013 (due mesi prima, dunque, dell’elezione al Soglio Petrino).
Nella sua prefazione, il Pontefice osserva che il Concilio “è stato una pietra miliare nella storia della Chiesa, i cui frutti cominciarono già allora a essere raccolti e inseriti pienamente al suo interno”. Dall’assise emerse la dichiarazione Nostra aetate che, sottolinea il Papa, “segnò una svolta definitiva nella storia dei rapporti tra i fratelli maggiori e minori nella fede”. Se già da arcivescovo di Buenos Aires, Francesco contribuì con “umili riflessioni a quel testo”,  oggi, “come Vescovo di Roma – scrive – aggiungo queste poche righe per testimoniare nuovamente il mio impegno e affetto per i miei amati e fedeli fratelli ebrei in Argentina e per l’approfondimento del nostro dialogo per onorare con esso il nostro Creatore”.
Nel testo firmato da cardinale, l’allora arcivescovo porteño ricordava che “dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo”. “Gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento”.
In tal senso la dichiarazione Nostra aetate, promulgata il 28 ottobre 1965, “possiede un valore speciale”, secondo Bergoglio, affrontando “in modo tanto radicale il rapporto con il popolo di Nostro Signore Gesù Cristo”. Con questa dichiarazione viene infatit “esplicitato e promulgato che non c’è posto nella Chiesa per espressioni come ‘popolo deicida’ o ‘perfidi giudei’. Le manifestazioni e le concezioni che avevano eretto barriere — molte volte di zizzania e di odio tra cattolici ed ebrei — dovevano essere sradicate per sempre. Al loro posto si dovevano erigere ponti di mutua comprensione e di dialogo che portassero a un sentimento fraterno. Nacque poi un nuovo appellativo per indicare il popolo ebraico: ‘fratelli maggiori'”.
A partire da questo documento, l’affermazione che “antisemitismo è anticristianesimo e anticristianesimo è antisemitismo” è divenuta una norma e una base per la catechesi della Chiesa. “Il movimento generato da questa dichiarazione – evidenziava infatti l’attuale Papa – ha propiziato le famose visite di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a diverse Sinagoghe e, sul piano politico, l’instaurazione di relazioni diplomatiche tra il Vaticano e Israele. Il dialogo che permette di approfondire la conoscenza reciproca, lo studio condiviso e la realizzazione di progetti per il bene comune hanno ricreato in numerosi ambiti il primigenio sentimento di fratellanza che non si sarebbe mai dovuto perdere”.
“L’essere cristiani è intimamente legato all’essere ebrei”, affermava Jorge Mario Bergoglio, e “nei momenti di crisi tutti dobbiamo rivolgere uno sguardo retrospettivo all’essenza del nostro essere, alle radici della nostra esistenza”. Soprattuto nei tempi presenti che “richiedono un approfondimento nel dialogo che permetta, agli uni e agli altri, di trovare risposte sempre più significative alla crescente complessità che caratterizza la vita presente”. Anche perché “le dichiarazioni come Nostra aetate sono feconde solo nella misura in cui generano azioni, perché lo spirito della lettera che si trasforma in fatti cessa di essere una mera intenzione per divenire azione viva ed efficace”.
[S.C.]

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ZENIT Staff

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